Strano come un libro di sole 130 pagine possa dar luogo a tante riflessioni.

Innanzitutto, è un po’ autofiction e un po’ metaletteratura.
La storia è raccontata in quattro tempi.
Nel primo, a parlare in prima persona è la protagonista, Tanja Bernhard, una ragazza che ha pubblicato il suo primo libro e che adesso cerca di scrivere la biografia di Irina Blumenthal, una donna anziana, ricca, colta.
La storia viene raccontata quando le due hanno già rinunciato al progetto del libro e la loro amicizia si è incrinata: “Siamo troppo diverse”, si è giustificata la dama. E Tanja, che senza l’anticipo per quest’opera sarebbe sull’orlo della povertà, scrive una lunga lettera alla sua editrice per giustificare la mancata consegna del libro.
In realtà, poi, in questa lettera parla un po’ di tutto senza mai davvero scendere nei dettagli e senza dare una spiegazione del perché Irina non vuol più collaborare. Ma non dice quasi nulla neanche della vita della signora Blumenthal: ci sono solo vaghi accenni alla sua veneranda esperienza nel corso di un secolo e ai suoi rapporti con famosi personaggi della cultura del Novecento.
Ma Irina Blumenthal rimane un personaggio distante che ci incuriosisce ma che – allo stesso tempo – ci indispettisce per la sua reticenza (o è la reticenza di Tanja?).
Nella seconda parte del libro, ci sono dei dialoghi tra Nicole Müller e la sua editrice, e qui compare il nome dell’autrice, di cui la Bernahrd è l’alter ego, ma anche qui, di vero, di importante, sulle due persone che dialogano si viene a sapere poco.
Nella terza parte, lo stile cambia completamente: il racconto è in terza persona, e assistiamo a uno dei tentativi della scrittrice di andare a fondo della vita della Blumenthal senza riuscirci.
Nella quarta parte, ci sono fogli sparsi, appunti presi sulla carta delle sigarette, su post-it, citazioni, bozze dattiloscritte o vergate a mano, tutto molto slegato.
In ogni parte, il continuo riferimento a Thomas Bernhard.
Cosa ne sappiamo di Irina e di Tanja/Nicole quando chiudiamo l’ultima pagina? Quasi nulla. Solo qualche boccone scollegato dagli altri, qualche stralcio di emozione, qualche immagine.
Vorrei tanto raggiungere il mio prossimo e capirlo, ne ho un desiderio addirittura micidiale.
Ma è proprio questo il messaggio dell’autrice: non ci possiamo definire se non nel rapporto con gli altri. Per definirci sani dobbiamo frequentare i pazzi, per definirci potenti abbiamo bisogno dei sottoposti, per definirci scrittori abbiamo bisogno dei lettori…
Col rischio che ogni volta che ci confrontiamo con qualcuno, quel qualcuno rifletta una faccia diversa di noi stessi, e di qui la frammentazione, anche stilistica.
Vi lascio alcune citazioni che mi sono ben bene sottolineata:
Alle persone autoritarie si può piacere solo mostrandosi sottomessi (…). Nei rapporti con le persone autoritarie è assolutamente impossibile piacere per quel che si è.
Il suicidio è pur sempre un omicidio, seppure a responsabilità generalizzata.
La lite per il denaro è sempre una lite per il riconoscimento.
La nostra società ha estremo bisogno di ogni genere di deviazioni.