Romanzo sulla vita di Teodorico Pedrini, musicista (e pure prete, ma… a fasi alterne!).
Vissuto a cavallo tra il 1600 e il 1700, il Papa lo mandò in Cina per controllare i gesuiti (che stavano “cedendo” troppo su certe questioni ritualistiche) e con la speranza di convertire al cattolicesimo niente popò di meno che… l’imperatore Kanxi!
Bisogna dire che Pedrini era diventato prete in modo particolare: la sua più grande passione era la musica, ma senza appoggi nobiliari o ecclesiastici aveva poche possibilità di sfondare. Cedette alla tonaca solo dopo la morte della ragazza di cui si era innamorato (schiacciata dai cavalli durante il carnevale, per la cronaca).
Ovviamente, come in ogni avventura che si rispetti, per andare da Roma a Pechino, il Papa non gli ha fatto fare la strada più breve, via terra: lo ha mandato prima nel nord della Francia, a S. Malo; poi con la nave gli ha fatto attraversare lo stretto di Magellano, passare per il Cile, andare in Messico (dove stava per restare a causa di una meticcia) e poi ripartire per la Cina.
Il viaggio per arrivare in Cina è durato solo (!!) sette anni, anni molto difficili, considerando i pericoli dei viaggi a quei tempi.
A Pechino viene ricevuto dall’imperatore Kanxi soprattutto grazie alle sue capacità musicali, ed assurge fino alla carica di mandarino: onore tra gli onori!
Peccato che l’imperatore sia sotto l’influenza dei gesuiti…
I gesuiti nel 1600-1700 sono molto potenti perché dispongono di conoscenze matematiche ed astronomiche che sono utili all’imperatore.
Le fortune di Pedrini, così come sono salite alle stelle in maniera repentina, in maniera altrettanto repentina cadono nelle fogne.
Viene arrestato, picchiato e incarcerato con una scusa qualsiasi.
Durante la prigionia, pensa di continuo alla concubina e al figlio (ve l’avevo detto che era prete a fasi alterne), ma riflette anche sull’opportunità di costringere i cinesi ad adottare i riti romani: è davvero così necessario che rinuncino a prostrarsi davanti alle tavolette dei loro antenati?
Quando muore Kanxi e sale al trono il figlio, le fortune di Pedrini si risollevano.
Per poco: perché arriva il terremoto e lui resta vedovo.
Sono 317 pagine, dunque potete capire che il mio riassunto qui sopra è stato davvero succinto. Ho sorvolato su tutti gli intrighi di corte (sia occidentali che orientali) che hanno determinato il destino di Pedrini, e sull’inutilità dei suoi sforzi per convertire chicchessia in Cina.
Certo, l’autore non ha uno stile da eccelso scrittore, ma il libro si fa leggere grazie all’andamento episodico, che tralascia i tempi morti di una vita e allontana la noia.
E’ inoltre istruttivo vedere come l’atteggiamento e il pensiero di Pedrini cambino negli anni: all’inizio è convinto della sua missione e i suoi stessi discorsi sono pieni di ragionamenti sulla necessità di convertire i cinesi anche dal punto di vista ritualistico.
Alla fine, Pedrini quasi abbraccia le modalità con cui hanno agito i gesuiti e cerca (tramite interposta persona) di convincere il Papa che se la Chiesa non adotta le tesi gesuitiche, rischia di perdere la Cina per sempre.
Questo non si chiama essere voltagabbana.
La realtà cambia di continuo. Non cambiare idea (quando necessario), non è mancanza di coerenza, ma è sintomo di rigidità mentale.