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L’orologio fu testimone (Agatha Christie)

Non so quale sia il vero titolo di questa raccolta di racconti di Agatha Christie in Italia, ma ogni tanto devo leggere qualcosa in tedesco per uscire dal lessico lavorativo pieno di Rechnungen, Lieferungen e Kunden (fatture, spedizioni e clienti).

E’ una lettura perfetta per le grigie sere invernali: pulita, senza parolacce, con gente altolocata… sì, ci sono degli omicidi (anche se non sempre), ma l’educazione delle persone coinvolte ti fa credere che il mondo sia un sistema tendente all’ordine e alle buone maniere, senza scenate né cattivo gusto.

La Christie è un po’ determinista: il carattere che hai te lo porti appresso per tutta la vita e sarà questo a determinare il tuo destino.

E’ una profezia che vale per (quasi) tutti.

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Parti in fretta e non tornare (Fred Vargas)

Non fate il mio errore: Fred Vargas è una donna, ed è francese (dunque non è un autore maschio, né tantomeno spagnolo, sigh!)

Questo libro è un giallo: ne leggo pochi, ma la Vargas mi ha conquistato nelle prime pagine per il suo stile di scrittura accurato ed elegante. E poi i personaggi sono tutti particolari.

Il primo che incontriamo sono Joss, un ex marinaio che è uscito di galera e che parla col bisnonno defunto. Non è riuscito a trovarsi un lavoro vero e proprio così se ne è inventato uno: lascia una cassetta delle lettere appesa ad un albero in un parco pubblico e la gente ci mette dentro dei messaggi con qualche spicciolo. Joss, poi, li leggerà davanti al pubblico.

Dopo di lui c’è Decambrais, un intellettuale che ha qualcosa da nascondere: ha cambiato nome e di lavoro fa il consulente in cose della vita.

I due si incontrano perché Decambrais si è accorto che tra i messaggi che Joss legge ogni giorno ce ne sono alcuni che sono presi da libri antichi che trattano della peste nera. Sono messaggi che denotano un autore colto, ma pericoloso.

E poi ci sono altri personaggi particolari: Lizbeth, ex prostituta che vive da Decambrais e si occupa della pulizia e degli ospiti dell’ostello messo in piedi (in nero) dall’intellettuale; c’è il proprietario di un negozio di skates che va sempre in giro in maniche corte anche quando fa freddo; e c’è, ovviamente, un ispettore che deve indagare su delle morti misteriose che richiamano alla mente i periodi peggiori della morte nera.

E’ un romanzo che si legge in scioltezza, anche se non dovete aspettarvi molta velocità: una certa lentezza è però compensata dalla bella scrittura della Vargas. Forse la seconda parte è più veloce, e infatti lo stile elegante cede un po’ alle necessità del dialogo e della trama.

Ovviamente, io non sono riuscita a scoprire chi era l’assassino: niente di nuovo sotto il soffitto…

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L’allieva (@AlessiaGazzola)

Non volevo leggerlo perché sono sempre sospettosa con i libri italiani da cui sono tratti serie TV (non so perché), ma quando ho iniziato, dopo le prime pagine mi son detta: perché nessuno mi ha mai detto come scrive bene la Gazzola?

Infatti il primo capitolo, in cui ci presenta Alice Allevi mi è saltato subito all’occhio per la sua prosa ricca e mai scontata. Certo, nel corso del libro l’unicità dello stile cede il passo alla storia, ma la Gazzola resta comunque brava.

Alice Allevi, dunque, è una specializzanda al secondo anno in medicina legale, ma non è fatta per questo mestiere: troppo emotiva, pasticciona, imbranata e troppo empatica coi parenti delle vittime. Però è intelligente, ed è questo che le permette di arrivare dove certi suoi colleghi non arrivano.

Oltre al giallo, la morte di una giovane che Alice aveva fuggevolmente incontrato il giorno prima, assistiamo alle vicissitudini romantiche: aveva una cotta per un collega, Claudio, che è un po’ testina di pisello (proprio antipatico) ma alla fine si mette assieme ad un giornalista che è il figlio del suo capo.

Ecco, personalmente, io le parti romantiche le avrei saltate: ho iniziato a leggere questo libro perché volevo atmosfere da medicina legale americana, invece qui non si assiste alle autopsie, e gli indizi scientifici sono secondari rispetto alla trama.

Questo è un punto debole.

Un altro punto debole è che ad un certo punto Alice parte per il Sudan in cerca del suo ragazzo, e precisamente va a Karthoum. Beh, si sente che la Allevi non c’è mai stata: quando la protagonista arriva, mi manca tutta la descrizione del paesaggio, manca proprio, visto che Alice non era mai stata in Africa. Un po’ di sorpresa la vogliamo mostrare?

Ma questi sono dettagli. E’ comunque un libro da leggere, soprattutto quando ci si vuole rilassare senza tante pretese.

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La principessa di ghiaccio – Camilla Laeckberg

Avendo quattro romanzi dell’autrice sullo scaffale, e non avendone mai letto uno, ho preso il più breve, che è anche l’inizio della storia di Erica e Patrik, scrittrice la prima, poliziotto il secondo.

E’ un giallo, dunque si fa leggere fino alla fine perché si vuol conoscere l’assassino, ma c’è anche l’inizio della storia tra Erica e Patrik, storia che mi fa un po’ tristezza perché mi sembra che lei, a 35 anni, fosse troppo preoccupata di restare sola, e dunque si è lanciata su Patrik (a volte le scelte di cuore portano a coppie che durano tutta la vita, sì, ma spesso si tratta di scelte obbligate).

Non mi è piaciuto il personaggio di Mellberg, il capo della polizia: troppo macchietta. Ha tutti i difetti di questo mondo: grasso, pelato, sessista, puzzolente, incapace, borioso, falso, egocentrico… mentre è più credibile Erika, con la sua fisima di ingrassare e di dover iniziare quanto prima la Weight Watcher.

C’è un punto che non mi convince. Quando Anna, la sorella di Erika, le confessa:

So che a te Lucas non è mai andato a genio, ma io lo amavo veramente. In qualche modo cercavo di razionalizzare il fatto che mi picchiava.

Lucas è il marito di Anna. Ma nel libro manca la parte in cui le due sorelle parlano di Lucas che picchia la moglie. Erika lo ha capito perché Lucas ad un certo punto ha uno scatto di rabbia verso di lei, ma non ne ha mai parlato con la sorella. Questa frase di Anna, buttata là, sembra caduta dal cielo.

Giudizio complessivo: niente di che, ma se non avete altro da fare, piuttosto di guardare la TV, leggetelo. Consigliata la lettura in estate quando il calore è torrido, perché qui dentro è pieno di paesaggi innevati.

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Camilleri: due letture

Inizio a prepararmi a una prossima visita alla Sicilia leggendomi Camilleri, un autore che, timorosa di avventurarmi in idiomi poco conosciuti, non avevo mai incontrato prima.

Il corso delle cose, scritto nel 1968, ma pubblicato solo nel 1978 da Antonio Lalli Editore (modestamente, io ho proprio il volume della prima edizione eh eh!) mi è risultato ancora leggibile.
Il racconto I fantasmi, nell’edizione speciale per E, il mensile di Emergency, mi è già venuto più ostico.

Io la Sicilia letteraria la conoscevo tramite un Pirandello e uno Sciascia, dunque ne avevo un’idea un po’ traslata e un po’ (!!) mafiosa. Ora integro la visione parziale con un’idea, come dire, passionale? “Qua, da noi, si muore solo di corna” dice l’ultima riga del romanzo.
Quello che più mi è rimasto impresso è che l’immagine uscente dalle due letture non è lusinghiera, e sì che a scrivere dei siciliani è un siciliano. Intanto, i siciliani veri, quelli che si incontrano al bar, la mafia la negano: se c’è un omicidio, lo hanno commesso quelli di fuori, e se lo commettono i locali, allora non è mafia, ma è un delitto d’onore (i richiami ad Arpino sono d’obbligo, sebbene il suo romanzo sia ambientato nell’avellinese).

Poi: i siciliani non parlano con le autorità. E qua, nella mia testa da polentona, nasce la confusione: voglio dire, Vito, il protagonista, viene usato come bersaglio del tiro a segno. Lui è uno che non ha mai preso posizione e non riesce a capire chi lo vuole morto. Ma dopo che gli hanno sparato due colpi di lupara, pensate che vada a fare la denuncia dai carabinieri? Macchè. Zitto sta. Questo è un comportamento da siciliano? Boh, io non lo capisco proprio. Se mi sparano (ma anche se mi strisciano la macchina, ma anche se mi fanno la pipì davanti al cancello), io, la prima cosa che faccio, è andare dai carabinieri. Sì, quelli che mi conoscono lo sanno: io vado pazza, ma proprio pazza per la divisa dei carabinieri, non ne esiste una più bella, i carabinieri sono la fine del mondo (finché portano la divisa… in borghese, bè, sono uomini come gli altri). Però, insomma, qualcuno ti spara e tu stai zitto e muto? Non lo capisco, no, decisamente no.

Ancora: la descrizione della processione di Don Calogero è eccezionale. Ma, di nuovo, la visione che ne esce, del siciliano degli anni Quaranta-Sessanta, non è lusinghiera: a parte i soldi appesi alle corde della statua del santo, il vino che gli danno da bere, e i chili di pane che lanciano dalla finestra al suo passaggio, ad un certo punto, la folla decide che il santo è sudato e che bisogna detergergli il sudore dalla fronte. E uno che fa, prende un fazzoletto e gli asciuga la fronte? Eh no, troppo normale. Molto meglio prendere il primo gatto vivo che gli passa tra le mani, e sfidando artigli e morsi, usarlo per asciugare la statua… Ma, Camilleri, che ti hanno fatto i tuoi paesani per descriverli così?
Scherzo, la licenza letteraria è salva, da queste parti…

Infine: c’è un eroe? NO: né nel romanzo né nel racconto c’è un vero e proprio eroe, del tipo: la persona tutta d’un pezzo, quei fantoccini perfetti che si trovano nei libri di Dan Brown, per intenderci (ah, sto leggendo Inferno… ma neanche topo Gigio…). Lasciando da parte gli stupidotti, i cornuti e i cornificatori e le buttane , i commissari irascibili seppure intelligenti, gli ubriaconi, i poveracci e i presunti intellettuali, i preti (che non parlano, magari per ragioni diverse dalla sicilianità…), i comunisti, cosa resta?
La curiosità di saperne di più. Passiamo al prossimo di Camilleri.

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La salute in tasca, Alberto Fiorito

Breve testo da leggere in un paio d’ore.
Breve, ma ripetersi certe conoscenze non fa male: antiossidanti, accumulo di tossine nel corpo, attività fisica.
Non dico che si impari molto, ma può essere un trampolino di partenza per chi vuole approfondire (anche perché alla fine ha inserito un paio di pagine con altre letture consigliate: Dio ti ringrazio).
Ad esempio: con mio figlio ho la tendenza a dimenticare che la febbre è un sistema di guarigione del corpo.

Ma… se lo dimentica spessissimo anche la pediatra che mi prescrive l’antibiotico.

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La morte non sa leggere, Ruth Rendell

E’ un espediente per vendere di più, quello di attribuire la caratteristica di giallo ad ogni libro in cui compaia un morto. Ecco il caso. Già il titolo della versione italiana parla di morte, mentre il titolo originale non la menziona direttamente.

Fin dall’inizio si sa che Eunice Parchman, una donna analfabeta di mezza età, compirà una strage. Si sa chi uccide, e, apparentemente, perché: perché non sa leggere.
La realtà, invece, va oltre.

La buzzurra di turno che si lascia travolgere dalle circostanze, che si lascia trascinare dalle persone che frequenta, che è preda delle proprie emozioni animali e che non sa apprezzare una rosa… non è mica così lontana dal nostro mondo! Il passo dall’abulia mentale alla strage, ci dice la Rendell, non è così ampio.

Ma l’analisi dell’autrice si estende anche alla classe “superiore”, alle persone che leggono: sono davvero sempre così superiori? O non soffrono piuttosto di una sindrome di superiorità, che li rende spesso inconsapevoli di coloro che hanno davanti se non appartengono alla loro stessa classe? Frasi apparentemente occasionali (come, ad esempio: “col solito tono pomposo che assumeva con lei”) ci dicono che il dramma finale è preparato da anni, se non da decenni, da secoli, di incomprensioni.

E tu, a che classe appartieni?
E io?

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Le lacrime della giraffa, Alexander McCall Smith

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Consiglierei la lettura di questo libro?
Mah. E’ un giallo sui generis: è vero che c’è un’indagine (anzi, due), ma ci sono anche delle storie parallele il cui scopo, mi pare, è quello di raccontare un po’ la vita del Botswana. Come molti romanzi gialli, c’è poco approfondimento psicologico, e i personaggi principali non cambiano nel corso della narrazione. Inoltre l’approccio è molto manichea: queste sono le persone buone, e queste sono le persone cattive; con l’aggravante che sono presentate così fin dall’inizio, dunque non abbiamo neanche un minimo di sorpresa quando si comportano in una certa maniera.
Le capacità investigative della stessa signora Precious Ramotswe si basano troppo sull’intuito, non creano empatia: cosa che potrebbe avvenire se lei arrivasse a certe conclusioni utilizzando la logica, che, in qualche maniera, abbiamo tutti, magari con un po’ di esercizio.

Insomma, lo consiglierei, come lettura?
Può darsi, ma solo d’estate e solo a chi ha voglia di uscire dalla nostra cinica società capitalistica per entrare in un’atmosfera piena di ingenuità e acacie spinose. Non sono ironica. A volte questo bisogno lo sentiamo un po’ tutti, no?

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