Sussex, 1937. La famiglia Cazalet, come ogni anno, si riunisce nella casa di campagna dei capistipite, il generale e la duchessa.

Ci sono quattro figli: Hugh, il più vecchio, tornato dalla prima guerra mondiale senza la mano sinistra e con dei ricorrenti mal di testa; è sposato con Sybil, che è incinta, e hanno due figli.
Il secondo figlio è Edward: bello e affascinante, è sposato con Villy, ma ha una serie di amichette segrete, mentre la moglie si chiede in continuazione se ha fatto bene ad abbandonare la sua carriera da ballerina per dedicarsi al marito e ai figli.
Poi c’è Rachel, nubile, che vive con i genitori, ma che ama la sua amica Sid, un rapporto che è necessariamente tenuto nascosto a tutti.
Infine c’è Rupert, il più giovane e giocoso, vedovo e risposato con la giovanissima Zoe, che fatica a inserirsi nella famiglia e che è totalmente dedita alla propria bellezza.
Il generale, senza star tanto a parlarne, inizia a costruire e preparare alloggi per orfani e feriti di guerra, e tutta la famiglia è coinvolta nei lavori, sebbene i più giovani si dedichino anche ai loro svaghi estivi.
Le donne del romanzo sono come ci si aspetta siano le donne dell’epoca vittoriana: lavorano a maglia, organizzano la servitù, si preoccupano dell’entrata in società delle figlie e delle scuole dei figli. Non ci si aspetta da loro che provino desideri di carriera o che si interessino di politica.
Eppure desideri e curiosità inespresse covano sempre sotto l’aspetto esteriore.
Viene dato molto spazio ai più piccoli, alle loro litigate, alle loro domande e ai loro crucci: da Polly, la figlia di Hugh, che ha paura della guerra e non vuol sentirne parlare, a Louise che, un po’ più grande, si trova al centro di un’attenzione malsana da parte del padre, Edward.
Molti sentimenti e sensazioni, però, ci sono descritti dalla Howard senza che i protagonisti li esternino: non va bene piangere in pubblico, né parlar male di qualcuno, tanto meno nominare bisogni fisiologici; il sesso, poi, è un tabù che genera più curiosità che rassegnazione.
Un bel romanzo che ci presenta tante psicologie diverse.
E mi chiedo: la situazione della donna media è davvero tanto diversa oggi?
Quanta fatica fa ad affermarsi l’idea che il cognome della madre abbia la stessa dignità di quello del padre, ad esempio?
La necessità del cognome unico (paterno) viene giustificata ricorrendo alla praticità, alla tradizione, alla semplicità… e non ci si rende conto che la parità dei diritti passa anche attraverso la parola (anzi, spesso sono le donne a non rendersene conto).