Leggendo il primo volume della trilogia di Thomas Harris su Cicerone, “Imperium”, sono rimasta sorpresa da quanto la politica sia rimasta uguale a se stessa nei secoli.
Cicerone è uno dei pochissimi uomini “nuovi” della politica romana. Essere “uomo nuovo” all’epoca non era un complimento perché significava non provenire da famiglie di alto lignaggio con una lunga sfilza di avi importanti.
Era ricco ma non abbastanza da permettersi di mirare ad alte cariche senza un’infusione importante di denaro: per questo sposò la nobile Terenzia, con la quale, negli anni, riuscì a instaurare un buon rapporto di complicità, e che sembra gli abbia dato un paio di buoni consigli per destreggiarsi nell’arena politica.
Studiò retorica in Grecia con i migliori maestri, e in questo fu accompagnato dal suo schiavo Tirone, che nel romanzo di Harris è colui che racconta la storia di Cicerone. Tirone era schiavo ma non stupido: era molto colto e inventò il primo sistema di stenografia al mondo.
Cicerone era ambizioso e il suo primo passo per arrivare alla carica di console, la massima carica della Repubblica, fu diventare avvocato. La prima causa importante che lo distinse come oratore fu quella contro Verre, un nobile che aveva spadroneggiato, ucciso e imbrogliato in Sicilia, la regione che gli era stata affidata.
Cicerone è passato alla storia come persona molto intelligente, che è riuscito a raggiungere una carica considerata impossibile per altri nella sua situazione di partenza, ma non dimentichiamo che anche lui ha dovuto ricorrere a molti compromessi.
Ha dovuto per esempio difendere un romano che aveva rubato e compiuto ogni sorta di soprusi in Gallia, e ha dovuto appoggiare Pompeo nella sua corsa verso il potere assoluto. Stava quasi per difendere Catilina, e ha cambiato idea solo all’ultimo momento.
Ma quello che ci ricorda questo romanzo è tutta una serie di realtà che valgono ancora per la politica di oggi.
- la corruzione: a Roma avevano messo in piedi un complicato sistema per raccogliere voti in cambio di bustarelle senza farsi beccare.
- è importante conoscere tantissima gente, ricordarne i nomi e i ruoli, nonché i favori concessi e ricevuti.
- è bene mostrarsi affettuosi con la famiglia in pubblico, e non fa male mostrare l’appartenenza alla religione ufficiale.
- se un attacco aperto è pericoloso, meglio ricorrere all’ostruzionismo, ad esempio perdendo tempo in modo che una certa legge non passi.
- per invogliare il popolo ad accettare un potere forte, bisogna farlo sentire in pericolo, come hanno fatto Pompeo e gli altri col pericolo dei pirati (che non era così grave).
- anche gli schiavi, se sono agli ordini di un personaggio importante, si sentono importanti (valido anche oggi).
- Compromessi, compromessi e ancora compromessi.
C’è però una grande differenza tra la politica di allora e quella italiana di oggi: i romani erano fieri di essere romani. Erano consci della loro lunga storia e delle loro leggi e delle loro acquisizioni (non solo militari). Era una fierezza che spesso si trasformava in razzismo e boria, vero, ma ce ne vorrebbe un goccio per i politici di oggi, che entrano in parlamento solo per arricchirsi (e se c’è qualcuno con buone intenzioni agli albori della carriera, queste intenzioni si sfaldano quando cominciano a vedere il flusso di euro che gli arriva nel conto corrente).
Cicerone era ambizioso ma era meglio di molti altri politici dal punto di vista morale. Vomitava dall’ansia prima delle presentazioni importanti: non lo so se questo fosse un sintomo del rigetto che aveva nei confronti dei compromessi che avrebbe dovuto affrontare o della paura di commettere un passo falso e di finire dalla parte sbagliata (le conseguenze potevano essere gravi).
Sapeva di non potercela fare senza l’appoggio dell’aristocrazia, ma anche l’appoggio del popolo era importante: riusciva a destreggiarsi tra questi due estremi, come fanno oggi alcuni politici, ma con molti meno scrupoli (perché oggi è obbligatorio mostrarsi dalla parte del popolo).
Un concetto che è molto vero è questo: per convincere le persone, bisogna essere convinti.
E poi:
“Cicerone esortava, nei casi in cui era necessario fare qualcosa di impopolare, a farlo senza indugi e con convinzione, perché in politica non si guadagna credito con la timidezza”. Quanti politici italiani avete visto di recente iniziare un certo discorso e poi cambiarlo a metà strada accorgendosi che non era popolare?
“Come sa anche l’ultimo degli idioti, il modo più rapido di fare strada in politica è quello di stare vicini al vertice”.
“La politica è come l’idiota del villaggio, incapace di concentrarsi su più di una cosa alla volta”.
“Il possesso rappresenta i nove decimi del diritto”.
“Se cerchi la popolarità il sistema più sicuro per trovarla è quello di invadere gli uffici di una società di esattori” (o di invitare gli elettori a non pagare le tasse, v. Berlusconi).
“Chi controlla la strada, controlla la legge” (v. tutti i populisti recenti e meno recenti).
“Sempre molto devoti, questi contabili disonesti”.
“Nessuno te lo metterà a disposizione, il potere”.
“Il guaio di Lucio è che considera la politica come una lotta per il trionfo della giustizia. Non è così: la politica è una professione”.
“Gli esseri umani si muovono in gregge e correranno sempre come pecore a sostegno del vincitore”.
“A convincere è la convinzione”.
“Quale importanza ha l’aspetto di una persona, in politica!”
Insomma, questo romanzo biografico è un sunto di molti libri di self-help per chi vuole entrare in politica, passo che comunque sconsiglierei agli ingenui o agli idealisti.
Io sono rimasta in un consiglio comunale per quattro mesi. Poi ho visto che le decisioni non venivano prese in base alla ragionevolezza, ma in base all’appartenenza al gruppo. Anche nei piccoli paesi. E anche nei piccoli paesi, le magagne compiute dai componenti della maggioranza si mettono a tacere.
Anche nei piccoli paesi ti dicono che fanno politica per mettersi al servizio del Paese… Balle.
Insomma, non siamo tutti Cicerone…