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La fenice rossa (Tess Gerritsen) @LibriLonganesi

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Un thriller, ogni tanto, ci vuole, per rilassarsi.

Questo l’ho scelto, in particolare, per la copertina dai richiami cinesi (eh, sono fissata, lo so). Infatti la vicenda è ambientata nella Chinatown di Boston.

La protagonista è Jane Rizzoli, detective, e indaga sull’omicidio di una sconosciuta a cui è stata mozzata di netto una mano con una lama molto affilata. Il fatto è accaduto sul tetto di uno stabile nel quale, diciannove anni prima, è avvenuta una strage: il cuoco è uscito dalla cucina, ha sparato a tutti i presenti, e poi si è sparato in testa.

Nel corso della vicenda, le indagini si incasinano quando viene coinvolto un boss della malavita irlandese, quando si trovano dei strani peli animali di cui non si capisce l’origine e quando e si scopre una sfilza di ragazzina scomparse nell’arco di venticinque anni; ma non dico oltre.

La trama è ben orchestrata, con i tasselli che vanno al posto giusto pian piano, ma facendo anche venire a galla anche nuove domande ad ogni nuova scoperta.

Tra gli altri personaggi, ci sono una misteriosa insegnante di Wushu, che era sposata al cameriere del ristorante cinese; un’anatomopatologa professionalmente inflessibile ma sentimentalmente incasinata; il marito di Jane Rizzoli, agente speciale; e tutta una serie di poliziotti in servizio o in pensione.

Il finale?

Ogni volta che credi di essere arrivata a una soluzione, ti accorgi che mancano ancora troppe pagine alla fine, e dunque te la metti via, perché sta per arrivare un altro colpo di scena.

A me è piaciuto: 4 stelline su 5.


 

L’autrice è di origini cinesi. Ha scritto il romanzo sfruttando alcune delle storie che le raccontava sua madre, tutte ambientate nel paese della Grande Muraglia. Ha lavorato un periodo come medico alle Hawaii, col marito, poi si sono trasferiti nel Maine dove ora lei vive di scrittura.

 

 

 

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Ritratto di signora – Henry James

Erano anni che leggevo solo romanzi contemporanei, e passare ad un autore dell’Ottocento è stato quasi uno shock culturale. Dopo poche pagine mi sono addirittura chiesta se ero ancora capace di leggere o se non mi fosse venuto un attacco improvviso quanto precoce di Alzheimer… ma alla fine ce l’ho fatta, e ci ho preso gusto.

Adoro l’ambiente descritto da James: gente che non deve lavorare per vivere e che può passare tutte le sue giornate a chiacchierare, viaggiare, leggere, visitare musei. Che invidia! E quanti miliardari oggi esistono che, non dovendo lavorare, si danno a questi piaceri?

La capacità di James di entrare nella psiche delle persone è inimmaginabile. E’ un grande nel giustificare i cambi di umore e nel descrivere i moti dell’animo. Le sfumature dei pensieri sono tratteggiate così bene che i personaggi sembrano persone reali, e James un chirurgo che sia entrato nelle loro teste per vedere cosa c’è.

La seconda metà del libro l’ho trovata molto più intrigante della prima, e sono caduta dal pero quando ho letto che Pansy non era la figlia della prima moglie di Osmond… ovviamente non ho visto nessun film tratto dal libro, ma ora sarei curiosa di vedere come un regista possa aver reso tutte le sfumature che rendono unico questo libro.

Il comportamento di Isabel, dall’alto della mia appartenenza al ventunesimo secolo, non lo capisco. Si sposta Gilberto Osmond perché si è lasciata irretire dalla sua doppiezza, e quando si rende conto che lui l’ha sposata solo per il suo denaro (è una ricca ereditiera), invece di lasciarlo… torna da lui. Perché?? Perché doveva accettare la responsabilità della sua scelta matrimoniale.

In realtà le ragioni di Isabel sono tutte ben sviscerate da James. Ci troviamo davanti un personaggio molto complesso, che all’inizio è bramoso di libertà e anticonformismo, ma che alla fine, per essere fedele a se stesso, sembra cedere proprio al conformismo. E non si capisce dove sta il limite tra rispetto delle apparenze e rispetto delle proprie responsabilità.

Così Isabel decide di essere infelice, di continuare a vivere con un uomo egocentrico che gode nel farla soffrire. E lo decide a dispetto di tutti i pretendenti che farebbero carte false pur di salvarla da quella situazione.

Non c’è lieto fine. La protagonista nel corso del romanzo non cresce, ma scende.

Isabel è diventata così reale, che quando finisci il libro continui a pensare a lei e a cosa si potrebbe dirle per convincerla a mollare quel sadico di suo marito. Però, pensandoci, alla fine la sua non è debolezza: non resta con Osmond solo per adeguarsi alle aspettative della società. Lo fa perché ha fatto una promessa, perché vuole assumersi la responsabilità della sua scelta. Nel bene e nel male, questa è la sua grandezza.

 

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