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Borgo Sud (Donatella di Pietrantonio)

Questo romanzo è la continuazione de “L’arminuta”. Le protagoniste sono sempre l’arminuta, che adesso insegna letteratura italiana in Francia, e la sorella Adriana, che è rimasta al paese.

La storia inizia quando l’arminuta riceve una telefonata che la costringe a mollare tutto, a salire su un treno e a tornare a casa di corsa. Non sappiamo cosa sia successo fin quasi alla fine del libro, ma pian pianino, durante la sua insonne nottata in albergo, ricostruiamo gli anni di presenza ed assenza delle due sorelle.

La narratrice si è sposata con Piero, odontoiatra; Adriana ha avuto un figlio da Rafael, un figlio di cui non aveva detto niente alla sorella. I loro rapporti con i genitori sono molto altalenanti, soprattutto per Adriana, che ha vissuto le esperienze più estreme in famiglia.

Il racconto si snoda su più piani temporali: uno presente e diversi passati.

Adriana non mi piaceva nel primo romanzo e non mi piace neanche adesso. Secca, antipatica, taciturna quando dovrebbe parlare, troppo aperta quando dovrebbe riflettere sulle parole che usa, opportunista.

L’arminuta invece è troppo passiva, ingenua, accondiscendente.

Ma solo i libri ben scritti ti fanno provare simpatie ed antipatie per i protagonisti, e questo è molto ben scritto.

Sebbene fin dall’inizio si capisca che è successo qualcosa di brutto e che il dramma è sempre in agguato; sebbene sia poco verosimile che una sorella si presenti a notte fonda a casa dell’altra con un figlio che la zia non ha mai visto, e che sia ancora più inverosimile che non si parli subito della causa di questa apparizione improvvisa… è un libro che ti costringe ad andare avanti con la lettura.

I personaggi spingono al limite l’analfabetismo emotivo: a tratti è davvero eccessivo, ma per raccogliere certi messaggi, l’arte deve essere spesso estrema.

E poi lo vediamo nella vita di tutti i giorni: il 99,99% delle incomprensioni è dovuto a incapacità o a poca volontà di esprimersi.

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1918 L’influenza Spagnola (Laura Spinney)

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Dal 1918 al 2020, l’atteggiamento umano davanti a una pandemia è cambiato poco sotto diversi punti di vista.

Oggi come allora diamo la colpa dello scoppio dell’influenza ai paesi stranieri (sembra che la Spagnola sia nata in Kansas, ma che tutti dessero la colpa alla spagna o alla Cina).

Oggi come allora diamo la colpa agli immigrati: oggi sono quelli che vengono dal bacino del mediterraneo, allora negli Stati Uniti se la prendevano con gli italiani, che sembravano più sporchi e dissoluti degli altri.

Oggi come allora una larga percentuale di popolazione, davanti al brancolare della scienza, si rivolgeva alle cure cosiddette “alternative“, anche se nel 1918 la distinzione non era così chiara.

Oggi come allora, si dà la colpa agli spiriti e agli dei, e molti si affidano alle preghiere e ai riti per guarire.

Le differenze, ovviamente, ci sono, Oggi l’OMS è funzionante ed attiva: nel 1918 ancora non c’era, anzi, la Spagnola è stata un elemento che ne ha favorito la costituzione, in qualche modo, visto che eventi del genere non si possono controllare a livello nazionale.

Nel 1918 eravamo in piena guerra mondiale, il che ha favorito certamente la diffusione dell’epidemia (oggi la diffusione è favorita dai viaggi e dal commercio).

Nel 1918 molti paesi non avevano un sistema sanitario, oggi ce l’hanno quasi tutti.

E’ un libro certamente interessante, con un taglio storico, e meno attento agli aspetti scientifici rispetto ad altri testi sull’argomento.

Vengono citati molti personaggi: Freud, Klimt, Egon Schiele, il nonno di Trump (sì, proprio lui), Amelia Earhart (l’aviatrice), il compositore ungherese Béla Bartok… più tutta una serie di personaggi semi-sconosciuti che hanno combattuto contro il corona virus dell’inizio del Novecento (interessante come, in tempi più recenti, i medici sono andati a cercarsi il DNA della Spagnola).

Forse (opinione mia) l’autrice attribuisce alla Spagnola più conseguenze di quelle che ha avuto: epidemie di depressione, o addirittura di encefalite letargica (Vi ricordate il film “Risvegli”?), fino ad arrivare a ipotizzare scenari politici alternativi.

Se guardate le recensioni su Amazon, ce ne sono diverse che lamentano l’abbondanza di descrizioni macabre: morti abbandonati in strada, cadaveri in putrefazione, fosse comuni… M a me non sembra che l’autrice si sia soffermata molto su questi aspetti.

Dobbiamo considerare che il libro esamina l’epidemia a livello globale: ci sono stati anche casi macabri. Sorvolarli non sarebbe stato un atteggiamento obiettivo.

Consiglio finale: leggetelo.

Leggetelo soprattutto per capire come l’animo umano resta sempre lo stesso, non importa quanto evoluti e “scientifici” ci consideriamo.

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Cina: AIDS, SARS e influenza aviaria

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Per capire il presente bisogna conoscere il passato; recente, se possibile.

HIV/AIDS

Alla fine degli anni Settanta, la Cina si comportò come se l’AIDS non la riguardasse, come se fosse una malattia di cui non fosse necessario preoccuparsi. Il problema AIDS in Cina è esploso negli anni Novanta. Perché?

Nella provincia dell’Henan, milioni di contadini poveri vendevano il proprio sangue per raggranellare qualche soldo. Siccome l’AIDS in Cina non “esisteva”, non esisteva neanche nessun tipo di profilassi (ad esempio, i tubicini delle trasfusioni non erano monouso).

Anche l’AIDS cinese ha avuto il suo eroe: donna, in questo caso. La dottoressa Gao Yaojie curava i malati di tasca sua, e si occupava pure degli orfani. Insignita di un paio di premi internazionali, Pechino le ha impedito di uscire dal paese per andare a ritirarli. Anzi: l’ha messa agli arresti domiciliari perché i dati sanitari erano (sono?) segreto di stato.

SARS

I primi casi di SARS si sono registrati in Cina a novembre del 2002, ma il governo ne ha informato l’OMS solo a febbraio del 2003.

L’eroe, a quel tempo, divenne il dottor Jiang Yanyong: anche lui fu insignito di un premio internazionale (il Ramon Magsaysay), ma Pechino gli impedì di lasciare il paese per andare a ritirarlo.

INFLUENZA AVIARIA (H5N1)

Vedi sopra.

Pechino considera le informazioni sanitarie come segreti di Stato. Ancora nel 2008 fece chiudere un paio di siti web che diffondevano dati sull’AIDS e l’epatite.

L’atteggiamento di Pechino, nel caso del Corona Virus, oggi, sembra più aperto, anche perché la tecnologia rende difficile molte forme di copertura.

Uno dei nemici dell’informazione, oggi, è il complottismo, e di questo, vi assicuro che non possiamo dare la colpa al governo cinese.

Proprio stamattina, una signora mi ha detto che il corona virus lo ha fatto Trump per supportare meglio la politica dei dazi.

Capito?

Signori, vi prego: sottraete a Trump il suo Piccolo Chimico.

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La conoscenza e i suoi nemici – Tom Nichols

IMG_20200209_112118[1]L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia

Tom Nichols è professore allo U.S. Naval War college e alla Harvard Extension School e ha spesso ricoperto ruoli di consigliere presso personaggi politici statunitensi.

In questo libro se la prende con i cittadini statunitensi (ma ricordatevi che noi italiani prendiamo gli stessi vizi degli americani, solo con qualche anno di ritardo): Perché? Perché sono ignoranti.

Non è una novità, direte.

Beh, una novità c’è, e consiste nel fatto che si beano della loro ignoranza più che in passato, disprezzano gli esperti come non mai e sono sempre più aggressivi nell’esprimere le loro opinioni, considerate alla stregua di verità assolute.

Questa situazione è una deriva dell’errato concetto di uguaglianza: se siamo tutti uguali, dicono, allora la mia opinione vale quanto quella di un esperto, no?

In realtà, l’uguaglianza andrebbe legata al valore del voto: il mio voto vale quanto quello di un esperto. Ma quando si parla di competenza, le cose stanno molto diversamente.

La proliferazione di teorie del complotto, di stereotipi e di bias da conferma è legata a molti fattori.

Tra questi, il crollo qualitativo dell’istruzione americana: tutti vogliono andare al college. E tutti i college, vogliono attirare il più gran numero possibile di studenti, perché ogni studente paga fior fiore di soldi per frequentare. Ne deriva che gli studenti si trasformano in clienti.

E cosa fa un cliente? Ha sempre ragione. Bisogna accontentarlo: dargli ciò che vuole, non ciò di cui ha bisogno. Ecco, allora, college e istituti universitari che diversificano l’offerta di attività extra-curriculari e spendono milioni di dollari nell’arredamento (di design!) dei dormitori: tutti aspetti esteriori che fungono da allettanti specchietti delle allodole, peccato che poi l’offerta contenutistica vera e propria venga messa in un angolino.

Ed ecco, ancora, sistemi pubblici di valutazione degli insegnanti: gli insegnati ricevono commenti e votazioni da parte dei ragazzi. E’ esattamente il contrario di quello che si faceva qualche anno fa, quando erano i professori a valutare gli studenti… Ma i prof devono adeguarsi, perché se, ad esempio, assegnano troppi libri da leggere, allora la loro valutazione scende, l’appetibilità del loro corso cade in picchiata, diminuisce il numero dei frequentanti e il prof rischia il posto.

L’incompetenza e l’aggressività contro gli esperti è fomentata anche dalla rete (che per altri versi avrebbe anche i suoi vantaggi).

Uno dei rischi di internet è che rischia di renderci più rigidi nelle nostre opinioni, nonostante la maggior possibilità di informazione.

Un esempio?

Chi seguiamo se siamo di destra (o sinistra)?

Un giornale di destra, un comico/cantante/attore di destra, tanti amici di destra (o sinistra)… appena ci accorgiamo che qualcuno esprime un’opinione diversa dalla nostra, lo blocchiamo (magari, dopo averci litigato un po’ online). Di sicuro non continuiamo a seguirlo.

In generale, online la nostra tolleranza ad ascoltare opinioni diverse dalla nostra è quasi inesistente.

Ne consegue che la nostra dieta informativa è totalmente squilibrata.

Mi direte: anche gli esperti a volte sbagliano. Certo. Ed è un bene che lo si scopra. Ma il fatto che lo si scopra è già una prova che il sistema scientifico funziona ancora.

Bisogna dire inoltre che, nella stragrande maggioranza dei casi, gli esperti ci azzeccano. Eppure questo fa molto, ma molto meno notizia di un esperto che sbaglia. Fatalità, oggi, se sbaglia un esperto, la tendenza è di credere che tutti gli esperti sbaglino. Tutti. Questa sfiducia di base verso la competenza può essere pericolosa.

Nichols analizza l’ascesa al potere di Trump come il risultato di una generica ignoranza collettiva, ma questo è solo uno dei tantissimi esempi in cui la diffidenza verso la competenza è pericolosa.

La soluzione?

Sviluppare il pensiero critico.

Ma qui, ci vorrebbero altri libri sul… come!

 

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The game, Alessandro Baricco @einaudieditore

Non avrei mai creduto di appassionarmi così a:

a) un libro di Alessandro Baricco

b) un libro sul mondo digitale.

Eppure…

Baricco si è messo a ricercare le radici (la spina dorsale, i reperti archeologici) del mondo digitale di oggi risalendo agli anni Settanta e ha fatto una serie di scoperte interessanti.

Intanto: perché il mondo digitale è nato? Perché chi lo ha creato (ingegneri/scienziati maschi bianchi della controcultura americana) venivano dal Novecento, uno dei secoli più sanguinosi della storia umana. Per evitare il ripetersi di una tale tragedia, nelle loro menti, forse a livello inconscio, bisognava:

a) distribuire a tutti le informazioni e impedire, tramite la velocità, che le ideologie si fossilizzassero in pericolose direttive d’azione.

b) togliere il potere alle vecchie élites (professoroni, sacerdoti & C.)

(…) l’immobilismo culturale dei popoli e il ristagno piombato delle informazioni avevano portato i loro padri a vivere in un mondo in cui si poteva fare Auschwitz senza che nessuno lo sapesse, e sganciare una bomba atomica senza che la riflessione sull’opportunità di farlo riguardasse più di una manciata di persone.

Nel far ciò, è nata una certa ossessione per il movimento, per l’abbattimento delle barriere: in fondo, se si facevano le guerre era per mantenere o allargare i propri confini, in senso materiale e non.

Per allargare la base degli utilizzatori delle informazioni, l’unico modo era cambiare i tools, gli strumenti che usavano (perché, ricordiamoci che le persone non le cambi con interventi diretti, devono cambiare da sole): da qui ecco l’importanza data alla facilità d’uso.

Nel Novecento, infatti, le élites ci rappresentavano il mondo come un iceberg alla rovescia, dove la base, enorme, sopra l’acqua rappresentava il caos, il reale, e sotto, la puntina che solo alcuni potevano scoprire, stava la Verità.

I creatori del mondo digitale, invece, hanno fatto il contrario: l’iceberg tiene l’enorme base sotto l’acqua (la complessità dei devices) e lascia emergere solo la semplicità offerta all’utilizzatore (l’I-phone che si lascia gestire con un dito).

Questo può creare delle storture, certo. Ad esempio, viene rivisto il concetto stesso di verità: non è più vero ciò che è vero, ma è vero ciò che viene meglio raccontato (ecco l’importanza dello storytelling). D’altronde, se il movimento delle informazioni deve essere veloce, è normale che nella corsa alcuni dettagli si perdano per strada.

Altra stortura è la creazione di nuove élites: chi sa usare i nuovi strumenti. Chi non lo sa fare (o chi, semplicemente, non può permetterselo), resta indietro. Ricchezza e povertà, nel mondo digitale, sono ancora molto novecenteschi. E come le élites novecentesche, quelle digitali sono difficili da controllare (solo per fare un esempio, i bestioni digitali non pagano tasse o non le pagano come dovrebbero fare).

Altra stortura: la privacy è costantemente violata, checché ne dicano i sistemisti aziendali. Pensate alle cloud: non sono nuvolette nel cielo azzurro. Sono altri computer. Di chi? Dove? Mah. E i nostri dati, siamo noi: non è così difficile orientare le nostre scelte.

Baricco però mi ha fatto notare una cosa:

Il fatto che la Rete bene o male ti faccia arrivare solo le notizie che vuoi leggere, e che ti rafforzano nelle tue convinzioni, è una cosa che può davvero temere gente che ha conosciuto le parrocchie, le sezioni di partito, il Rotary, il telegiornale di quando non c’era la Rete e i giornali degli anni ’60?

Insomma, mi fa pensare il fatto che l’unico paese in cui oggi non arriva il segnale digitale è la Corea del Nord… è la prova che la rete fa paura a certi poteri.

Certo, c’è anche il problema dei millennials, che viaggiano veloci ma senza profondità, e che non hanno conosciuto i drammi del Novecento, e dunque non sanno perché è nato il mondo digitale.

Certo, gli umani aumentati, con gli smartphone in tasca, si sentono potenti, rifiutano il parere degli esperti perché pensano di poter fare da soli anche quando non è vero, e hanno sviluppato nuove forme di egoismo di massa.

Ma allora, se consideriamo tutte queste storture, che ci stiamo a fare ancora qui? Perché non ci solleviamo in blocco e smettiamo di usarle il cellulare e i computer e di ordinare tramite Amazon e di prenotarci le vacanze da soli? In fondo i fautori della rivoluzione digitale non sono solo i vari Jobs e Zuckenberg, è da idioti presentarla come una metamorfosi imposta dall’alto e dalle forze del male!

Qualcuno ce l’ha PROPOSTO semmai, e noi ogni giorno torniamo ad accettare quell’invito.

E infatti, chi si solleva davanti al mondo digitale, non lo fa per tornare indietro all’analogico.

Ebbene, la rivoluzione digitale è, appunto, una rivoluzione: un cambio repentino e violento del gioco. Ma le regole si costruiscono man mano che si gioca. E giochiamo tutti.

Se devo trovare un difetto al libro, è che Baricco a volte si lascia prendere dalla prosa e dalle immagini, e si dimentica di presentare qualche esempio che potrebbe rendere più concreta la tesi specifica.

Per il resto, questo è un libro facile da leggere ma illuminante che, attraverso la storia (anche se al limite della contemporaneità) ci fa capire l’oggi.

Ottimista ma non semplicistico, tocca, attraverso la realtà digitale, tutti i campi del nostro vivere quotidiano, dagli acquisti online alla politica interna ed internazionale, dalla famiglia ai passatempi.

Lo devono leggere assolutamente gli ingegneri, soprattutto italiani, che non sono come gli ingegneri della controcultura americana degli albori del digitale; ma anche chi usa tutti i giorni la piccola bomba atomica che ci teniamo in tasca/borsetta.

Un invito all’Einaudi: per favore, questo libro fatelo andare oltreoceano, non aspettate troppo a farlo tradurre………………………………

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Il racconto dell’ancella – Margareth Atwood

La storia è raccontata in prima persona dall’ancella stessa. Il suo nome è Difred, cioè appartenente a Fred. Ci troviamo in una distopica repubblica nordamericana nella quale, sotto un regime teocratico, le ancelle sono le uniche donne in grado di procreare. Dunque il loro controllo è vitale.

Il mondo è andato a catafascio, a causa delle guerre e delle scorie nucleari, e le donne, soprattutto le ancelle, sono sottoposte a strettissima sorveglianza. Non possono parlare tra loro né ridere né comportarsi in modo strano. La loro vita è dedicata alla procreazione, solo che gli eventuali figli, se nascono senza deformazioni, vengono poi cresciuti dalle mogli degli uomini che le hanno ingravidate.

Le ancelle non possono leggere, niente di niente, e le loro giornate sono scandite da compiti ripetitivi e cerimonie pseudopolitiche. Sono controllate in ogni loro movimento, anche per evitare che si suicidino appena ne hanno l’occasione.

Non succede molto, non è un romanzo di fantascienza avventurosa. E’, invece, un racconto intimista: Difred ci narra quel poco che le succede intervallando numerosissimi flash-back. E’ quasi un romanzo di memorie: ed è proprio la memoria a causare la sofferenza maggiore, quando lei si ricorda del marito Luke e della figlioletta che le è stata sottratta.

Il fatto che lei racconti la sua storia, però, è un sintomo di speranza. Lei non ha più il suo passato, se non nel ricordo, e le resta solo la speranza per il futuro. Lei e le altre ancelle sono così sottomesse da aver rinunciato a ribellarsi.

O forse no?

Il cuore umano rimane un fattore non trascurabile

E’ una distopia, sì, ma solo per i paesi occidentali. Basti pensare a questa frase, pronunciata da uno degli antagonisti, a quanto può esser applicata a realtà contemporanee relativamente lontane da noi:

Il nostro grande errore è stato di insegnar loro a leggere.

Nel romanzo è solo questione di tempo: le generazioni successive dimenticheranno il passato e con esso spariranno tutti i tentativi di ribellione. Senza lettura, senza racconti, il passato smetterà di ispirare libertà.

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La disobbedienza ed altri saggi, Erich Fromm

Eh no, ragazzi miei: facendo i bambini obbedienti non si arriva da nessuna parte. A dircelo è Fromm, e ce lo ha messo per iscritto un bel po’ di tempo fa. La civiltà è nata con un atto di disubbidienza: avete presente Adamo ed Eva, quelli che andavano in giro con la foglia di fico che poi non era fico? O Prometeo, che va a rubacchiare cose che non gli spettano? O tutti quegli scienziati che hanno messo in dubbio il pubblico sentire?

Limitandosi all’ubbidienza non si cresce, non si diventa liberi: ci si limita ad eseguire gli ordini.

Ora tutti diranno: anche io voglio essere libero! anche io! e io no?

No.

In realtà la gente dice solo a parole che vuol essere libera; perché quando si tratta di prendere decisioni e di assumersi le responsabilità che ne conseguono, tutti (anche io) alzano le mani e si giustificano: ma io ho fatto quello che mi ha detto lui/lei!

L’uomo inserito in un’organizzazione ha perduto la capacità di disobbedire, non è neppure consapevole del fatto che obbedisce. Nell’attuale fase storica, la capacità di dubitare, di criticare e di disobbedire può essere tutto ciò che si interpone tra un futuro per l’umanità e la fine della civiltà.

Certo, Fromm scriveva negli anni Sessanta sotto l’incubo del disastro atomico, ma la situazione attuale non è molto diversa, anzi, forse è peggiore, perché ci disinteressiamo di tutto quello che non ricade hic et nunc – qui ed ora – nel nostro orticello.

Questo è uno degli argomenti che Fromm affronta in questo breve saggio. Parla anche di socialismo umanitario (mettendoci in guardia dalla deformazione della teoria Marxista fatta dai politici), di reddito minimo garantito (e questo vi consiglio di leggerlo!), di disarmo unilaterale, di pratica della pace.

Parla all’uomo dell’uomo.

Ho adorato le pagine in cui distingue i profeti dai sacerdoti:

Possiamo definire profeti coloro i quali proclamano idee – non necessariamente nuova – e in pari tempo le vivono. (…) Chiameremo sacerdoti coloro i quali fanno uso delle idee che i profeti hanno enunciato.  I profeti vivono le proprie idee; i sacerdoti le somministrano a quanti hanno care le idee stesse. Le quali perdono così vitalità (…) accade sempre che la formulazione acquisti importanza una volta che l’esperienza sia morta.

Ecco perché la gente non crede più in niente: perché le idee che vengono fatte circolare oggi fanno appello solo alla nostra mente, non al nostro cuore. Ci mancano gli esempi.

Si può affermare senza tema di esagerazione che mai la conoscenza delle grandi idee prodotte dalla specie umana è stata diffusa in tutto il mondo come oggi, e che mai queste idee hanno avuto meno incidenza di oggi.

E poi, sentite come Fromm ci spiega il senso di colpa contemporaneo: coloro che lo provano

non sono tormentati da un problema morale, ma dal fatto di non aver obbedito a un ordine.

Che l’ordine venga da un’organizzazione o sia il precetto di un’autorità interiorizzato, la sostanza non cambia.

Dobbiamo lavorare su noi stessi. Tutti.

 

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Vergine giurata – Elvira Dones

In Albania, quella del nord, la più arretrata, tra le c.d. Montagne Maledette, c’è un’usanza alquanto strana: se manca un maschio in famiglia (cosa probabile, visto che si ammazzano come formiche), una delle donne può giurare di fare il maschio per il resto della sua vita.

E’ un giuramento, appunto, a vita: ci sono ancora delle vergini giurate anche oggi, nella zona. Una volta che hai giurato, non puoi tornare indietro.

Una volta che sei diventato uomo… smetti di lavorare. E fai l’uomo. Cioè bevi fino a stordirti, bestemmi, vai in giro col fucile, porti avanti la faida ammazzando altri uomini che hanno ammazzato altri della tua famiglia… cose così, insomma. Come si può capire dal tono sarcastico della mia esposizione, io mi innervosisco a leggere certe cose. Ma torniamo al romanzo.

L’eroina della Dones, a differenza delle vergini giurate reali, ha lasciato l’Albania perché vuol riappropriarsi della sua femminilità. Va negli Stati Uniti da una cara cugina, ma ci mette un pezzo prima di tornare donna, dice che, dopo quattordici anni trascorsi a fare il maschio, ha bisogno dei suoi tempi…

L’autrice ha ben caratterizzato questa difficoltà a tornare donna. Ha un po’ meno bene caratterizzato la quotidianità di Hana Doda quando era Mark Doda. A parte due episodi che la ritraggono da maschio, la figura di Mark rimane come una sagoma vuota nello sfondo delle Montagne Maledette.

Cioè: se gli uomini non potevano farsi da mangiare né pulire la casa, lei/lui come si è arrangiata, visto che viveva da sola/o? Ho l’impressione che questo sia un po’ un limite del libro: la Dones è riuscita benissimo a incarnarsi nella Hana prima e dopo di esser diventata uomo, ma non in Mark.

A parte ciò, il libro mi è piaciuto, e lo consiglio: la scrittrice ha una bellissima scrittura, anche se piena di paratattiche. E lode alla Dones che, albanese, ha scritto il romanzo direttamente in italiano. Un’autrice che sceglie l’italiano come lingua per scrivere un libro è una mosca bianca, nel panorama mondiale (visto che lei conosce benissimo anche l’inglese). Grazie per esserti ricordata di questo culturalmente sperduto paese…

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