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L’amore fatale (Ian McEwan)

Tutto inizia con un incidente in mongolfiera: Joe, il protagonista, è un giornalista scientifico e sta per iniziare un pic-nic in un prato con la sua fidanzata, quando sente delle urla.

La mongolfiera è quasi a terra: è trascinata dal vento, e all’interno c’è un ragazzetto immobilizzato dalla paura, mentre lo zio, che guidava, non riesce a rientrare per spegnere il gas. Poco vicino, i fili dell’alta tensione.

Joe e altri uomini corrono per cercare di tenere a terra il veicolo volante, ma ci scappa il morto.

Ebbene, appena dopo l’evento, Parry, un giovane che aveva cercato di aiutare, rivolge la parola a Joe chiedendogli di pregare insieme. E qui inizia tutto.

Parry è un’ossessione: è convinto che Joe gli stia mandando dei messaggi, che lo ami, che siano destinati a vivere insieme per il resto della loro vita.

Joe comincia a perdere i punti di orientamento: non è più soddisfatto del suo lavoro, va in crisi con la fidanzata.

Prova a denunciare Parry alla polizia ma nessuno ha davvero commesso un reato, non ci sono neanche aperte minacce: le minacce sono solo velate.

Tutto precipita nella seconda parte del romanzo, quando avviene un tentativo di omicidio e Joe decide di procurarsi un’arma.

Adoro lo stile di McEwan.

All’inizio ci sono continui rimandi a ciò che sta per accadere, e questo crea una bella tensione che ti costringe ad andare avanti con la lettura. E poi ci sono tante digressioni interessanti.

E, ovviamente, la sua scrittura: la sua creatività verbale è infinita.

McEwan ha già trattato le ossessioni in altri suoi libri, direi che è il suo tema preferito.

Siamo ai limiti dell’amore, sconfiniamo nella patologia (sindrome di Clérambault). Per chi non vuole annoiarsi con i sentimenti e le sensazioni annacquate di tutti i giorni.

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Spider (Patrick McGrath)

Nessuno mi toglie dalla testa che per descrivere realisticamente i meandri di una mente malata uno scrittore deve essere un po’ pazzo. L’autore di “Follia” e di “Grottesco” è troppo bravo a farci entrare nelle circonvoluzioni cerebrali di gente rinchiusa in manicomio: mi piacerebbe conoscerlo nella sua vita di tutti i giorni.

Questa storia è raccontata in prima persona da Spider: non si capisce subito dove si trova. All’inizio sembra via in un bed & breakfast, poi, pian piano, si delinea tutta una serie di divieti a cui è sottoposto. La padrona di casa, ad esempio, gli prepara la vasca per il bagno, e lui non può possedere certi oggetti (un diario, una corda…).

Spider nomina spesso il Canada, dove ha trascorso una ventina d’anni, ma solo nel corso del romanzo si capisce che era in un manicomio.

E pian piano, salta fuori anche la storia della sua infanzia e dell’omicidio della madre ad opera del marito, che si era trovato un’amante.

O no?

Spider è un narratore inaffidabile ma affascinante, ama il buio, i luoghi umidi, il grigiore di Londra, e sente le voci delle creature che vivono nel solaio. E’ convinto che un verme abbia fatto il nido nell’unico polmone che gli è rimasto.

La fantasia schizofrenica è eccezionale e la discesa negli inferi è graduale ma certa.

Adoro questi libri!

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E poi siamo arrivati alla fine (Joshua Ferris)

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No, non ho scelto il libro perché il titolo, in questi giorni di COVID-19, è beneaugurante, tant’é che questo romanzo non ha nulla a che fare con i virus: si parla di ufficio e di impiegati.

Siamo a Chicago in una grossa agenzia pubblicitaria. La storia è raccontata dal punto di vista di un “noi” non meglio precisato.

In realtà non c’è una vera e propria storia, ce ne sono tante: tutto è pettegolezzo, tutto è riportato, tutto è chiacchiera, tutto è dialogo. Raccontare quello che si sa (o si pensa di sapere) degli altri è lo sport ufficiale.

Lynn, la socia fredda e orientata al business, ha un tumore al seno, ma se ne avrà la certezza solo dopo metà libro. Tom Mota è (forse) pazzo e si aspettano che, dopo il licenziamento, torni ad uccidere tutti. Amber è incinta di Larry, che però non vuole mettere a repentaglio il suo matrimonio e che vorrebbe che lei abortisca.

Carl, sposato con un’oncologa, è in depressione e ruba le medicine di una collega, anche lei in depressione perché le hanno rapito e ucciso la figlia di otto anni.

Ho avuto le mie difficoltà a inquadrare tutti i personaggi, perché sono tanti,  e l’unica caratteristica che li unisce è lo spauracchio del licenziamento.

Faccio notare una cosa: della vita che ognuno di loro conduce fuori del lavoro non si sa quasi nulla. Sintomatico il fatto che la vicenda attraversa l’11 settembre e questo non viene neanche nominato.

Alla fine la lettura ti prende, però questo libro non finirà nella lista dei miei libri preferiti.

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Fingersi medico per 18 anni

L’AVVERSARIO, di Emmanuel Carrère

Fingere di essere un medico ricercatore presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità in Svizzera… e non essere neanche laureato in medicina!

Sembra incredibile ma il francese Jean-Claude Romand lo ha fatto. Il castello di carte è crollato solo nel 1993, dopo che ha ucciso la moglie, i due figli di cinque e sette anni, e i vecchi genitori.

Per diciotto anni, nessuno tra parenti e amici si è accorto che Jean-Claude passava le sue giornate in giro per i boschi o, quando fingeva di andare a convegni, rintanato in una stanza d’albergo.

E i soldi? Bè, disponeva di una delega sul conto corrente dei genitori. Inoltre, alcuni amici e parenti gli avevano consegnato somme ingenti, perché aveva raccontato loro che, in quanto medico di un organismo internazionale, poteva depositare i soldi in Svizzera e guadagnarci il 18% di interessi.

Sconcertante anche il modo in cui presentava la dichiarazione dei redditi: aspettava che sua moglie firmasse i suoi moduli, poi lui firmava i suoi; ma sotto la voce “professione” indicava “studente” e allegava fotocopia del suo tesserino universitario (perché per anni ha continuato a pagare le tasse).

Ha smesso di dare esami al secondo anno di università. Frequentava le lezioni, andava tutti i giorni in biblioteca a studiare, prestava appunti agli amici, ma non dava esami. Si presentava alle sessioni all’inizio e alla fine, ma, approfittando della calca, nessuno si accorgeva che non entrava.

In casa, lasciava in giro tesserini di varie associazioni mediche, di cui pagava l’iscrizione, e non dava mai il suo numero di ufficio a nessuno, neanche alla moglie, con la scusa che all’Oms non si poteva disturbare (usava un cercapersone).

Pazzesco.

Al processo, Carrère era presente.

La sua attenzione si è focalizzata sulla personalità di Romand, così preso dalle proprie menzogne da non capire ormai più cosa era vero e cosa falso.

Gli hanno dato l’ergastolo. Oggi ha 64 anni e spesso, nei giornali francesi, si parla di liberarlo.

L’aspetto che invece mi ha colpito di più di tutta questa storia, al di là della paura di Romand per il Giudizio, sono gli Altri.

Per quanto sia stato astuto Romand nel nascondere la propria vera vita, mi chiedo quale sia stato il livello di attenzione di parenti ed amici. Perché una persona può sì essere schiva, timida, modesta, come spesso lo descrivevano, ma quanto può essere superficiale un rapporto? Un matrimonio? Un legame genitori-figlio?

Quanto conosciamo, noi, degli altri?

O, e la domanda è ancora peggiore: quanto ci interessa conoscere, degli altri?

E’ un libro che va letto per rendersi conto dei limiti cui può arrivare l’essere umano, dunque mi permetto di consigliarvene l’acquisto sul link affiliato Amazon qui.

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Creatura di sabbia – @Tahar_B_Jelloun

Romanzo fuori dal comune, visionario, fiabesco, sensuale, comunque ispirato a una storia vera.

Marrakech. Ahmed è l’ottavo figlio dopo sette sorelle. Vive da uomo, gestisce il patrimonio familiare ed impedisce che l’eredità paterna venga distribuita fra gli zii, si comporta da uomo quando è necessario, addirittura si sposa… ma Ahmed è una donna. E’ nata donna e il padre lo ha tenuto nascosto al mondo.

Ahmed accetta il suo destino per anni; per anni ubbidisce alla volontà paterna. Poi, dopo una crisi che lo/la porterà a ritirarsi dal mondo, uscirà dalla propria camera per ritrovare la sua identità. Finirà in un circo come attrazione ambigua: e per un certo periodo sarà anche felice, finché il mondo non gli farà pagare l’annoso furto di personalità.

La sua storia è raccontata attorno al fuoco da beduini e mercanti, in seguito al ritrovamento del suo manoscritto. Quando il proprietario del manoscritto morirà e il documento sarà dato per disperso, ci penseranno i suoi compagni a completare la storia, ognuno a modo proprio.

Per me, che col francese ci marcio poco, non è stata una lettura facile, perché lo stile è molto poetico, pieno di visioni, sogni ed immagini, e dopo un po’ il ritmo rallenta. E’ comunque un romanzo che fa riflettere sull’imposizione dell’identità da parte della società.

E’ una letteratura che racconta una storia estrema, ma metaforica: un exempla di come i ruoli sociali possono stravolgere le persone.

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Le passioni della mente – Irving Stone

Romanzo biografico su Sigmund Freud

Irving Stone è conosciuto principalmente come autore di biografie romanzate. Lui stesso, in un video su youtube, si definisce un Bookworm, uno che va pazzo per i libri. Il suo primo incontro con Freud è stato a diciannove anni, quando, appena entrato all’università, ha fatto una capatina nella biblioteca, e si è portato via, tra l’altro, “Psicopatologia della vita quotidiana”: che coincidenza! Questo è proprio il titolo che ha fatto innamorare me, di Freud, quando avevo sedici anni! Ed è anche il libro che Freud ha scritto per il vasto pubblico, mentre prima i titoli si indirizzavano principalmente al mondo medico, visto che la psicanalisi doveva ancora farsi accettare come scienza.

Ma torniamo alla biografia.

Il romanzo inizia quando Freud ha poco meno di trent’anni e sta facendo la corte a Martha, sua futura moglie. Si è appena laureato e il suo sogno sarebbe quello di lavorare nell’università, come ricercatore, ma non ce la fa. Intanto però mette da parte un bel po’ di esperienza con le malattie organiche… Ci vuole molto prima che lui si accorga di aver dato inizio ad una nuova scienza della psiche (ricordo che allora la psicologia non era considerata come una scienza), e non gli mancano i detrattori.

Pian pianino, l’impalcatura della psicanalisi cresce e si espande a tutto il mondo. Prima di arrivare a questo, però, il dottor Freud dovrà superare molte difficoltà: dall’antisemitismo (lui era ebreo, sebbene non praticante), al baronaggio, alle invidie, alle guerre… Ci sono diversi periodi in cui Freud ha difficoltà a comprarsi un abito nuovo o un nuovo paio di scarpe, soprattutto all’inizio della sua carriera.

Ci sono due punti importanti che caratterizzano Freud (così come molti altri personaggi famosi):

1: non si demoralizzava quando riceve critiche, anche se pesanti, e anche se queste provenivano da persone di cui lui aveva un’altissima stima. Era convinto, appassionato, innamorato di quello che stava studiando e continuava per la sua strada.

2: pian pianino si costruì una rete di amicizie. E che amicizie! Breuer, Adler, Rank, Steiner, Jung, Ferenczi, Lou Salomé… Tutta gente con la quale poteva discutere e lo aiutava a diffondere le sue idee. Arrivò ad avere dei contatti anche con Thomas Mann ed Einstein.

A me la psicanalisi piaceva molto una volta, prima di scoprire che non spiegava tutto; dunque la biografia interessava. Devo però ammettere che questo romanzo è troppo lungo (873 pagine): in particolare, l’autore avrebbe potuto risparmiarci alcuni casi psicanalitici; ne vengono riportati davvero tanti, molti dei quali già letti nei testi originali di Freud; forse qui era il caso di essere un po’ più sintetico (anche perché poi, alla fine, le cause delle malattie per la psicanalisi sono sempre le stesse, più o meno).

Inoltre, Stone avrebbe fatto bene ad essere più sintetico anche sulle parti che riguardavano le vacanze: ogni anno in estate la clientela di Freud andava in villeggiatura, e siccome il dottore restava quasi senza nulla da fare, si godeva anche lui le vacanze. Ecco: descrivere le varie case o alberghi con i dintorni, nonché le attività con cui trascorrevano le giornate (passeggiate e passeggiate!), alla fine allunga molto il libro senza dire nulla di concreto sulla vita del protagonista.

A parte questi due punti, libro consigliato a chiunque interessi la vita di questo pioniere della mente umana.

 

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I mandarini – Simone De Beauvoir @Einaudieditore

E’ considerato da molti il suo miglior romanzo: dovevo leggerlo, per rendermi conto delle ragioni per cui la De Beauvoir afferma così spesso, nella sua autobiografia, di essere una Scrittrice.

La prima impressione che ne ho avuta è che la De Beauvoir è sì una grande filosofa e grande saggista, ma non la definirei grande scrittrice. Lei non crea mondi: ne riferisce. Questo volume è in grandissima parte tratto dalla sua vita reale, ne ruba personaggi, temi e ambientazioni. Se alla fine mi sono appassionata nella lettura, non è certo per la prosa, che è secca e descrittiva; piuttosto, per la stimolante atmosfera intellettuale che riporta in vita.

Non c’è una trama specifica: il libro narra di un gruppo di intellettuali alla fine della seconda guerra mondiale e ne riporta le discussioni e i crucci. Si spazia dal ruolo della letteratura (serve ancora?), alla vecchiaia e alla morte; dalla scelta, se scelta ci deve essere, tra l’Urss e gli USA, alla crisi dei giovani che mancano di figure con cui identificarsi; dall’impegno in politica alla possibilità di darsi a una vita estetizzante; dall’amore alla libertà, a molti altri temi.

I personaggi sono ricalcati sui caratteri delle persone che la De Beauvoir davvero frequentava. Sembra che Henri Perron sia l’alter ego di Camus, così lacerato tra la voglia di fare qualcosa per le ingiustizie del mondo e la tentazione di tirarsi a scrivere in un angolino sperduto del pianeta. Dubreuilh è Sartre, e sua moglie Anne è la Beauvoir stessa. L’americano Lewis è Nelson Algren, lo scrittore con cui la scrittrice ha davvero avuto un’appassionante storia d’amore (finita in modo piuttosto squallido, devo dire). Sezenak dovrebbe essere Koestler con la sua furia verso l’Urss. E chissà chi sono gli altri.

Fatti eclatanti ce ne sono (omicidi di ex informatori della Gestapo, falsa testimonianza per salvare un’amante, scenate e pianti…) ma il grosso del libro, e sono 764 pagine, è dato dalle conversazioni tra intellettuali,  dai dubbi di schieramento, dalle riviste culturali, dai dibattiti in merito agli eccidi in Madagascar, dall’opportunità di pubblicare o meno un articolo sui campi di lavoro sovietici ecc…

Insomma, la De Beauvoir ha mantenuto vivo un mondo.

Infine, ci sono frasette qua e là che, pur nella loro perentorietà, ti danno l’idea della sua capacità di analisi delle persone; in particolare, della gente che scrive:

(…) non s’indovina così, a prima vista, se qualcuno ha o no del talento, ma si fa presto a capire se abbia delle vere ragioni di scrivere: tutti quei figurini da salotto scrivevano solo perché, quando si vuol fare la vita letteraria, è necessario in generale scrivere qualcosa; ma nessuno di loro amava il tete-à-tete con la carta bianca; desideravano il successo nella sua forma più astratta.

 

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Quando leggerai questa lettera – Vicente Gramaje @LibriLonganesi

Prima di tutto, lasciatemi dare un consiglio alla Longanesi: per favore, non usate foto di copertina che non c’entrano un cavolo con la storia del libro. Si creano delle aspettative sbagliate; e poi, indipendentemente da come è il libro, se il risultato si discosta dalle aspettative subentra la delusione. Ci tengo a sottolineare che questo romanzo l’ho letto tutto, non l’ho sospeso come faccio con quelli che non mi coinvolgono, ma mi metto nei panni di un lettore giovane, che prende il volume perché ci vede la foto di una ragazzina sopra e crede di incontrare almeno un personaggio con cui poter identificarsi per vicinanza di età…

Copertina a parte, passiamo al romanzo.

Inizia in Marocco, con la scoperta di una fossa comune in cui il protagonista Victor Monteoscuro trova una lettera in una bottiglia. Se la porta via di nascosto e decide di consegnarla alla destinataria, Noelia, anzi, meglio, ai suoi discendenti, visto che si tratta della lettera scritta dal suo innamorato nel 1921, durante l’assedio di un piccolo drappello di soldati spagnoli da parte dei belligeranti locali.

La ricerca non è facile, perché il paese in cui viveva la destinataria della lettera non esiste più e, con la guerra civile di mezzo, alcuni nomi sono stati cambiati, ma con l’aiuto di Giulia Navarro, una militare di cui si innamora, Viktor riuscirà alla fine a scovare i nipoti e i bisnipoti del capitano Gimeno.

Si arriva alla fine del libro perché si vuole “vedere” il figlio di Noelia, ma lasciatemi fare alcune critiche ai difetti che non ho potuto fare a meno di notare.

Intanto: Giulia Navarro ad un certo punto del romanzo, a relazione già iniziata con Viktor, gli dice che non lo vuole nella sua vita, facendogli capire che insieme stanno bene ma che non vuole relazioni fisse. Dopo un paio di capitoli, si legge:

Uscimmo dal ristorante consapevoli che la nostra relazione sarebbe andata ben oltre i limiti imposti dal mese di ferie di Claudia.

E questo cambio di idea da dove nasce, da una semplice chiacchierata al ristorante? Troppo repentino.

Poi: secondo me si doveva dire fin dall’inizio cosa ci fa Viktor in Marocco. Si è preso un congedo di un anno perché deve riprendersi dalla morte della moglie. Se manca questa informazione, lui davanti alla fossa comune sembra un semplice curioso che si porta via un souvenir.

Poi: questa Giulia Navarro ad un certo punto si mette a discettare sulla storia della Spagna e delle sue conquiste coloniali con tanto di nomi e date che farebbe concorrenza alla relazione di un professore universitario. Mi domando: è credibile?

Poi: Viktor è un medico e si dilunga spesso sui dilemmi etici della sua professione, soprattutto in merito al fine-vita. Ho trovato tutte queste parti troppo parallele alla storia principale: non si intersecavano con la vicenda di Gimeno e Noelia. Potevano essere interessanti, ma non intervenivano a mandare avanti la storia.

Infine: Viktor, il protagonista, è un medico. L’autore Gramaje è un medico. E giuro, non ho mai trovato un libro in cui si fumi così tanto! Forse solo in “La coscienza di Zeno”, dove però lo si definiva chiaramente come vizio e si cercava di combatterlo. Qui in ogni capitolo c’è qualcuno che fuma, offre o prende in prestito sigarette. Davvero: sembra un romanzo foraggiato dall’industria del fumo! Lasciatemi sfogare: questo Gramaje deve solo vergognarsene. Non si può parlare delle belle sensazioni che ti dà una sigaretta dopo un certo avvenimento; non mi interessa che un romanzo deve dirti le cose come stanno e non come dovrebbero essere. Non raccontatemi che i gialli parlano di omicidi e ciononostante non incitano all’omicidio: c’è una bella differenza. Nei film contemporanei le sigarette sono quasi sparite, eppure si continua a fare bei film. Vogliamo finirla col fumo? Che schifo.

 

 

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