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Sol levante (Michael Crichton)

Non sapevo che l’omonimo film con Sean Connery fosse una trasposizione di un libro di Crichton: devo vederlo. Qui però vi parlo del libro, una specie di thriller a tema.

Ma eccovi la trama…

La serata di inaugurazione del grattacielo Nakamoto a Los Angeles è in pieno svolgimento: ci sono personalità dello spettacolo e della politica, giornalisti e guardi del corpo ovunque. Ma al piano di sopra, sul tavolo di una sala riunioni, è riverso il cadavere di una bellissima ragazza.

Ad indagare vengono chiamati l’ufficiale di collegamento per le relazioni internazionali detective Smith, e il più attempato ma scaltro detective in pensione Connor.

Le indagini si rivelano subito difficili a causa dello scontro tra due culture, l’americana e la giapponese, che non potrebbero essere più diverse, senza contare il fatto che la Nakamoto ha le mani in pasta in ogni settore dell’economia, dell’editoria e della politica.

Ed è qui che si intreccia il tema che Crichton si è dato tanto da fare per inculcarlo nella testa degli americani: i giapponesi si stanno mangiando gli Stati Uniti. Comprano tutto. E gli americani glielo lasciano fare, anche se vendono ai nipponici segreti industriali che poi gli stranieri usano contro gli americani stessi.

Gli uomini d’affari giapponesi sono descritti come uomini senza scrupoli, seppure questo sia parzialmente giustificato dalla loro cultura.

E se il monito non era tanto chiaro, Crichton ce lo ripropone nella postfazione, spiattellandocelo in faccia chiaro e tondo.

Il problema dei romanzi a tema è che la storia e i personaggi ne risentono sempre.

La storia si trascina: si capisce che gli eventi sono messi uno dietro l’altro solo per proporre esempi di settori in cui i giapponesi stanno mangiando i risi in testa agli americani.

La voce narrante, l’ispettore Smith, è piuttosto stupidotto e si fa guidare passo per passo da Connor, che nel film è impersonato da Sean Connery, un personaggio che tace le proprie intenzioni rivelandocele solo alla fine per creare il colpo di scena.

Un libro che trabocca di compassione per i poveri americani che si fanno prendere in giro dai furbi stranieri.

Qualcuno lo ha letto e ha avuto la stessa impressione?

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Tokaido (Lucia St. Clair Robson)

Bella l’ambientazione: Giappone del Settecento, con tutte le sue stranezze.

Lo sapevate che le prostitute tenevano tantissimo alle proprie unghie? Ci tenevano così tanto che le usavano come pegno verso l’amante del momento. Solo che a volte gli amanti erano più d’uno, e per evitare che uno sapesse dell’altro, dopo aver regalato la seconda o la terza unghia, ne acquistavano altre al mercato nero.

Insomma, c’era un fiorente mercato di unghie, a quel tempo.

La protagonista della storia è Gatta, la figlia illegittima di un samurai che si è dovuto suicidare a causa di un signorotto. La giovane si ritira dunque in un quartiere di piacere, finché un giorno scappa per mettere in pratica la sua vendetta.

Il suo scopo è raggiungere un ex samurai del padre, ma per raggiungerlo deve percorrere la via Tokaido, che attraversa il Giappone da nord a sud.

Lungo la strada incontra un bel po’ di gente: dai venditori ambulanti di tè, ai contadini che, vedendola travestita da monaco, le chiedono di interferire contro uno spirito che rende le donne sterili; dai samurai inviati dal nemico del padre, agli attori di teatro…

Gatta, che ha studiato arti marziali, viaggia tenendosi pronta a combattere e a morire.

E… beh, ecco, neanche l’ambientazione nel Giappone feudale è riuscita a farmi continuare la lettura (interrotta a pag. 84, su 420).

Il fatto è che questa protagonista è assurdamente improbabile.

Ha vissuto nella bambagia prima, e in un bordello poi, ma anche nel bordello era una cortigiana di classe, dunque ha continuato a far la bella vita.

Ma quando deve scappare, è in grado di travestirsi da uomo, dar fuoco a un nemico per creare un diversivo, farsi passare per un monaco errante, combattere dei samurai con la naginata

Gatta è credibile quando non sa decidersi a usare le monete per pagarsi da mangiare, perché le donne di una certa classe sociale a quel tempo non dovevano maneggiare denaro, ma non è per niente credibile quando si trasforma in un guerriero misterioso che ha letto Musashi e che sa controllare il respiro anche in situazioni pericolose.

Un artista marziale non è tale solo perché da giovane si è allenato per un paio di anni, e poi basta. Certi automatismi li acquisisci solo col tempo e la pratica costante, pratica che a Gatta è mancata completamente negli anni in cui ha abitato nel quartiere di piacere.

Inoltre, Gatta si traveste da uomo e scappa: come se bastasse osservare da vicino gli uomini per assumerne le movenze, la voce, il timbro, lo sguardo…

Insomma, questa protagonista è troppo finta.

Mi ha fatto venire i brividi anche lo stile in cui il romanzo è scritto: ogni volta che si incontra un termine giapponese (da sensei a naginata a tabi e tanti altri), c’è una virgola e una frase incidentale che ci spiega il significato della parola.

E’ una procedura che a lungo andare non fa altri che strapparci fuori dal patto narrativo, ricordandoci che, sebbene la storia sia narrata dal punto di vista di Gatta, c’è uno scrittore che ha scritto quelle pagine e che ci spiega i termini con cui lei era quotidianamente a contatto.

Questo succede perché il libro vuole rivolgersi a un pubblico vasto, vastissimo, che include molta gente che non ha la più pallida idea di cosa fosse la cultura giapponese tre secoli fa, sfruttando il fascino dell’esotico a discapito della fluidità della lettura.

E poi, non lascia nulla all’immaginazione del lettore. Ti dice tutto dei sentimenti dei protagonisti (dice, non mostra, shows, does not tell).

Volete la mia opinione? Con questo libro ci verrebbe fuori un bel filmetto, perché è pieno di avventura, ma non è un romanzo di alto valore letterario.

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Le storie del negozio di bambole @tsuharayasumi

E’ il primo romanzo che leggo di questo autore, diventato famoso in Giappone con libri per bambini e che poi ha spaziato dall’horror al mainstream.

Mio è diventata proprietaria di un negozio di bambole dopo averlo ereditato dal nonno, che ha mollato tutto e se ne è andato in Nuova Zelanda. Ad aiutarla ci sono due collaboratori, Tominaga, che va e viene agli orari che vuole ma che espertissimo di bambole, e Shimura, di cui Mio non è riuscita a scoprire nulla, se non che è un esperto di burattini tradizionali giapponesi (bunraku).

I due collaboratori, chiamati con rispetto “artigiani”, sono un aiuto indispensabile. Sono loro che capiscono come e quando riparare le bambole che arrivano in negozio.

Spesso, per ripararle nel modo giusto, è necessario capire chi sono le persone che le hanno portate là: la riparazione diventa quasi un’operazione psicologica, come la bambola che ha l’aspetto della proprietaria, e che deve essere rifatta tenendo conto del passare del tempo sul viso della donna.

Ma è necessario capire anche quando l’intervento deve fermarsi: come su un orsetto che il bambino smembra ogni notte, lasciandone intatti solo il dorso e la testa.

Le bambole non sono più solo degli oggetti da dare ai bambini: diventano simboli di una personalità, di un desiderio, entità a cui ci si può affezionare come a delle persone reali, ma anche possibili portatrici di morte.

Il libro è breve ma ci presenta una variegata carrellata di bambole giapponesi e straniere: dalle love doll, ai burattini della Cecoslovacchia, dalle bambole che sembrano esseri umani, a quelle che camminano finché hanno una tazza di tè in mano e che si fermano quando gliela togli.

E’ tutto un mondo!

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Il paese dei suicidi (Yu Miri)

L’inizio è spiazzante: in una chat online, degli sconosciuti cercano compagni per suicidarsi. Discutono delle modalità migliori, a volte si offendono, a volte cercano di dissuadersi l’un l’altro, ma lo scopo è e rimane quello di trovare qualcuno che non conosci per suicidarsi in tutta… sicurezza.

L’autore del thread è Mone, che ha appena iniziato le scuole superiori.

Non si vuol suicidare perché ha subito un lutto né perché la picchiano in casa o perché non ha i soldi per mangiare. Si vuol suicidare perché non trova un senso per andare avanti.

Come darle torto?

In famiglia non si parla.

Il padre, che pure le vuol bene, ha un’amante da anni e non riesce a dimostrare quello che prova per la figlia se non dandole dei soldi. La madre la ignora e si dedica con fervore al figlio maschio.

Sconcertante è il rapporto che Mone ha con le amiche.

Sono quattro, e si sono date un nome: le Sky Sodas.

Il gruppo si è dato anche una serie di regole strettissime: nessuna può andare al bagno se non accompagnata, ad esempio, e quando si decide di comprare qualcosa, lo devono fare tutte, per forza. La pena è l’esclusione dal gruppo, uno dei peggiori malanni che possano capitarti, perché sei destinata a restare sempre da sola e a non parlare con nessuno.

Non c’è vera amicizia, qui, eppure Mone cerca di adeguarsi partecipando alle loro iniziative e fingendosi allegra quando non lo è.

Yu Miri è bravissima a rendere la mancanza di senso. Uno dei modi che utilizza è riportare tutti i suoi e le chiacchiere che Mone sente in treno: sono tutte frasi spezzate, tolte dal contesto, che sembrano buttate là al preciso scopo di riempire un vuoto, e sono messaggi preregistrati che si ripetono all’infinito senza mai dire nulla di nuovo.

E che vi devo dire: a me un libro così, mi rilassa… (lo so, non si dice “a me mi”).

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Venivamo tutte per mare (Julie Otsuka) #TeaEditore

Romanzo breve, appena 140 pagine, ma densissimo: all’interno troviamo la storia di tante, tantissime donne giapponesi arrivate negli Stati Uniti nella prima metà del Novecento, per sposare uomini di cui, nella stragrande maggioranza dei casi, non sapevano nulla.

Partivano con una lettera in mano o una foto, ma le parole e le immagini spesso si rivelavano, al loro arrivo, delle mere bugie: l’uomo che diceva di essere il proprietario di un ristorante, in realtà era uno sguattero; quello che diceva di dirigere una catena di lavanderie, in realtà era addetto alla stiratura; quello alto e con gli occhi intensi, in realtà era il cugino dell’uomo che la donna avrebbe dovuto sposare.

Poi gli anni passano, e le ragazze si adeguano al lavoro, ai soprusi, ai figli e alle loro morti. Sono poche quelle che hanno una vita facile.

E poi c’è Pearl Harbour: arrivano i sospetti, le sparizioni, i trasferimenti di massa.

E’ interessante lo stile: nei primi capitoli, sono le donne giapponesi a palare col “noi”.

Le assicurazioni ci cancellarono la polizza. Le banche ci congelarono il conto. I lattai smisero di consegnarci il latte a domicilio.

Nell’ultimo, quando le comunità giapponesi iniziano a ridursi ai minimi termini, quando i negozi e le strade che prima erano abitate da giapponesi diventano elementi di una città fantasma, il “noi” cambia. Sono gli americani che si chiedono cosa sia successo, se era giusto che succedesse, e cosa succederà.

Nuovi inquilini cominciano a trasferirsi nelle loro case.

“Noi” e “loro” non solo due pronomi: sono due culture e due destini.

Eppure sono anche pronomi, che ogni gruppo può usare: perché il contenuto di quel “noi” cambia nel tempo. Se oggi noi siamo i vincitori, domani potremmo diventare “loro”. E viceversa.

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Ikigai (Frances Miralles, Hector Garcia)

L’Ikigai è un concetto giapponese che si può tradurre come “senso della vita”, insomma, quella cosa che ti fa alzare al mattino e ti dà l’energia per agire. Molti artisti hanno un Ikigai, anche se non ne sono consapevoli, ma si può trovare il proprio Ikigai anche nel lavoro o nella famiglia o in una missione che ci si è scelti liberamente (la tutela dell’ambiente, aiutare i poveri, il volontariato…).

In realtà questo libro non parla solo di Ikigai. Il sottotitolo recita: “Diventare centenari felici e in salute”.

Vi troviamo dunque molti consigli in merito all’alimentazione, al sonno e al movimento, ma anche alle relazioni sociali.

Gli autori sono molto legati al Giappone e vi hanno svolto diverse ricerche, soprattutto nell’isola di Okinawa, dove c’è uno dei più alti tassi di centenari in proporzione alla popolazione.

In Giappone si pone molta attenzione alla salute e i controlli medici regolari sono un’abitudine consolidata. Considerato inoltre l’alto livello di stress a cui sono sottoposti i lavoratori del Sol Levante, è gioco forza concentrarsi anche sulle modalità per abbassare questi livelli. Niente di difficile, sentite qua:

  • Farsi un lungo bagno caldo con i sali, ascoltando musica.
  • Tenere pulito e in ordine l’ambiente in cui si vive e lavora.
  • Fare sport e respirare bene.
  • Alimentazione adeguata (e mai eccessiva, sarebbe bene alzarsi da tavola con un leggero senso di fame).
  • Massaggi alla testa.
  • Meditazione.

Non ho trovato niente di nuovo in questi suggerimenti, anzi, gran parte del libro riporta concetti già letti altrove. A me interessava l’Ikigai, quell’attività che ti permette di raggiungere uno stato di Flow e che ti fa perdere il senso del tempo che passa.

Per raggiungere questo stato, è necessario concentrarsi su ciò che si sta facendo. Bando, dunque, al multitasking: è dannoso, e in realtà tu non stai compiendo diversi compiti nello stesso tempo, ne compi sempre e comunque uno alla volta, interrompendo ogni volta la concentrazione per saltare da uno all’altro.

Il multitasking impedisce di entrare nel flow e affatica il cervello, sul lavoro e a casa!

Sono state fatte diverse ricerche in questo senso, e risulta che chi fa più attività alla volta, in confronto a chi ne fa una sola, è più lento e più stressato. Sembra che il multitasking abbassi la produttività di circa il 60% e il nostro quoziente intellettivo di circa il 10%.

Ho trovato questo libro in tedesco, ma l’edizione originale è in spagnolo.

Sebbene sia stato per me un buon esercizio sulla lingua, se siete interessati all’Ikigai dovreste cercare un altro testo, perché questo esce spesso dal seminato e si concentra più sulla longevità che sul senso della vita. E’ comunque un libro di semplice lettura che utilizza un linguaggio elementare, adatto a tutti, anche ai più giovani.

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Mille gru (Kawabata Yasunari)

Tutto parte da una cerimonia del té alla quale partecipa il giovane Kikuji. La maestra della cerimonia, Chikako, ha infatti invitato una ragazza con cui lei vorrebbe che Kikuji si sposasse. Ma alla cerimonia prendono parte anche la signora Ota con la figlia.

Bisogna sapere che la signora Ota è stata l’amante del padre di Kikuji fino alla morte di lui. Ma anche Chikako è stata amante dell’uomo, per un breve periodo.

Ebbene, dopo questa cerimonia, Kikuji ha un’avventura con la matura signora Ota.

E’ una storia basata sulla solitudine e sulla sensualità: nonostante il rapporto tra Kikuji e la signora Ota abbia in sé qualcosa di scabroso, il tutto è descritto in termini molto puliti e gli stessi protagonisti faticano a parlarne in termini espliciti.

Però il fattaccio si è concluso e la signora Ota, forse a causa della vergogna, si suicida.

Kikuji entra così in contatto con sua figlia e comincia a provare per lei la stessa attrazione che ha provato per la madre.

In questo rapporto si inserisce Chikako che diventa sempre più fastidiosa, probabilmente perché alla ricerca di un modo per vendicarsi che il padre di Kikuji abbia preferito la signora Ota a lei.

E’ un classico esempio di letteratura giapponese, molto etereo e con frequenti descrizioni della bellezza del paesaggio o delle tazze per la cerimonia del té.

Breve, pulito, giapponese.

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L’ampiezza del cielo (Lian Hearn)

Questo è il primo volume di una saga familiare ambientata nel Giappone medievale.

Shigeru è il rampollo degli Otori, una nobile famiglia che regna sul “Regno di mezzo”. Suo padre è il capoclan ma i sudditi lo ritengono un governante poco sicuro e troppo in balia dei due fratelli, che vorrebbero stringere accordi con il vicino clan rivale, i Tohan.

Quando Shigeru raggiunge la maggiore età, prende in mano le redini del comando e si rende subito inviso al rampollo dei Tohan salvandogli la vita: Sadamu infatti era caduto in un burrone e per uscirne era stato necessario farlo spogliare, perché altrimenti non sarebbe passato attraverso i tunnel collegati con la superficie (avete presente gli abiti medievali giapponesi??).

E’ un passaggio poco chiaro per chi ragiona con la mentalità occidentale: ma come, lo salvi e quello ti giura vendetta? Eh sì, perché Shigeru, salvandolo, aveva reso evidente al mondo la sua vulnerabilità, nonché la stupidità che Sadamu aveva dimostrato cadendo ne burrone.

Quando la guerra tra i due clan sopraggiunge, Shigeru, nonostante la sua bravura nel combattimento, ha la peggio a causa del tradimento di una delle famiglie che credeva lo avrebbero sostenuto.

Di solito, davanti a tanta vergogna, un giapponese si toglierebbe la vita, ma Shigeru aveva promesso al padre di continuare a vivere finché avesse conservato la spada del Clan. Continua a vivere, dunque, ma promettendo agli zii e ai Tohan di ritirarsi a vita privata. Ovviamente è tutto un fake, perché Shigeru pensa alla vendetta ogni giorno.

Solo quando troverà il nipote perduto potrà accingersi a raggiungere il suo scopo: uccidere Sadamu.

Come molti romanzi orientali, è pieno di disgrazie. Ad esempio, credendo che sia morto, la sua amata concubina impazzisce: prima ammazza un povero vecchietto e poi si getta nel cratere di un vulcano. Sua moglie, con la quale aveva pochi rapporti, non farà una fine migliore.

E’ una storia lunga, complicata dalla presenza di sette religione (cristiane?) e misteriosi combattenti che sanno rendersi invisibili alla bisogna, e credo che le 750 pagine sarebbero potute essere ridotte di un buon quarto tagliando le parti morte.

Non so se sia stato tradotto in italiano. Il titolo in tedesco è “Die Weite de Himmels”, l’ho tradotto io come “L’ampiezza del cielo”, ma è un titolo che non c’entra nulla con la storia raccontata.

Misteri dei giapponesi e di chi scrive su di essi.

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Musica (Yukio Mishima) @Feltrinellied

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Ho bisogno che qualcuno mi sveli il significato di questo libro…

E’ incentrato sul trattamento psicanalitico di una bellissima ragazza, Reiko, che dice di non sentire la “musica”, quando in realtà intende di non riuscire a provare desiderio/piacere sessuale.

E’ una ragazza che ha letto un po’ di psicologia da rivista e che lo psicanalista, che racconta in prima persona, definisce isterica: tutto quello che dice è da lei interpretato in chiave sessuale facendo spesso riferimento ai suoi sogni e al suo passato.

Ma quasi niente di quello che racconta è vero: dopo poche pagine ammette di essersi inventata tutto.

La costruzione del romanzo è quasi da giallo: lo psicanalista indaga nella psiche di Reiko per scoprire quale è il nodo del suo problema. E lo trovano, questo nodo, quando trovano il fratello perduto della ragazza.

Ma… possibile che Mishima volesse parlarci solo di sessualità, frigidità, psicanalisi?

O non è forse la musica una metafora per la più degna “gioia di vivere”? Il dubbio mi è venuto quando ho letto due episodi in cui Reiko ha effettivamente sentito la “musica”, ma si trattava di beatitudine, di felicità, forse: in un caso assisteva un cugino terminale e nell’altro consolava un ragazzo che voleva suicidarsi a causa della sua impotenza.

O, forse, non è che Mishima volesse parlarci dell’insondabilità della natura umana? Dell’impossibilità di catturare con un processo razionale (la psicanalisi) un processo inconoscibile come la mente umana?

Poi però, nel vari episodi del romanzo, si torna sempre alla sessualità, e le mie teorie e i miei tentativi di assolutizzare la trama, si spiaccicano come mosche sul parabrezza.

Davvero: “Musica” è giudicato uno dei libri migliori di Mishima. ma… perché?

Non credo di averlo capito.

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Dinastia – Robert S. Elegant

Mary Philippa Osgood arriva nel 1900 a Hong Kong. Ha vent’anni: non è la più bella ragazza tra le inglesi della colonia, ma riesce subito a mettersi in mostra e ad accalappiarsi il rampollo della famiglia cino-inglese Sekloong.

Il fondatore della dinastia, Sir Jonathan Sekloong, è ricchissimo e spregiudicato, ma dà sempre la priorità ai bisogni della famiglia. Mary imparerà ad inserirsi nel clan e a capire gli orientali, anche se non subito.

Non mancheranno le incomprensioni col marito che, pur amandola (ricambiato), da buon cinese miliardario non si dimentica di saltare da un letto all’altro.

Anche Mary vivrà la sua storia (col cognato), ma alla fine la Famiglia avrà la precedenza su ogni tipo di capriccio.

Il clan Seklong è pieno di ramificazioni sparse per il mondo e si suddivide in diverse correnti politiche: seguiremo i vari personaggi lungo gli anni dal 1900 al 1970.

Elegant scrive benissimo, e questo è un dato di fatto.

E’ però anche un dato di fatto che ha vissuto vent’anni a Hong Kong, che si è documentato benissimo (lo si vede anche dai dettagli quotidiani che descrive), che il libro è lungo 701 pagine infarcite di storia e nomi cinesi: essendo questa una parte del mondo che non sempre studiamo, nomi ed eventi ci risultano estranei, e può essere difficile appassionarsi alle vicende dei vari personaggi.

Finché la storia gira attorno a Mary e ai principali componenti della famiglia con le loro vicende, anche drammatiche, mi sono appassionata. Quando la storia si allarga, mi son persa…

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