Nessuno mi toglie dalla testa che per descrivere realisticamente i meandri di una mente malata uno scrittore deve essere un po’ pazzo. L’autore di “Follia” e di “Grottesco” è troppo bravo a farci entrare nelle circonvoluzioni cerebrali di gente rinchiusa in manicomio: mi piacerebbe conoscerlo nella sua vita di tutti i giorni.

Questa storia è raccontata in prima persona da Spider: non si capisce subito dove si trova. All’inizio sembra via in un bed & breakfast, poi, pian piano, si delinea tutta una serie di divieti a cui è sottoposto. La padrona di casa, ad esempio, gli prepara la vasca per il bagno, e lui non può possedere certi oggetti (un diario, una corda…).
Spider nomina spesso il Canada, dove ha trascorso una ventina d’anni, ma solo nel corso del romanzo si capisce che era in un manicomio.
E pian piano, salta fuori anche la storia della sua infanzia e dell’omicidio della madre ad opera del marito, che si era trovato un’amante.
O no?
Spider è un narratore inaffidabile ma affascinante, ama il buio, i luoghi umidi, il grigiore di Londra, e sente le voci delle creature che vivono nel solaio. E’ convinto che un verme abbia fatto il nido nell’unico polmone che gli è rimasto.
La fantasia schizofrenica è eccezionale e la discesa negli inferi è graduale ma certa.
Adoro questi libri!