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Cartongesso (Francesco Maino)

Francesco Tessari, il protagonista che racconta in prima persona, è un avvocato del foro di Venezia. Segue le cause dei più deboli: debitori, extracomunitari, poveracci.

Il libro è un grido di aiuto e di rabbia: rabbia contro il Veneto-Sistema, i politici, gli avvocati, la cementificazione, la commercializzazione, la deumanizzazione, il pensiero unico, il consumismo, i cattolici di facciata, la perdita dell’identità contadina…

E’ un libro che si legge a mezza bocca, digrignando, bestemmiando, col colesterolo a mille, i cotechini e la polenta sotto i denti.

Michele Tessari è stanco di fare l’avvocato ma non sa come uscirne.

E’ stanco di essere un’appendice di sua madre, ma non sa come diventare adulto.

E’ stanco di lottare contro un sistema corrotto e inutile, ma non sa cosa fare.

Questa massa di lavoratori ha accumulato parecchio e nel frattempo, dopo elementari e medie, dopo liceo e laurea non ha più letto nulla se non la guida della tele (…).

E’ un libro pieno di citazioni da altri libri o film.

I butti delle patate che hanno fatto i fiori del male.

E’ un libro scritto in uno stile personalissimo e coraggioso.

I muri sono fatti collo sterco di piccione come nei villaggi dei pigmei, la pittura esterna è fatta col rimmel delle puttane.

E’ un libro amarissimo.

Abbiamo iniziato a soccombere al compimento del diciottesimo anno, ai diciannove era già metastasi, a vent’anni: sotterrati vivi.

Non è un libro per tutti.

Non è per me.

Questa non è una valutazione sulla qualità della scrittura (che ho trovato molto simile a “Viaggio al termine della notte” di Céline), ma la devastazione di cui parla è troppo visibile, e ci vivo dentro, nel Veneto.

E’ come leggere un romanzo su una malattia quando ce l’hai anche tu o qualcuno vicino a te.

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Il sari rosso – @javiermoro123 @rahulgandhi

Sapevo che Sonia Gandhi era italiana ma non che fosse vicentina (ehi, siamo della stessa regione)!

E ho sempre pensato (ma non sono l’unica) che Indira Gandhi fosse la figlia del Mahatma, mentre invece era solo amici: il Mahatma frequentava il padre di lei, Nehru… Indira aveva acquistato il cognome Gandhi dal marito (che tra l’altro si chiamava Ghandi, e che si fece cambiare il cognome all’anagrafe).

Sonia Maino incontrò il futuro marito Rajiv Gandhi a Cambridge, dove era andata a studiare inglese. E’ figlia di un muratore che, lavorando come un matto (da bravo veneto) era diventato imprenditore.

Persona schiva e timida, le è venuto un attacco di panico quando il futuro marito Rajiv ha cercato di farle conoscere la suocera, Indira…

E’ così che Sonia entra a far parte della famiglia Gandhi. Negli anni, acquisterà la nazionalità indiana e assumerà le abitudini del suo paese di adozione (sapevate che l’India è la più grande democrazia al mondo?).

Scordatevi rose e fiori: la biografia inizia con la morte del marito di Sonia, ucciso da un attacco kamikaze. E per chi non se lo ricorda, anche la suocera Indira era stata uccisa per motivi religioso-politici. Il nonno Nehru, invece, era morto di morte naturale, ma aveva trascorso così tanti anni in prigione che la figlia, un giorno, quando qualcuno le ha chiesto dov’era suo padre, ha dovuto dire che erano tutti in prigione…

La storia tra l’italiana e il rampollo della dinastia Gandhi (rampollo suo malgrado: non avrebbe voluto entrare in politica, a lui piaceva fare il pilota) è però una storia d’amore. Parola abusata, ma qui, stavolta, sembra che anche dopo vent’anni di matrimonio, Rajiv trovasse il tempo, tra un viaggio e l’altro, di mandare teneri biglietti.

Insomma, nonostante tutto il cinismo che ci si può mettere a descrivere la vita di una coppia trascinata dalla politica, qui bisogna tacere, e lasciar spazio al pudore.

Le disgrazie della famiglia si sono accumulate negli anni. Il fratello di Rajiv, per esempio, è morto in un incidente aereo. Sua moglie Maneka, che non è mai andata molto d’accordo con la suocera Indira e con Sonia, ha ingaggiato contro di loro una vera e propria guerra politica, dopo esser rimasta vedova.

E sullo sfondo, l’India, piena, piena zeppa di contraddizioni: un paese con un altissimo tasso di poverissimi e un bassissimo (ma in crescita) tasso di ultramiliardari. Un paese che, negli anni di Indira, è ricorso alla sterilizzazione coatta, un paese con forti divisioni religiose e una corruzione distribuita a tutti i livelli del potere.

Non è possibile riassumere in un post quasi 600 pagine di libro: a me è piaciuto, perché è ambientato in un paese lontano ma parla di quasi cinquant’anni di storia (storia che non si riesce mai a studiare a scuola). E poi perché una delle protagoniste è italiana: non dimentichiamo che Sonia Gandhi, nonostante la sua ritrosia ad entrare in politica, è stata definita da Forbes come una delle donne più influenti del pianeta.

Mi è piaciuto anche perché ha dato molto spazio alle difficoltà personali dei personaggi e alla loro (di Sonia e Rajiv) riluttanza ad entrare in politica: mi son trovata davanti ad esseri umani, non statisti. E col brutto esempio degli “statisti” che abbiamo in Italia, questa è stata proprio una boccata di aria fresca.

Ecco, se devo trovare un difetto alla biografia, è che l’autore spesso giustifica Indira: è vero che il potere ti costringe a decisioni scomode, è vero che l’amore per il figlio pecora-nera l’ha spinta a scelte criticabili, è vero che è caduta vittima di superstizioni e santoni vari… Moro sembra sempre porre più in evidenza le giustificazioni ai comportamenti più difficilmente giustificabili.

Poco male: si tratta di storia così recente che è inevitabile essere di parte. Fra una trentina d’anni vedremo da che parte tira il vento.

Mi resta una curiosità: perché un autore spagnolo si è interessato così tanto alla storia di un’italiana che è diventata un personaggio di spicco in un paese così lontano come l’India?

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La notte del santo, Remo Bassini @fanuccieditore

Iniziamo subito con un paio di morti ammazzati, quasi decapitati. E poi ne arrivano altri. Stessa modalità, ma vittime apparentemente slegate tra loro. La prima idea che salta in mente è che dietro agli omicidi, iniziati la notte del Santo patrono di Torino, ci sia una motivazione di natura religiosa, forse una setta. Ma pian piano, i dettagli iniziano a collimare tra loro: alla fine (che non vi svelo) le indagini vengono messe sottosopra e la curiosità ti costringe ad accelerare la lettura (terminata in tre giorni, nonostante un altro libro e l’inizio della scuola).

L’effetto sorpresa, che in un noir ci sta, arriva. Però questo è un noir atipico: il presunto protagonista, il commissario Dallavita, non è quello che risolve il caso. Lui tira le somme: grazie a lui scopriamo gli altarini dei colleghi, della Torino Bene, dei servizi segreti, ma in realtà il caso si era chiuso prima, grazia all’ispettore Tavoletti, o almeno si era chiuso per i giornali e i cittadini di Torino.

Dallavita non segue il caso passo per passo perché è a una svolta decisiva nella sua vita privata: lasciare la moglie Carmen. Ha bisogno di pensare, di star solo, e si prende un mese di ferie. Non è una scelta facile, la sua, ed è resa più difficile anche dall’atteggiamento della moglie, che attraverso telefonate ed SMS lo fa sentire un vero pezzo di cacca.

Quando un libro mi prende, provo nei confronti dei personaggi sentimenti forti, come se fossero persone che ho frequentato per un periodo breve ma intenso; forse anche di più: perché nella vita vera di rado vieni a sapere cosa pensa il tuo vicino o un tuo amico, mentre questo ti succede coi personaggi dei libri.

Nel caso di Dallavita, devo ammettere che non mi sarebbe piaciuto, dal vivo. Troppo altalenante in campo femminile, per i miei gusti talebani; e poi fuma (oh sì, il fumo mi dà tanto fastidio, anche nei libri), e inizia ad eccedere nel bere. Nessun personaggio del libro, però, è piatto: sono tutti multisfaccettati. Anche dal punto di vista della bravura nel lavoro, non sono perfetti: Dallavita per esempio si fa prendere in giro di brutto da un sospettato, mentre Tavoletti ha i suoi lati poco… legali. Questo l’ho trovato coraggioso, da parte di uno scrittore: la gente vera non è come nei telefilm americani, ci piace per certi aspetti, e non ci piace per altri.

Potrei forse avanzare una critica molto soggettiva sulla cupezza dei protagonisti: il noir italiano è abbastanza saturo di poliziotti dannati (anche se devo ammettere che, a difesa di Bassini, il suo Dallavita è dannato sì, ma non è bello né giovane, e qui esprimo la mia gratitudine per la rottura degli schemi).

Riassumendo: un romanzo con molti fili, che però si chiudono tutti alla fine; con personaggi pieni di fantasmi, che però si mettono in chiaro nelle ultime pagine; e con almeno tre conclusioni da dedurre tra le righe:

  1. trova il movente e troverai l’assassino;
  2. guardati dalle belle donne;
  3. anche i ricchi piangono.

 

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Le cose che non ho detto, @azarnafisi @adelphiedizioni

Che meraviglia, che sincerità! L’autobiografia di Azar Nafisi, l’autrice di Leggere Lolita a Teheran, si legge come un romanzo e fa riflettere come un saggio.

La narrazione è incentrata sulla sua famiglia ma in un paese come l’Iran era impossibile ignorare la situazione culturale e politica.

Azar Nafisi ha sempre avuto un rapporto conflittuale con la propria madre, donna bellissima ed intelligente ma scontenta della propria situazione e tendente a rifugiarsi in un passato idealizzato, anche a costo di tacere a se stessa certe realtà. Adoro leggere di ragazzine che si ribellano e che, al tempo stesso amano i propri genitori, perché è nella natura umana fare così, sebbene la Nafisi e sua madre abbiano avuto degli scontri davvero intensi.

Noi, quando raccontavamo una bugia, sapevamo di mentire, mentre lei non se ne rendeva neppure conto.

Farei torto al libro se cercassi di riassumere in poche righe questo rapporto controverso; però, leggendo della Nafisi che cerca di calarsi dal secondo piano del collegio svizzero e che cade facendosi parecchio male, mi è venuta la curiosità di andare a vedere su youtube come è, di persona, questa scrittrice. E mi trovo davanti a una signora compostissima, emotiva e dolce. Nonostante tutto quello che ha passato!!

Era legatissima al padre, che è stato sindaco di Teheran e che poi è stato incarcerato sotto false accuse. E’ stato lui a introdurla al mondo della letteratura tradizionale persiana.

Il rapporto della Nafisi coi libri è stato sempre molto intenso, direi quasi un bisogno fisico: questo è un aspetto che me l’ha resa molto vicina. Considerando la situazione politica iraniana, la guerra di otto anni con l’Iraq, Khomeini, gli assassini, le torture e la situazione delle donne nel suo paese, le difficoltà di tenere aperte le università laiche, è semplicemente meraviglioso che la Nafisi abbia dato così tanta importanza alla letteratura.

Anzi, la letteratura per lei va considerata come un vero e proprio antidoto all’assolutismo, ne ha fatto una bandiera del suo pensiero. Alla letteratura lei è sempre rimasta fedele, anche se sono cambiate le sue letture e anche se, lo ammette lei stessa, ha fatto i suoi errori politici (come, ad esempio, quando è andata a manifestare contro lo Scià senza rendersi conto che l’alternativa era lo stato Islamico di Khomeini).

 

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Ma come ci giudicano gli stranieri?

Cicerone voce di Roma - Taylor Caldwel

Cicerone voce di Roma – Taylor Caldwel

Sì, lo so che ho già scritto di questo romanzo storico, ma non pensavo che mi piacesse così tanto, nonostante sia degli anni Sessanta e lo stile sia un po’ datato.

Non so voi, ma io non ho più ripreso in mano la storia italiana antecedente al Novecento dopo esser uscita da scuola. Insomma, sono ignorante come una capra. Ecco perché ho letto questo libro, che è sì molto romanzato (Cicerone ne viene fuori come una specie di seguace di Gesù sessant’anni prima dell’anno Zero), ma che ha il pregio di farti apparire interessante anche una sequela di triumviri, ammazzamenti di stato e guerre.

Cicerone viene identificato come saggista e scrittore ma non viene mai esposto il contenuto dei suoi testi (che, ho scoperto da altre fonti, sebbene non siano giudicati molto originali, ripropongono in modo sintetico il pensiero di molti filosofi greci). Ne viene invece sottolineata l’alta ispirazione morale, la razionalità (che a volte lo fa tentennare prima di prendere posizione perché deve valutare tutti i fatti in causa) e l’amore per la sua patria.

Mi rimane controverso l’aspetto dell’ambizione: da questo libro lui ne viene fuori come uno che non è per niente interessato alla fama e al potere, perché tutto dovrebbe essere subordinato al servizio del suo Paese. Anzi: quando lui se la prende con Crasso, Ottavio, Cesare, uno dei peggiori insulti che usa è proprio la parola ambizioso. Ma da altri testi ho scoperto che anche lui era ambizioso, non era proprio questo ingenuotto che l’autrice ci vuol presentare.

L’autrice è americana. E qui si apre un mondo. Perché? Man mano che leggevo mi son spesso chiesta: ma come ci vedono gli stranieri? Come un popolo che si infiamma per nulla; un popolo opportunista che oggi segue uno e domani l’altro in base a quanto pane e circo promettono; una massa di sempliciotti pronta a farsi corrompere; che non si solleva davanti alla tirannide ma che si incazza come una bestia se gli togli certi canali TV (no, questo l’ho aggiunto io). E il dubbio che questa visione coincida con la verità, è forte.

Eppure… eppure di questo popolaccio con la bocca aperta e il cervello spento, i governanti del romanzo dimostrano di avere sempre paura, come se si trovassero di fronte a un mostro mitologico che bisogna distrarre, perché altrimenti ti divorerebbe in un batter di ciglia. Un popolo a cui si può togliere la libertà e puoi fargli tutto quello che vuoi, basta che non se ne accorga…

Vabbè, tutta questa pericolosità io non ce la vedo, oggi. Quella volta, forse.

Lasciatemi però riportare una frase che appena l’ho letta mi è sorta un’immagine davanti agli occhi:

A loro piaceva perfino la calvizie di Cesare; quando una volta comparve a Roma con una corona di lauro per nasconderla, riservo battendosi i fianchi (…)

L’immagine che ho in testa io mi mostra una bandana al posto dell’alloro, e un personaggio di calibro alquanto inferiore a Cesare, ma altrettanto bugiardo e avido di potere.

Povera Italia.

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Italia, oggi e duemila anni fa

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Cicerone, voce di Roma – Taylor Caldwell

Ma da quante migliaia di anni noi italiani ci lamentiamo dei nostri governanti?

Cicerone, una sessantina d’anni prima della nascita di Cristo, era uno di quelli che deplorava la situazione in cui era caduta Roma e che nominava di continuo gli antichi romani, i rappresentanti della Legge, uomini valorosi e saggi. E ce l’aveva sia con i politici, che al suo tempo badavano solo ai privilegi e agli agi, che con il popolino, che si accontentava di mangiare e divertirsi a spese dello stato, limitandosi ad acclamare ogni tanto il potente di turno.

Ma la parte del libro che si potrebbe pari pari riportare in un articolo di giornale ai giorni nostri, magari cambiando solo i nomi delle classi sociali, è quella in cui Silla, il militare dittatore, ricorda a Cicerone che è inutile declamare le glorie passate, perché ormai Roma è caduta, è morta.

Cicerone, avvocato, è stato invitato a cena da Silla, che vuole convincerlo ad abbandonare la difesa di Catone Servio, un ex centurione che ha scritto un libro che attacca la corruzione di Roma. E Cicerone ricomincia la sua tiritera sull’antica Roma e sugli antichi romani, bla bla bla.

E allora Silla gli fa un discorso: considera i senatori, i Censori, i tribuni del popolo, la classe media, gli avocati, i medici, i banchieri, i mercanti, gli investitori, gli avvocati… considerali tutti, uno per uno. Ce n’è uno, uno solo che si alzerebbe davanti a Silla per fermarlo o che rinuncerebbe a uno dei suoi privilegi per aiutare Roma a riacquistare gli antichi splendori??

Il discorso occupa quattro pagine, ho riassunto all’osso, ma il senso è questo. Perché ricordiamoci quello che Silla dice alla fine:

Tu mi hai giudicato malvagio, l’immagine della dittatura. Ma io sono quello che il popolo merita. Domani morirò come tutti muoiono. Ma ti dico che dopo verranno uomini peggiori di me! C’è una legge più inesorabile di ogni legge creata dall’uomo ed è la legge della morte per le nazioni corrotte, e i beniamini di questa legge già si agitano nel grembo della storia. Ce ne sono molti che sono vivi oggi, giovani e viziosi e senza fede. Essi riusciranno. Così passa Roma.

Così passerà l’Italia.

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