Come si trova la capacità di non fare un dramma dei propri problemi?
Lo strumento principale è la meditazione; tuttavia, anche durante il giorno, nel bel mezzo dei nostri impegni quotidiani, ci si può… fermare.
Tre respiri consapevoli.
Possiamo farli ogni volta che siamo travolti dalla rabbia o dalla paura, ma bisogna farlo subito, appena avvertiamo che l’onda si sta preparando ad investirci: bisogna farlo, insomma, prima che sia troppo tardi.
La rabbia, in particolare, mi interessa, perché negli ultimi anni mi sono accorta di essere vittima di accessi d’ira, soprattutto in ufficio, quando il lavoro è eccessivo e/o i clienti mi rispondono male, buttandola sul personale (come se lo facessi apposta a rifiutare i loro reclami).
Ma la rabbia la vedo ovunque.
Nei social, soprattutto.
Sono tutti arrabbiati. Tutti si lamentano, tutti postano commenti sarcastici: contro gli immigrati, i gay, i politici… contro la gente che non tiene il naso dietro la mascherina, contro la ragazza che si è fatta musulmana, contro chi va a messa, contro chi non ci va, contro chi non rispetta i topi dei gruppi…
Ecco, a tal riguardo, l’autrice ci dice questo:
Al di sotto dell’odio, al di sotto di qualsiasi azione o parola crudele, di qualsiasi disumanizzazione, c’è sempre la paura.
La rabbia nasce dalla paura.
Di perdere la propria identità, principalmente. La propria immagine di cittadino, di buon lavoratore, di italiano, di macho, di donna di casa ecc…
Il guaio è che diamo troppa importanza a questa identità. Rimaniamo in una prospettiva microscopica, senza allargare gli occhi oltre noi stessi e oltre il nostro tempo, dimentichiamo che c’è stato un prima, ci sarà un dopo, e c’è, sempre, un altrove, dove noi non ci siamo, eppure la vita continua.
Di solito cambiamo prospettiva in seguito ad eventi calamitosi, scioccanti, mortali.
Quando è morta mia madre, mi son trovata davanti allo schermo del PC, in ufficio, a chiedermi se quello che facevo aveva un senso. Domanda che non mi era mai fatta, visto che avevo fatto fatica a trovare quel posto e mi ero sempre impegnata in quel lavoro.
Poi, noi o qualcuno che ci è caro ha un incidente o una grave malattia, ed è come se ci togliessimo la benda dagli occhi. Vediamo la mancanza di significato di gran parte di quello che facciamo e il vuoto di quello a cui ci attacchiamo.
Prospettiva, dunque, è la parola d’ordine.
Non assolutizziamo quello che siamo e che facciamo: persone, lavoro, luoghi, possedimenti. Oltre a noi, al di là del confine della nostra pelle, c’è tutto un mondo.
Un altro.