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Leggere Lolita a Teheran – Azar Nafisi @AdelphiEdizioni

Lo sapevate che tra i rimedi consigliati per placare il desiderio maschile c’è il sesso con gli animali? E qui sorge un problema non da poco: il sesso con i polli. Ad esempio ci si può chiedere se un uomo che ha fatto sesso con un pollo lo possa poi mangiare. Ma niente paura, il nostro leader ha pronta pe noi la risposta: no, né lui né i parenti più stretti possono mangiare la carne di quel pollo. Semmai, possono farlo i vicini, sempre che vivano ad almeno due porte di distanza.

Sono indicazioni fornite da un’opera dell’ayatollah Khomeini. Un’opera caldamente raccomandata per la lettura delle giovani generazioni, mentre autori “perversi” come Nabokov, James, Joyce e Austen erano visti come altamente immorali.

E’ questo il clima in cui Azar Nafisi si è trovata ad insegnare letteratura all’università.

Lei, che veniva da una famiglia colta, che di generazione in generazione si è distinta in Persia/Iran per le opere letterarie, si è trovata ad essere testimone (e a volte vittima) di ogni forma di sopruso che la mente umana possa immaginare.

Immaginare?

Verbo importante. Perché sembra che un regime – per tenerti controllato – cerchi di privarti anche della tua immaginazione.

Questo libro-memoir nasce dall’esperienza della Nafisi con un gruppo scelto di sue studentesse: per diciotto anni si sono incontrate a casa della loro insegnante per parlare di letteratura.

Erano ragazze che uscivano dalla realtà iraniana del tempo, dai ricordi di punizioni corporali e psicologiche, da limitazioni e umiliazioni, per entrare nel mondo della letteratura. E per poi scoprire che i romanzi, alla fine, parlavano proprio del mondo in cui vivevano.

Guardiamo James, ad esempio:

In quasi tutti i suoi romanzi la lotta per il potere – che è poi il motore dell’intreccio – nasce dalla resistenza dei personaggi alle convenzioni sociali, e dal loro desiderio di conservare, insieme alla stima altrui, la propria integrità.

Ma anche un romanzo come Lolita, che è solitamente considerato un’opera erotica, viene letto alla luce della loro esperienza quotidiana: e Humbert Humbert diventa un simbolo dell’uomo malvagio perché è totalmente insensibile, perché è incapace di mettersi nei panni altrui, di provare empatia, di vedere le persone per come sono, con le loro luci e le loro ombre. Insomma: un romanzo che denuncia il totalitarismo, che distingue le persone in amici e in nemici, in buoni e cattivi.

Vi dice niente che ci riguardi da vicino?

Infine, un ultimo estratto, per mostrare, se ancora ce ne fosse bisogno, la necessità che ha un regime illiberale di manipolare le informazioni:

Ogni giorno il governo faceva arrivare dalla provincia e dai villaggi autobus carichi di dimostranti che l’America non sapevano nemmeno dove fosse, e a volte pensavano che li stessero portando proprio là. Si vedevano regalare cibo e qualche soldo, e passavano la giornata a divertirsi e a far merenda con le famiglie davanti al covo di spie. In cambio dovevano semplicemente gridare “Morte all’America” e bruciare una bandiera ogni tanto.

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Dio, una storia umana – Reza Aslan @rizzolilibri

Un libro che è al tempo stesso un ampio resoconto di storia delle religioni e un personale percorso spirituale.

Aslan parte dagli inizi, da come l’uomo ha creato la religione, parla del bisogno di spiegare e ingraziarsi i fenomeni naturali, dell’innata credenza nell’anima separata dal corpo, e dell’incremento del pantheon degli Dei in varie parti del mondo, per arrivare alla fine (ma non dappertutto) al concetto di unico Dio.

Aslan ci dice che Dio è a nostra immagine, ed è ovvio: Come ci si può immaginare Dio se non lo si associa a qualcosa che già si conosce? Cosa si conosce meglio di se stessi? Ma dare agli dei i nostri stessi vizi e virtù, può risultare controproducente, a volte ottiene effetti ridicoli, ed ecco, nei secoli, sollevarsi l’esigenza di un Dio unico, che ricomprenda in sé tutti gli aspetti dell’umano.

Il monoteismo (che è diverso dalla monolatria) ha fatto una fatica bestia a farsi accettare: la gente semplice non lo comprendeva, non riusciva a concepirlo proprio. Il primo tentativo di monoteismo è sorto in Egitto, nel 1300 a.C, ed è finito male, col popolo che ha distrutto le statue del faraone che ha provato a imporlo. Il secondo tentativo di monoteismo è arrivato dalla Persia (l’attuale Iran) con Zoroastro, e anche lui, col suo Ahura Mazsa, ha ottenuto pochissimo successo: pensiamo che nei primi dieci anni della sua predicazione è riuscito a convertire solo un suo cugino…

Un monoteismo più duraturo lo mettono in piedi gli ebrei, anche se la storia non è così granitica: gli ebrei all’inizio erano politeisti. Se alla fine optano per un Dio unico, lo fanno dopo il primo esilio, scegliendo Jahvè (che tuttavia per un pezzo farà fatica a distinguersi da El/Elhoim), più per bisogno di unità che per motivi spirituali.

A quel tempo non si fronteggiavano solo gli eserciti, ma anche gli dei: nello scontro Jahvé-Marduk, aveva vinto quest’ultimo. E gli israeliti non sapevano spiegarselo… perciò si son detti: ma certo, abbiamo perso perché non ci siamo dedicati al vero Dio, Jahvè, ma abbiamo adorato anche gli altri…

Ecco perché Jahvè si definisce Dio geloso: per giustificare la sconfitta contro i babilonesi! Così, una volta fatti schiavi e mescolati a decine e decine di altre etnie, si sono stretti attorno al Dio prescelto: facendo questo, hanno potuto continuare a riconoscersi come popolo.

Ciò non significa che tutti gli israeliti venerassero davvero solo un dio, e il racconto del vello d’oro è significativo in questo senso: era un tentativo di tornare agli dei originali mentre Mosè (di cui non abbiamo tracce archeologiche, e che viene nominato solo nella Bibbia) andava a prendere le tavole della legge.

Con l’avvento del cristianesimo i casini sull’unità/trinità di Dio aumentano e non di poco: se si arriva a una conclusione univoca, è perché si dice: “E’ così, è per fede”, e si chiude la questione.

Aslan fa degli interessanti parallelismi tra nascita del monoteismo e nascita di un sistema morale (prima la religione non si interessava di moralità vera e propria, non c’erano sistemi di punizione/premiazione post-mortem).

Trovo interessante anche i tentativi messi in piedi dalle varie religioni per giustificare ognuna la propria visione di Dio: di chiacchiere ne hanno fatto non sono i nostri (marcioniti, agnostici ecc…) ma anche i mistici/religiosi altrui (sufi ecc…).

E’ un libro che affronta molti tempi ma in maniera semplice, adatta anche ai non-specialisti. C’è un punto in particolare che mi ha fatto sorridere.

Quando Mosè parla con Dio al roveto ardente, Dio gli si presenta come Jahvè, il dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Ma, dice Aslan, Abramo, Isacco e Giacobbe non sapevano neanche chi fosse, ‘sto Jahvè, perché loro adoravano, tra gli altri, El, non Jahvè!

La storia delle religioni è affascinante perché le religioni si impongono a dispetto di tutto, specie a dispetto della loro mancanza di vantaggio evolutivo: Aslan menziona Durkheim, Freud e altri, per elencare i motivi possibili di questo successo planetario, ma non si giunge mai a una conclusione univoca.

Un sola cosa sembra chiara: l’idea che siamo anime incarnate è universale ed è sempre esistita. Non si sa da dove arrivi questa idea, si sa solo che c’è sempre stata.

Affascinante.

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Sogni di pioggia, @ginanahai @librimondadori

Ma che bel libretto da leggere sul lettino in spiaggia!

La voce narrante è quella di Yaas, una ragazza di 12 anni che abita a Teheran. Racconta la storia di sua madre Bahar, ebrea povera, che è riuscita a sposare un ebreo ricco e che tramite questo matrimonio ha lasciato il quartiere degradato in cui viveva.

Sembra che i suoi sogni si siano avverati, ma non passa molto tempo che Bahar si accorge che il marito non è per niente innamorato di lei. Anzi, inizia subito una relazione con una bellissima e ricchissima donna.

Bahar si ritrova sì benestante, ma viene rifiutata sia dalla famiglia del marito che dall’ambiente in cui è stata inserita.

E’ una storia sulla mancanza di amore e sulle conseguenze che possono derivarne.

Scritto molto bene, dà bene l’idea delle chiacchiere e dei pettegolezzi che circolano attorno a una famiglia destinata al dramma, e lo fa tramite il discorso libero indiretto che dà voce a tutti quelli che commentano Bahar e la sua vicenda.

Ne vengono fuori vari ritratti di donne e uomini sempre in attesa del colpo di fortuna, e, allo stesso tempo, sempre sul chi va là (siamo in Iran: sembra siano tutti con occhi e orecchie aperte per scoprire qualche complotto degli americani…).

Ben congegnata la Cassandra della storia, incarnata (per modo di dire), dal fratello di Bahar, morto ma sempre presente sotto forma di fantasma: gira attorno a lei e alla sua famiglia, quasi a metterla in guardia su quello che sta per succedere. Solo dopo la prima metà del libro si capirà il legame che c’è tra questo fantasma e la ragazzina Yaas, la voce narrante.

Consigliato!

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Le cose che non ho detto, @azarnafisi @adelphiedizioni

Che meraviglia, che sincerità! L’autobiografia di Azar Nafisi, l’autrice di Leggere Lolita a Teheran, si legge come un romanzo e fa riflettere come un saggio.

La narrazione è incentrata sulla sua famiglia ma in un paese come l’Iran era impossibile ignorare la situazione culturale e politica.

Azar Nafisi ha sempre avuto un rapporto conflittuale con la propria madre, donna bellissima ed intelligente ma scontenta della propria situazione e tendente a rifugiarsi in un passato idealizzato, anche a costo di tacere a se stessa certe realtà. Adoro leggere di ragazzine che si ribellano e che, al tempo stesso amano i propri genitori, perché è nella natura umana fare così, sebbene la Nafisi e sua madre abbiano avuto degli scontri davvero intensi.

Noi, quando raccontavamo una bugia, sapevamo di mentire, mentre lei non se ne rendeva neppure conto.

Farei torto al libro se cercassi di riassumere in poche righe questo rapporto controverso; però, leggendo della Nafisi che cerca di calarsi dal secondo piano del collegio svizzero e che cade facendosi parecchio male, mi è venuta la curiosità di andare a vedere su youtube come è, di persona, questa scrittrice. E mi trovo davanti a una signora compostissima, emotiva e dolce. Nonostante tutto quello che ha passato!!

Era legatissima al padre, che è stato sindaco di Teheran e che poi è stato incarcerato sotto false accuse. E’ stato lui a introdurla al mondo della letteratura tradizionale persiana.

Il rapporto della Nafisi coi libri è stato sempre molto intenso, direi quasi un bisogno fisico: questo è un aspetto che me l’ha resa molto vicina. Considerando la situazione politica iraniana, la guerra di otto anni con l’Iraq, Khomeini, gli assassini, le torture e la situazione delle donne nel suo paese, le difficoltà di tenere aperte le università laiche, è semplicemente meraviglioso che la Nafisi abbia dato così tanta importanza alla letteratura.

Anzi, la letteratura per lei va considerata come un vero e proprio antidoto all’assolutismo, ne ha fatto una bandiera del suo pensiero. Alla letteratura lei è sempre rimasta fedele, anche se sono cambiate le sue letture e anche se, lo ammette lei stessa, ha fatto i suoi errori politici (come, ad esempio, quando è andata a manifestare contro lo Scià senza rendersi conto che l’alternativa era lo stato Islamico di Khomeini).

 

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