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Sol levante (Michael Crichton)

Non sapevo che l’omonimo film con Sean Connery fosse una trasposizione di un libro di Crichton: devo vederlo. Qui però vi parlo del libro, una specie di thriller a tema.

Ma eccovi la trama…

La serata di inaugurazione del grattacielo Nakamoto a Los Angeles è in pieno svolgimento: ci sono personalità dello spettacolo e della politica, giornalisti e guardi del corpo ovunque. Ma al piano di sopra, sul tavolo di una sala riunioni, è riverso il cadavere di una bellissima ragazza.

Ad indagare vengono chiamati l’ufficiale di collegamento per le relazioni internazionali detective Smith, e il più attempato ma scaltro detective in pensione Connor.

Le indagini si rivelano subito difficili a causa dello scontro tra due culture, l’americana e la giapponese, che non potrebbero essere più diverse, senza contare il fatto che la Nakamoto ha le mani in pasta in ogni settore dell’economia, dell’editoria e della politica.

Ed è qui che si intreccia il tema che Crichton si è dato tanto da fare per inculcarlo nella testa degli americani: i giapponesi si stanno mangiando gli Stati Uniti. Comprano tutto. E gli americani glielo lasciano fare, anche se vendono ai nipponici segreti industriali che poi gli stranieri usano contro gli americani stessi.

Gli uomini d’affari giapponesi sono descritti come uomini senza scrupoli, seppure questo sia parzialmente giustificato dalla loro cultura.

E se il monito non era tanto chiaro, Crichton ce lo ripropone nella postfazione, spiattellandocelo in faccia chiaro e tondo.

Il problema dei romanzi a tema è che la storia e i personaggi ne risentono sempre.

La storia si trascina: si capisce che gli eventi sono messi uno dietro l’altro solo per proporre esempi di settori in cui i giapponesi stanno mangiando i risi in testa agli americani.

La voce narrante, l’ispettore Smith, è piuttosto stupidotto e si fa guidare passo per passo da Connor, che nel film è impersonato da Sean Connery, un personaggio che tace le proprie intenzioni rivelandocele solo alla fine per creare il colpo di scena.

Un libro che trabocca di compassione per i poveri americani che si fanno prendere in giro dai furbi stranieri.

Qualcuno lo ha letto e ha avuto la stessa impressione?

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L’assassinio di Roger Ackroyd (Agatha Christie)

I libri della Christie sono belli al di là delle trame giallistiche. Quello che mi è piaciuto di più di questo romanzo, è stato il rapporto di amore-insofferenza tra il dottor Sheppard, che racconta la storia, e la sorella nubile con cui vive.

Caroline è una zitella che si occupa del fratello, nonché di tutti i pettegolezzi del villaggio. Può essere indisponente, eppure ha una forma di intelligenza che spesso la porta più avanti del dottore suo fratello. I loro battibecchi sono frequenti, ma eleganti e arguti.

Il dottor Sheppard scrive il resoconto di questa vicenda partendo dalla morte del signor Ferrars. E’ avvenuta mesi prima e si vocifera che l’uomo, alcolizzato e violento, sia stato avvelenato dalla moglie. Ma tutto è stato messo da parte e nessuno ci pensa più, quando si verifica un vero e proprio omicidio, quello di Roger Ackroyd, ricco possidente.

E qui iniziano i rapporti intricati: Ackroyd era il benefattore della cognata rimasta vedova, e della di lei figlia, Flora. Ma era anche il padre adottivo del giovane capitano Ralph Paton, destinato a sposare la bellissima Flora.

Tra gli indagati ci sono anche la misteriosa governante, il segretario personale di Ackroyd, e una cameriera che è stata licenziata nel pomeriggio prima dell’omicidio. Tutti potrebbero avere un motivo per aver ucciso il riccastro, che lesinava i soldi ai suoi beneficiati (erano suoi, mi verrebbe da dire…).

Come in tutti i libri della Christie, sono i dettagli apparentemente insignificanti a nascondere le verità più insospettate: in questo caso, è una poltrona che è stata sposata di qualche decina di centrimetri.

Hercule Poirot è molto diverso da Miss Marple: il suo aspetto è ridicolo e se la tira troppo per riuscirmi davvero simpatico. Ma in certi momenti, quando diventa serio e ci regala una delle sue massime sulla natura umana, gli perdono i suoi baffi artistici e l’accendo smoderatamente belga.

Come al solito non sono riuscita a scoprire l’assassino prima che me lo rivelasse Poirot, ma la lettura è stata molto piacevole.

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Il profumo (Patrick Suskind)

Avevo visto il film, che non era male, ma il libro è davvero scritto bene, e certi dettagli, che nel film mancano, sono molto godibili.

La storia credo la conosciate: Jean-Baptiste Grenouille vede la luce in un ammorbante mercato del pesce. Sua madre cerca di nasconderlo e farlo morire come gli altri (verrà giustiziata per questo), ma il bambino è tenace e, contro ogni pronostico, vive.

Durante l’infanzia e l’adolescenza passa da un istituto a un conciatore, da un profumiere a un benefattore: ognuno di questi personaggi, dopo che Grenouille ne ha tratto ciò che gli serviva, morirà in modi poco – per usare un eufemismo – attraenti (!).

Grenouille ha una particolarità unica: non ha odore. Non emana nessuno degli odori che emanano gli altri esseri umani, eppure è dotato di un odorato incredibile. Riesce a leggere i pensieri delle persone dagli odori che emanano e riesce a capire chi c’è al di là di un muro annusando l’aria. Neanche i cani possono eguagliarlo.

Grenouille ha un’altra particolarità, che però non è unica, perché sembra appartenere – anche se in misura minore – a molti altri dei personaggi con cui viene in contatto: non prova sentimenti.

Lavorando per conciatori e profumieri, apprende le basi di un mestiere che potrebbe renderlo ricco sfondato, ma lui non è interessato ai soldi: quello che vuole, è crearsi il proprio odore. Deve essere il miglior odore del mondo, qualcosa che non si è mai sentito: il profumo perfetto.

Peccato che per produrlo, questo profumo perfetto, non gli bastino fiori e spezie: deve uccidere fanciulle appena sbocciate.

Questo romanzo si potrebbe leggere come un’enorme metafora: quello che vuole Grenouille, in realtà, è l’amore. Non solo quello degli altri nei suoi confronti (che riesce ad ottenere grazi al suo profumo), ma anche l’amore per se stesso, la consapevolezza di se stesso.

C’è un momento in cui, rinchiuso in una grotta che non ha mai ospitato anima umana al di fuori della sua, si sente sopraffatto dai vapori emanati dal proprio sé, ed è l’esperienza più traumatica della sua vita. E’ l’unico momento in cui la sua natura maligna gli si rivela.

Un uomo che non ha odore e vuole averne uno tutto suo, il migliore mai esistito: non è la storia di ognuno di noi? Ognuno di noi non vorrebbe essere speciale? Certo, non serve arrivare al crimine come fa Grenouille, ma ognuno di noi commette i piccoli crimini che gli sono permessi dal proprio ambiente.

Ora sembrerà che io esca dal seminato, ma pensate agli scontrini.

E’ l’atteggiamento che conta.

Spesso mi prendono in giro, mi dicono che sono altre le cose che contano e che sono una rompiballe perché se il negoziante o l’ambulante non mi dà lo scontrino, io lo chiedo espressamente. Non è solo una questione di paura della multa (perché se mi controlla la finanza, la prendo pure io).

E’ che l’atteggiamento del negoziante o dell’ambulante è lo stesso del politico che ruba ad alti livelli: cambia solo la circostanza.

Se il negoziante o l’ambulante si trovassero di colpo catapultati nelle sfere del ministro, non farebbero altro che continuare a comportarsi come facevano in negozio o dietro al banchetto: continuerebbero a rubare.

Dunque, non prendiamocela con Grenouille se uccideva le giovinette: ognuno di noi è disposto a uccidere la giovinetta che gli capita a tiro se questo gli permetterà di miscelarsi il proprio personalissimo profumo.

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E se votassimo tutti scheda bianca?

SAGGIO SULLA LUCIDITA’ (JOSE’ SARAMAGO)

E se votassimo tutti scheda bianca? E’ questo lo scenario da cui parte Saramago per scrivere il romanzo che è la continuazione di Cecità.

In una capitale non meglio precisata, le votazioni vanno prima deserte e poi, al secondo tentativo, la maggioranza delle schede è bianca. La destra riesce comunque ad andare al potere, ma il comportamento della popolazione lascia sconcertati i politici che si mettono subito alla ricerca del colpevole.

Il governo cerca di scoprire i cospiratori ricorrendo prima a delle spie infiltrate in città, poi con interrogatori segreti e cruenti e infine dichiarando lo stato di assedio e abbandonando i cittadini a loro stessi.

I politici non riescono a capacitarsi che l’83% dei votanti abbia lasciato cadere una scheda bianca nell’urna senza un qualche tipo di guida comune, non ammettono che il popolo sia solo disilluso, ci deve per forza essere un piano eversivo comune, ma tutti i tentativi di scoprire i colpevoli si rivelano infruttuosi.

Il governo ricorre ad ogni mezzo: fa perfino scoppiare una bomba alla stazione per cercare di mobilitare la popolazione che però, dopo il primo sconcerto, continua a comportarsi in maniera civile.

Ma un colpevole è necessario.

Dopo una serie di battibecchi tra primo ministro, ministro dell’interno e ministro della giustizia, si decide di mandare tre poliziotti in incognito in città allo scopo di indagare su una donna che quattro anni prima, nel bel mezzo dell’epidemia di cecità (ecco il legame col primo libro) non si è ammalata. Lei deve essere la colpevole, è stato deciso così.

I messaggi del libro sono tanti.

Intanto, l’importanza delle parole: il superintendente che indaga sulla donna, e che avrà un ruolo importante nella seconda parte del libro, ci tiene che vengano utilizzate le parole corrette. Se non nomini le cose con termini precisi, rischi di togliere realismo a quelle cose.

Poi c’è l’atteggiamento dei governi autoritari: l’incapacità di guardarsi dal di fuori, il bisogno spasmodico di trovare capri espiatori per giustificarsi, la necessità di CREARE I NEMICI, l’accentramento dei poteri.

Poi c’è l’importanza del voto: Saramago sembra dirci che anche se non votiamo, qualcun altro lo farà per noi.

E infine la cecità: guarda caso, il popolo ha sofferto di cecità proprio quattro anni prima. Quattro anni di solito è il periodo di durata delle legislature. E’ come se quattro anni prima il popolo cieco avesse votato per il partito sbagliato, se ne fosse reso conto e, perse ormai le speranze, abbia deciso di rinunciare a votare.

Se quattro anni prima erano stati ciechi, dunque, adesso sono ben lucidi.

Peccato che la lucidità adesso non serva a molto, perché le conseguenze della cecità di quattro anni prima si protraggono negli anni.

Ho letto adesso questo libro alle soglie delle elezioni del 25 settembre (che è pure il giorno del mio compleanno) e spero che gli italiani non siano così ciechi da consegnare il potere a chi poi – in un modo o nell’altro – non lo mollerà più.

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La strada nel bosco (Colin Dexter) @SellerioEditore

L’inizio di questo romanzo giallo è fuori dal coro: l’ispettore Morse, infatti, è in vacanza, e ad occuparsi del caso sono rimasti i suoi colleghi, alle prese con un poema che è stato pubblicato sul giornale e che sembra essere stato scritto per dare degli indizi circa la scomparsa, successa un anno prima, di una ragazza svedese.

E anche lo svolgersi della trama è particolare: l’ispettore è uno che si perde nelle proprie fantasie, e spesso nel libro si trovano lettere scritte al giornale da emeriti sconosciuti che cercano di interpretare il poema sulla donzella svedese, spargendo qua e là dubbi ed indizi.

A ciò si aggiunge una fascinosa donna innamorata dell’ispettore, uno scheletro nel punto più fitto del bosco e un giro di pornografia che colpisce alcuni insospettabili.

Non posso dire altro, ma il fatto che in Italia questo giallo sia stato pubblicato da Sellerio già ci dà un’idea sulla particolarità del libro (anche se io lo ho letto nell’edizione spagnola): non è solo una questione di ricerca dell’assassino.

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Spider (Patrick McGrath)

Nessuno mi toglie dalla testa che per descrivere realisticamente i meandri di una mente malata uno scrittore deve essere un po’ pazzo. L’autore di “Follia” e di “Grottesco” è troppo bravo a farci entrare nelle circonvoluzioni cerebrali di gente rinchiusa in manicomio: mi piacerebbe conoscerlo nella sua vita di tutti i giorni.

Questa storia è raccontata in prima persona da Spider: non si capisce subito dove si trova. All’inizio sembra via in un bed & breakfast, poi, pian piano, si delinea tutta una serie di divieti a cui è sottoposto. La padrona di casa, ad esempio, gli prepara la vasca per il bagno, e lui non può possedere certi oggetti (un diario, una corda…).

Spider nomina spesso il Canada, dove ha trascorso una ventina d’anni, ma solo nel corso del romanzo si capisce che era in un manicomio.

E pian piano, salta fuori anche la storia della sua infanzia e dell’omicidio della madre ad opera del marito, che si era trovato un’amante.

O no?

Spider è un narratore inaffidabile ma affascinante, ama il buio, i luoghi umidi, il grigiore di Londra, e sente le voci delle creature che vivono nel solaio. E’ convinto che un verme abbia fatto il nido nell’unico polmone che gli è rimasto.

La fantasia schizofrenica è eccezionale e la discesa negli inferi è graduale ma certa.

Adoro questi libri!

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La fenice rossa (Tess Gerritsen) @LibriLonganesi

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Un thriller, ogni tanto, ci vuole, per rilassarsi.

Questo l’ho scelto, in particolare, per la copertina dai richiami cinesi (eh, sono fissata, lo so). Infatti la vicenda è ambientata nella Chinatown di Boston.

La protagonista è Jane Rizzoli, detective, e indaga sull’omicidio di una sconosciuta a cui è stata mozzata di netto una mano con una lama molto affilata. Il fatto è accaduto sul tetto di uno stabile nel quale, diciannove anni prima, è avvenuta una strage: il cuoco è uscito dalla cucina, ha sparato a tutti i presenti, e poi si è sparato in testa.

Nel corso della vicenda, le indagini si incasinano quando viene coinvolto un boss della malavita irlandese, quando si trovano dei strani peli animali di cui non si capisce l’origine e quando e si scopre una sfilza di ragazzina scomparse nell’arco di venticinque anni; ma non dico oltre.

La trama è ben orchestrata, con i tasselli che vanno al posto giusto pian piano, ma facendo anche venire a galla anche nuove domande ad ogni nuova scoperta.

Tra gli altri personaggi, ci sono una misteriosa insegnante di Wushu, che era sposata al cameriere del ristorante cinese; un’anatomopatologa professionalmente inflessibile ma sentimentalmente incasinata; il marito di Jane Rizzoli, agente speciale; e tutta una serie di poliziotti in servizio o in pensione.

Il finale?

Ogni volta che credi di essere arrivata a una soluzione, ti accorgi che mancano ancora troppe pagine alla fine, e dunque te la metti via, perché sta per arrivare un altro colpo di scena.

A me è piaciuto: 4 stelline su 5.


 

L’autrice è di origini cinesi. Ha scritto il romanzo sfruttando alcune delle storie che le raccontava sua madre, tutte ambientate nel paese della Grande Muraglia. Ha lavorato un periodo come medico alle Hawaii, col marito, poi si sono trasferiti nel Maine dove ora lei vive di scrittura.

 

 

 

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Scoprire l’assassino…? @LibriCorbaccio

Ho sempre invidiato i lettori che dicono frasi del tipo “ho scoperto l’assassino già quando ero a pagina 4”. Io, se non me lo dice l’autore, l’assassino non lo scopro mai!

In realtà non sono neanche una grande fan dei polizieschi: li leggo più per la loro ambientazione che per la voglia di mettere in gioco le mie capacità divinatorie. Questa volta, ad esempio, avevo voglia di stare per un po’ sulle coste inglesi: pioggia, rocce, pecore, fattorie isolate.

NOBODY – CHARLOTTE LINK

Nobody in realtà si chiama Brian: è un bambino rimasto completamente solo al mondo e durante i bombardamenti tedeschi su Londra, nella confusione materiale e burocratica, si attacca, letteralmente, a Fiona, una bambina spedita in campagna per sottrarla al pericolo (piccola digressione: il trasferimento dei bambini nelle campagne è stata un’operazione ad ampio raggio, organizzata dal governo, per preservare le giovani generazioni: lode agli inglesi).

Ma Brian ha enormi difficoltà intellettuali: fa fatica a parlare e non capisce quello che gli viene detto. Fiona non lo sopporta: ha altri problemi per la testa. Idem per Chad, il ragazzo di cui lei si innamora, e che sogna di andare a combattere Hitler sul continente.

Questo succede negli anni Quaranta.

2008, stessi luoghi: Fiona e Chad sono ormai anziani. Lui è misantropo, lei è inacidita. E in paese avviene un omicidio. Una giovane viene barbaramente uccisa.

Pochi mesi dopo, anche Fiona viene uccisa con modalità apparentemente simili.

Ci sono molti personaggi, nel libro, ognuno col suo bagaglio di passato malato: perché non c’è nessuno che si salvi (come al solito, dovrei dire, nei romanzi polizieschi). Tutti hanno qualcosa da nascondere: è un aspetto che trovo sempre poco realista, nei gialli. La gente non è così: ad un certo punto, se non altro per stanchezza, la verità la devi dire.

Ma vabbè… non mi dispiace leggere del divorzio di Leslie, la nipote di Fiona; soprattutto non mi dispiace leggere di Gwen, l’insignificante figlia di Chad: ai limiti della bruttezza, non ha nessun tipo di formazione, né interesse, né capacità. Eppure, riesce a fidanzarsi col misterioso (e spiantato) Dave, bello e colto. Si capisce subito che lui è interessato solo alla sua fattoria…

Ecco: Gwen è un personaggio realista (salvo le ultime tre pagine). Tante donne sono un po’ Gwen… Se leggerete il libro, capirete. Perché attorno a lei gira anche tutta la storia: attorno alla sua insignificanza, ma anche alla scarsa volontà di aiutarla di chi le sta attorno. In fondo, non ci interessiamo mai davvero a certe persone.

Comunque, torniamo al libro: si legge in un battibaleno. Nonostante la predisposizione anglosassone agli alcolici (ma cavolo, sono tutti che bevono o che pensano a bere…), i dialoghi standardizzati (anche il pecoraio, con tutto il rispetto, parla come un libro stampato) e l’inverosimiglianza di un diario virtuale inviato via mail da una settantenne a un ottantenne, io l’ho letto volentieri.

Si legge in un battibaleno perché comunque la Link conosce le tecniche narrative, bisogna dargliene atto, e le si perdonano anche le ripetizioni e le prevedibilità.

Leggetelo, quest’estate. E ricordatevi: siamo tutte un po’ Gwen.


PS: forse ho comunque scoperto un modo per capire chi è l’assassino. Nei libri come questo, dove il punto di vista cambia da un personaggio all’altro, se fate attenzione, ci sono sempre uno o due personaggi il cui punto di vista non viene mai espresso… bum!

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Leggere Lolita a Teheran – Azar Nafisi @AdelphiEdizioni

Lo sapevate che tra i rimedi consigliati per placare il desiderio maschile c’è il sesso con gli animali? E qui sorge un problema non da poco: il sesso con i polli. Ad esempio ci si può chiedere se un uomo che ha fatto sesso con un pollo lo possa poi mangiare. Ma niente paura, il nostro leader ha pronta pe noi la risposta: no, né lui né i parenti più stretti possono mangiare la carne di quel pollo. Semmai, possono farlo i vicini, sempre che vivano ad almeno due porte di distanza.

Sono indicazioni fornite da un’opera dell’ayatollah Khomeini. Un’opera caldamente raccomandata per la lettura delle giovani generazioni, mentre autori “perversi” come Nabokov, James, Joyce e Austen erano visti come altamente immorali.

E’ questo il clima in cui Azar Nafisi si è trovata ad insegnare letteratura all’università.

Lei, che veniva da una famiglia colta, che di generazione in generazione si è distinta in Persia/Iran per le opere letterarie, si è trovata ad essere testimone (e a volte vittima) di ogni forma di sopruso che la mente umana possa immaginare.

Immaginare?

Verbo importante. Perché sembra che un regime – per tenerti controllato – cerchi di privarti anche della tua immaginazione.

Questo libro-memoir nasce dall’esperienza della Nafisi con un gruppo scelto di sue studentesse: per diciotto anni si sono incontrate a casa della loro insegnante per parlare di letteratura.

Erano ragazze che uscivano dalla realtà iraniana del tempo, dai ricordi di punizioni corporali e psicologiche, da limitazioni e umiliazioni, per entrare nel mondo della letteratura. E per poi scoprire che i romanzi, alla fine, parlavano proprio del mondo in cui vivevano.

Guardiamo James, ad esempio:

In quasi tutti i suoi romanzi la lotta per il potere – che è poi il motore dell’intreccio – nasce dalla resistenza dei personaggi alle convenzioni sociali, e dal loro desiderio di conservare, insieme alla stima altrui, la propria integrità.

Ma anche un romanzo come Lolita, che è solitamente considerato un’opera erotica, viene letto alla luce della loro esperienza quotidiana: e Humbert Humbert diventa un simbolo dell’uomo malvagio perché è totalmente insensibile, perché è incapace di mettersi nei panni altrui, di provare empatia, di vedere le persone per come sono, con le loro luci e le loro ombre. Insomma: un romanzo che denuncia il totalitarismo, che distingue le persone in amici e in nemici, in buoni e cattivi.

Vi dice niente che ci riguardi da vicino?

Infine, un ultimo estratto, per mostrare, se ancora ce ne fosse bisogno, la necessità che ha un regime illiberale di manipolare le informazioni:

Ogni giorno il governo faceva arrivare dalla provincia e dai villaggi autobus carichi di dimostranti che l’America non sapevano nemmeno dove fosse, e a volte pensavano che li stessero portando proprio là. Si vedevano regalare cibo e qualche soldo, e passavano la giornata a divertirsi e a far merenda con le famiglie davanti al covo di spie. In cambio dovevano semplicemente gridare “Morte all’America” e bruciare una bandiera ogni tanto.

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Il sari rosso – @javiermoro123 @rahulgandhi

Sapevo che Sonia Gandhi era italiana ma non che fosse vicentina (ehi, siamo della stessa regione)!

E ho sempre pensato (ma non sono l’unica) che Indira Gandhi fosse la figlia del Mahatma, mentre invece era solo amici: il Mahatma frequentava il padre di lei, Nehru… Indira aveva acquistato il cognome Gandhi dal marito (che tra l’altro si chiamava Ghandi, e che si fece cambiare il cognome all’anagrafe).

Sonia Maino incontrò il futuro marito Rajiv Gandhi a Cambridge, dove era andata a studiare inglese. E’ figlia di un muratore che, lavorando come un matto (da bravo veneto) era diventato imprenditore.

Persona schiva e timida, le è venuto un attacco di panico quando il futuro marito Rajiv ha cercato di farle conoscere la suocera, Indira…

E’ così che Sonia entra a far parte della famiglia Gandhi. Negli anni, acquisterà la nazionalità indiana e assumerà le abitudini del suo paese di adozione (sapevate che l’India è la più grande democrazia al mondo?).

Scordatevi rose e fiori: la biografia inizia con la morte del marito di Sonia, ucciso da un attacco kamikaze. E per chi non se lo ricorda, anche la suocera Indira era stata uccisa per motivi religioso-politici. Il nonno Nehru, invece, era morto di morte naturale, ma aveva trascorso così tanti anni in prigione che la figlia, un giorno, quando qualcuno le ha chiesto dov’era suo padre, ha dovuto dire che erano tutti in prigione…

La storia tra l’italiana e il rampollo della dinastia Gandhi (rampollo suo malgrado: non avrebbe voluto entrare in politica, a lui piaceva fare il pilota) è però una storia d’amore. Parola abusata, ma qui, stavolta, sembra che anche dopo vent’anni di matrimonio, Rajiv trovasse il tempo, tra un viaggio e l’altro, di mandare teneri biglietti.

Insomma, nonostante tutto il cinismo che ci si può mettere a descrivere la vita di una coppia trascinata dalla politica, qui bisogna tacere, e lasciar spazio al pudore.

Le disgrazie della famiglia si sono accumulate negli anni. Il fratello di Rajiv, per esempio, è morto in un incidente aereo. Sua moglie Maneka, che non è mai andata molto d’accordo con la suocera Indira e con Sonia, ha ingaggiato contro di loro una vera e propria guerra politica, dopo esser rimasta vedova.

E sullo sfondo, l’India, piena, piena zeppa di contraddizioni: un paese con un altissimo tasso di poverissimi e un bassissimo (ma in crescita) tasso di ultramiliardari. Un paese che, negli anni di Indira, è ricorso alla sterilizzazione coatta, un paese con forti divisioni religiose e una corruzione distribuita a tutti i livelli del potere.

Non è possibile riassumere in un post quasi 600 pagine di libro: a me è piaciuto, perché è ambientato in un paese lontano ma parla di quasi cinquant’anni di storia (storia che non si riesce mai a studiare a scuola). E poi perché una delle protagoniste è italiana: non dimentichiamo che Sonia Gandhi, nonostante la sua ritrosia ad entrare in politica, è stata definita da Forbes come una delle donne più influenti del pianeta.

Mi è piaciuto anche perché ha dato molto spazio alle difficoltà personali dei personaggi e alla loro (di Sonia e Rajiv) riluttanza ad entrare in politica: mi son trovata davanti ad esseri umani, non statisti. E col brutto esempio degli “statisti” che abbiamo in Italia, questa è stata proprio una boccata di aria fresca.

Ecco, se devo trovare un difetto alla biografia, è che l’autore spesso giustifica Indira: è vero che il potere ti costringe a decisioni scomode, è vero che l’amore per il figlio pecora-nera l’ha spinta a scelte criticabili, è vero che è caduta vittima di superstizioni e santoni vari… Moro sembra sempre porre più in evidenza le giustificazioni ai comportamenti più difficilmente giustificabili.

Poco male: si tratta di storia così recente che è inevitabile essere di parte. Fra una trentina d’anni vedremo da che parte tira il vento.

Mi resta una curiosità: perché un autore spagnolo si è interessato così tanto alla storia di un’italiana che è diventata un personaggio di spicco in un paese così lontano come l’India?

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