Category Archives: automiglioramento

Il metodo Aristotele (Edith Hall)

IMG_20200801_101905[1]

Come bisognerebbe prendere le decisioni? Ieri come oggi, questi passaggi suggeriti da Aristotele restano validissimi:

  • Non decidere in fretta: prenditi il tuo tempo, se possibile, dormici su.
  • Verifica le informazioni in tuo possesso: soprattutto oggi, che siamo inondati da informazioni di tutti i tipi.
  • Consulta un esperto, e seguine i consigli. Può essere un esperto in carne ed ossa, ma puoi leggerne le parole anche in un libro o ascoltarlo su youtube.
  • Valuta il punto di vista di tutte le persone coinvolte dalle conseguenze della tua decisione.
  • Esamina tutti i precedenti conosciuti, sia che appartengano alla tua esperienza che all’esperienza di persone che conosci (magari leggendo delle biografie, tanto per allargare il cerchio delle tue conoscenze).
  • Esamina le probabilità degli esiti delle tue decisioni e preparati a tutte.
  • Prendi in considerazione il Caso: non puoi controllare tutte le variabili, è così, non puoi farci niente. Tanto vale essere psicologicamente pronti.

Un bel libro per affrontare Aristotele, autore spesso considerato ostico, in un’ottica contemporanea.

I capitoli affrontano vari temi: la felicità, il potenziale umano, le decisioni, la comunicazione, la conoscenza di sé, l’amore, il tempo libero e la morte.

Il capitolo più ispirazionale è – secondo me – quello dedicato al tempo libero e alle possibilità di automiglioramento.

Leggetelo.

Il tempo libero, ribadisce Aristotele, se usato correttamente, è lo stato umano ideale.

Leave a comment

Filed under Arte, automiglioramento, book, Libri & C., Saggi, scrittori inglesi

Sotto cieli rossi – Karoline Kan

IMG_20200715_163637~2

Karoline Kan è nata nel 1989 pochi mesi prima del massacro di Tienanmen.

Massacro? Quale massacro?

Karoline non ne sa nulla fino a che, da adulta, non si mette attivamente alla ricerca di informazioni sull’evento del 4 giugno, un evento di cui in Cina non si può parlare né scrivere.

Fino ad allora, la sua vita è incentrata sulla sua famiglia e sulla scuola, e la sua famiglia è tutta dedita al miglioramento sociale, alla ricerca di condizioni di vita migliori, possibilmente in città, lontano dalla campagna che offre poche opportunità di guadagno e di divertimento.

Quella che ogni cinese sognava di vincere era la corsa alla metropoli.

Karoline è la seconda figlia, e questo la segna fin dalla nascita.

Nel 1989 infatti in Cina vigeva ancora la politica del figlio unico (rimasta in vigore fino al 2015): non si poteva avere un secondo figlio, a meno che il primo non fosse una femmina.

Sua madre nascose la gravidanza fin quasi al parto: la nascose agli stessi suoceri, coi quali lei e suo marito vivevano.

Un secondo figlio, vietato, comportava una serie di difficoltà: innanzitutto, per i trasgressori, c’era una pesantissima sanzione da pagare (causa di indebitamenti che duravano anni) ed era perfino possibile che al bambino non venisse dato l’hankou, una specie di carta di identità. In pratica, era un cittadino fantasma.

Senza hankou non si può fare niente, né andare a scuola, né trovare un lavoro, né prendere l’autobus. Nel 2010 in Cina vivevano ancora milioni di “bambini in nero”, non riconosciuti perché nati “illegalmente”.

Quando la famiglia riesce ad abbandonare il paesino e a trasferirsi in una cittadina più grande, le difficoltà non finiscono. Chi viene dalla campagna è comunque considerato un “immigrato”, uno “straniero”, e questo comporta una serie di conseguenze che accompagneranno Karoline fino a quando inizierà a lavorare.

Ma l’estraneità cinese ci viene descritta anche in altri campi.

Ad esempio: il nonno di Karoline, che era stato un fervente sostenitore del governo, ad un certo punto perse la fiducia nel socialismo, e si diede al Falun Gong, un movimento spirituale che in Cina assunse un’amplissima portata.

Era un movimento pacifico, ma il governo cinese non poteva lasciar sopravvivere al proprio interno un’organizzazione così ampia, e da un giorno all’altro lo rese illegale. E con l’illegalità, arrivarono anche gli arresti e le torture per gli adepti che si rifiutavano di rinunciare al loro credo: siamo alla fine degli anni Novanta, non nell’Ottocento.

E che dire dell’addestramento militare a cui Karoline e i suoi coetanei devono sottostare quando si iscrivono all’università nel 2008?

La Cina è un paese pieno di contraddizioni.

Karoline Kan, però, come altri scrittori cinesi, non rinnega il suo paese.

Certo, ne mette in risalto gli aspetti negativi, ma alla base c’è sempre una speranza di redenzione e una fiducia di fondo nei cittadini cinesi, anche se a volte persino lei si lascia prendere dalla rabbia davanti a un’amica che non si interessa dei diritti delle donne e del silenzio imposto sui fatti di Tienanmen, o rabbia davanti a usanze sociali difficili da estirpare:

I ragazzi avevano il permesso di conoscersi solo dopo uno scambio reciproco di informazioni di base che comprendevano età, altezza, livello di istruzione, ma anche età dei genitori o presenza di eventuali fratelli o sorelle da mantenere.

I cinesi non sono molto diversi da noi.

Anche loro si danno da fare per vivere meglio secondo gli standard di vita imposti dalla TV e dai social media. E anche i loro giovani sono in costante lotta contro le generazioni precedenti: è un aspetto che accomuna tutte le latitudini e tutte le epoche.

Anche se ci avevano inculcato l’idea del lavoro come strumento per “servire la nazione”, a conti fatti nessuno di noi la pensava così. Quello a cui aspiravamo davvero era il successo individuale, e tanti saluti alla patria.

Mi piacerebbe che questo libro venisse letto da tutti quelli che credono che i cinesi siano formichine pronte a lavorare anche di sabato e di domenica, ma un po’ tonte, disposte a farsi mettere i piedi in testa dallo Xinping di turno affinché la Cina diventi il primo paese al mondo.

Ci sono anche cinesi così, certo. Cinesi che credono alla propaganda ufficiale, che non si fanno domande, che supportano la repressione a Hong Kong, che odiano gli Stati Uniti perché nei libri di scuola è scritto che sono il loro nemico peggiore.

Ma ci sono anche italiani che credono che il Covid sia stato creato in laboratorio per distruggere i paesi nemici.

E niente, il mondo è vario.

PS: ho chiesto alla scrittrice: questo libro non è ancora stato pubblicato in Cina.

Leave a comment

Filed under authobiographies, autobiografie, automiglioramento, book, Libri & C., Saggi, Scrittori cinesi

Ripensare il terrorismo in termini di storytelling

IMG_20200524_102524[1]

Uno dei capitoli de “21 lezioni per il 21° secolo” di Yuval Noah Harari si intitola “Terrorism – don’t panic”.

Oggi il terrorismo uccide in media, globalmente, 25.000 persone all’anno (principalmente in Iraq, Afghanistan, Pakistan, Nigeria e Siria).

Consideriamo che ogni anno, solo in Europa, muoiono 80.000 persone in incidenti d’auto. In America, i morti per incidenti sulle strade sono 40.000; in Cina sono 270.000.

A livello mondiale, i morti per incidenti stradali sono 1,25 milioni.

Contro i 25.000 morti per attacchi terroristici.

Eppure, non ci sono governi che perdono le elezioni a causa del numero di morti sulle strade, mentre ci sono governi che le perdono a causa di attacchi terroristici.

Perché?

Perché l’attacco terroristico mina direttamente la legittimità dello stato.

Gli stati odierni si fondano sulla promessa di proteggere i cittadini dalla violenza politica.

Se ci pensate, nel medioevo, quando ogni signorotto o vescovo possedeva interi eserciti, non c’erano problemi di terrorismo, perché lo Stato non prometteva di proteggere i cittadini dalla violenza politica, che abbondava – così come nessuno stato ha perso legittimità quando la peste ha decimato da un quarto a metà popolazione europea: perché non ci si aspettava che uno Stato dovesse prevenire le epidemie.

Uno Stato basa la propria legittimità sul rispetto delle promesse che fa.

Ora, guardando al terrorismo con occhi obiettivi, si nota che agisce come farebbe un disperato: non dispone di eserciti organizzati, dunque attacca con l’unico scopo di creare panico. Terrore, appunto, come dice il suo nome.

Un esercito statale, invece, attacca obiettivi militarmente strategici: pensate a Pearl Harbour, quando i giapponesi hanno distrutto la forza navale statunitense.

E ora pensate a un camion che travolge un centinaio di passanti in Spagna: il governo spagnolo, sia prima che dopo l’attacco, continua a disporre della sua forza militare, nessuno dei suoi siti strategici è stato intaccato.

Dunque, perché i terroristi continuano a comportarsi in modo così irrazionale? Sapendo che il loro nemico non viene minimamente indebolito dall’attacco?

Perché in realtà ciò che viene indebolita è la legittimità dello Stato, che dimostra ai suoi cittadini di non esser stato capace di difenderli dalla violenza politica.

E cosa fa lo Stato? Reagisce in modo esagerato.

Di fronte a una minaccia minima, quella terroristica, lo Stato di solito va fuori di testa, adottando misure che sono sproporzionate in confronto alla vera minaccia.

E’ quello che vogliono i terroristi: si comportano come un giocatore di carte che ha una mano particolarmente sfortunata, e allora, non avendo niente da perdere, sperano che la controparte rimescoli le carte. Le probabilità che escano carte favorevoli sono basse, ma ci prova lo stesso, perché non sa cosa altro fare.

I terroristi agiscono con mentalità teatrale: uccidere una dozzina di persone in Belgio fa più scena che ucciderne centinaia in Nigeria. Vogliono che lo Stato reagisca, perché uno Stato NON può perdere la faccia davanti ai suoi cittadini.

Quale sarebbe la giusta reazione davanti a un attacco terroristico?

Uno Stato dovrebbe intraprendere mirate azioni di intelligence e tagliare i flussi finanziari che permettono ai terroristi di comprare armi. Il guaio – grosso guaio – è che queste azioni sono discrete, non fanno parlare i mass media.

Molto meglio mandare bombardieri a radere al suolo interi villaggi…

…Spendendo miliardi che potrebbero essere utilizzati per combattere la povertà, gli incidenti stradali, e intraprendere azioni contro il riscaldamento globale nel proprio paese.

Insomma, se i terroristi fanno scena, gli Stati si sentono in obbligo di reagire con altrettanta scena.

Lo Storytelling diventa sovrano.

Non vogliatemene: anche solo una persona innocente morta a causa di un attentato è un dramma familiare e sociale. Tuttavia, la reazione di un governo non può essere puramente emotiva.

E noi, gente, non possiamo farci prendere per il naso da chi manipola le nostre paure.

2 Comments

Filed under automiglioramento, book, Libri & C., Scrittori israeliani

Liberi dalle vecchie abitudini (Pema Chodron)

IMG_20200510_153004[1]

Come si trova la capacità di non fare un dramma dei propri problemi?

Lo strumento principale è la meditazione; tuttavia, anche durante il giorno, nel bel mezzo dei nostri impegni quotidiani, ci si può… fermare.

Tre respiri consapevoli.

Possiamo farli ogni volta che siamo travolti dalla rabbia o dalla paura, ma bisogna farlo subito, appena avvertiamo che l’onda si sta preparando ad investirci: bisogna farlo, insomma, prima che sia troppo tardi.

La rabbia, in particolare, mi interessa, perché negli ultimi anni mi sono accorta di essere vittima di accessi d’ira, soprattutto in ufficio, quando il lavoro è eccessivo e/o i clienti mi rispondono male, buttandola sul personale (come se lo facessi apposta a rifiutare i loro reclami).

Ma la rabbia la vedo ovunque.

Nei social, soprattutto.

Sono tutti arrabbiati. Tutti si lamentano, tutti postano commenti sarcastici: contro gli immigrati, i gay, i politici… contro la gente che non tiene il naso dietro la mascherina, contro la ragazza che si è fatta musulmana, contro chi va a messa, contro chi non ci va, contro chi non rispetta i topi dei gruppi…

Ecco, a tal riguardo, l’autrice ci dice questo:

Al di sotto dell’odio, al di sotto di qualsiasi azione o parola crudele, di qualsiasi disumanizzazione, c’è sempre la paura.

La rabbia nasce dalla paura.

Di perdere la propria identità, principalmente. La propria immagine di cittadino, di buon lavoratore, di italiano, di macho, di donna di casa ecc…

Il guaio è che diamo troppa importanza a questa identità. Rimaniamo in una prospettiva microscopica, senza allargare gli occhi oltre noi stessi e oltre il nostro tempo, dimentichiamo che c’è stato un prima, ci sarà un dopo, e c’è, sempre, un altrove, dove noi non ci siamo, eppure la vita continua.

Di solito cambiamo prospettiva in seguito ad eventi calamitosi, scioccanti, mortali.

Quando è morta mia madre, mi son trovata davanti allo schermo del PC, in ufficio, a chiedermi se quello che facevo aveva un senso. Domanda che non mi era mai fatta, visto che avevo fatto fatica a trovare quel posto e mi ero sempre impegnata in quel lavoro.

Poi, noi o qualcuno che ci è caro ha un incidente o una grave malattia, ed è come se ci togliessimo la benda dagli occhi. Vediamo la mancanza di significato di gran parte di quello che facciamo e il vuoto di quello a cui ci attacchiamo.

Prospettiva, dunque, è la parola d’ordine.

Non assolutizziamo quello che siamo e che facciamo: persone, lavoro, luoghi, possedimenti. Oltre a noi, al di là del confine della nostra pelle, c’è tutto un mondo.

Un altro.

Leave a comment

Filed under automiglioramento, book, Libri & C., Scrittori americani

Open (Andre Agassi) @LibriEinaudi

IMG_20200510_100740~2[1]

Ho deciso di dedicarmi a questa biografia, solo dopo aver letto molte recensioni positive: non mi interessa il tennis e quasi non mi ricordavo di Agassi, perché avrei dovuto perdere tempo con 496 pagine di sport?

Per fortuna, qui di tennis non si parla molto.

Inoltre, il testo in sé è stato scritto da Moehringer, un premio Pulitzer: e si sente.

Ben fatto! Senza fingere che il nome in copertina sia anche quello dell’autore, Agassi ha deciso di svelare nell’ultimo paragrafo il nome di chi si è occupato della stesura. E’ una sincerità che mi piace: odio le bio di personaggi che si spacciano per scrittori.

Le parti più sconvolgenti, sono quelle che parlano del padre di Agassi. Armeno-iraniano, è immigrato negli Stati Uniti con documenti falsi. Già in Iran era famoso come pugile (aveva partecipato anche alle olimpiadi). Arrivato negli Stati Uniti, decide che i figli devono diventare ricchi e famosi col tennis.

Li fa morire!

Allenamenti estenuanti, spara-palle costruito da lui, monotematicità dei discorsi, pillole, spinte, scuola-prigione, urli e umiliazioni: tutto per cercare di farli sfondare.

Ci riesce solo con Andre, anche se, per anni e anni, Andre odierà il tennis.

Incapace di accettare le sconfitte, Andre sarà spesso tentato di mollare tutto: una volta regalerà racchette da centinaia di dollari ai barboni, una volta darà fuoco a fogli e foglietti in una camera d’albergo…

Incredibile come le persone ricche e famose siano insicure di sé, incredibile quante paure le tormentino.

Andre Agassi sarà sempre incompreso dai giornalisti, che criticavano il suo look simil-punk, e lui sarà sempre incapace di passare incolume sopra certi articoli.

Un’altra fisima saranno i suoi capelli: li perdeva. Era arrivato al punto di indossare un parrucchino, con tutta l’ansia che poteva provocargli il rischio che cadesse durante un match.

E poi… la sua amicizia con Barbra Streisand, i suoi matrimoni con Brook Shields e Steffi Graf… i suoi amici, importantissimi…

Inquieto, insoddisfatto, lunatico: sono tanti gli aggettivi che gli si addicono. Si sente davvero felice solo quando aiuta qualcuno: la figlia di un amico ferita in un incidente, il cameriere di un ristorante che non ha soldi per l’università dei figli… E la sua fondazione per l’educazione in un quartiere degradato.

Lui, che ha mollato la scuola in terza media, raccoglie milioni di dollari per mandare avanti una scuola modello.

E su tutto, su ogni vicenda, personale o pubblica, incombe il tennis, l’odiato tennis.

Quanta gente conoscete che fa un lavoro che odia eppure lo fa bene?

Il fatto è che una volta intrapresa una strada, bella o brutta, cambiare è difficilissimo.

Una volta che il tuo curriculum mostra un certo ruolo professionale, continuano a cercarti per quel ruolo professionale. Non ti schiodi più.

Scusate, sto divagando…

 

Leave a comment

Filed under authobiographies, autobiografie, automiglioramento, book, Libri, Libri & C., Scrittori americani

Il desiderio di essere come tutti (Francesco Piccolo)

IMG_20200425_163411[1]

Oggi è il 25 aprile, e, come ogni anno, (quasi) tutti si sentono in dovere di postare una bandiera italiana, una foto di ambientazione partigiana o le parole di una canzone patriottica. E’ il desiderio di essere come tutti. E, come tutti, da domani torneremo ad essere i soliti criticoni, qualunquisti, aspiranti emigranti (eccomi qua).

Perché in Italia la partecipazione politica dei cittadini (salvo eccezioni) si riduce a questa lamentela sullo stato del Paese e a un arroccamento elitario sulle proprie posizioni. Azioni concrete per favorire il cambiamento? Eh, beh, ecco, io…

Francesco Piccolo si è comportato in modo diverso, nel corso della sua vita?

In questa biografia, ce ne parla. Ci racconta del suo primo risveglio alla “cosa pubblica”, a nove anni, e poi, del compromesso storico, del rapimento Moro, del suo attaccamento a Berlinguer e del suo odio per Berlusconi.

Ma ci parla anche come è cambiato negli anni il suo atteggiamento politico: partito da un ideale di purezza, è approdato a una visione più pratica (il passaggio da una politica dei principi a una politica della responsabilità, direbbe Weber).

Chi fa politica secondo l’etica dei princìpi, segue le sue idee e tiene conto soltanto di quelle – in pratica si sottrae a un vero e proprio atto politico; chi fa politica secondo l’etica della responsabilità, si pone ogni volta il problema di ciò che accadrà in seguito a una sua decisione – in pratica mette in atto un’azione politica.

E’ quello che auspica, tra le righe, per la sinistra italiana: Berlusconi è salito al potere perché allora, Bertinotti, decise di seguire la via etica, rifiutando di appoggiare il governo con Prodi. E’ stata una scelta dettata dalla convinzione di stare dalla parte dei giusti, ma che effetto ha avuto? Il governo Prodi è caduto ed è arrivato Berlusconi.

E quando Berlusconi era al governo, la sinistra ha cominciato a denigrarlo dal punto di vista morale, invece di attaccarlo nella sua veste istituzionale, perché la sinistra sapeva di essere moralmente superiore. Peccato che questo l’abbia isolata e l’abbia privata di efficacia.

Si è ridotto tutto a un esercizio retorico dell’opposizione, dell’estraneità: con ogni probabilità, questo fenomeno ha avuto luogo per combattere la paura della diversità, la paura verso il potere di quest’uomo, con una denigrazione sul piano personale che ne abbassasse il pericolo. Ma l’operazione di dissacrazione del mito ha soprattutto distratto dalla lotta politica, dal centro delle questioni. Dalla costruzione di un’alternativa più efficace che potesse piacere al Paese.

Ma la biografia non parla solo di purezza e impurità, di impegno e superficialità. Parla anche del rapporto tra pubblico e privato, di come le due sfere debbano in qualche modo parlarsi per far sì che i cittadini siano buoni cittadini.

Ho finito di leggere questo libro proprio oggi, 25 aprile, quando tutti si sentono in dovere di scrivere da qualche parte parole come “libertà”, “fascismo”, “Italia”.

E’ il libro di uno che, a partire dai 9 anni, si è sempre interessato di politica: ne ha letto, scritto, discusso. Di uno che ammette i propri errori e gli errori del proprio partito, e che è arrivato alla conclusione che questi errori possano esistere, e non li esclude a priori solo per il fatto di appartenere ad un certo schieramento.

L’abitudine è quella di sentirsi estranei agli errori, estranei alle brutture del Paese. L’estraneità rende impermeabile la conoscenza, e senza conoscere le ragioni degli altri, non si può combatterle.

E invece, nel grande come nel piccolo, vedo sempre questa convinzione di essere nel giusto (quando va bene… quando va male, vedo totale disinteresse per la politica).

Non sono ottimista per il futuro dell’Italia.

Mi dispiace, Piccolo, ma se potessi emigrare, oggi, con famiglia e burattini, lo farei.

 

 

Leave a comment

Filed under authobiographies, autobiografie, automiglioramento, book, Libri, Libri & C., Scrittori italiani

Gli aspetti positivi del COVID-19

IMG_20200406_092113[1]L’isolamento ci costringe a riflettere, e la monotematicità dei social ci impedisce di dedicarci a un argomento che non sia il corona virus.

Non guardo al passato per non unirmi alle folte schiere dei giudici, e non guardo al futuro per non spacciarmi per una visionaria che crea o false speranze o scombussolanti paure.

Mi resta solo il presente.

In realtà, il presente è l’unico tempo che resta a tutti, eppure sembra che la gente lo rifugga, troppo occupata a cercare colpe politiche o a divinare scenari possibili.

Credo che la fuga dal presente sia dovuta in gran parte al pessimismo celebrale dell’essere umano: siamo fatti per risolvere problemi, è ciò che ci ha offerto il vantaggio evolutivo sulle altre specie. Solo che a volte ci concentriamo solo sui guai!

Siamo sicuri che il nostro presente sia fatto solo di problemi? Di decessi, di mascherine che non vengono consegnate, di insufficienti reagenti per tamponi, di quarantene violate (dagli altri, sempre dagli altri), di supermercati con la fila all’entrata, di piattaforme scolastiche lente?

Ebbene, la banalità del mezzo bicchiere pieno, signori e signore, è qui, tra noi.

Ho avuto il corona virus e sono guarita.

Certo, sono ancora segregata in casa dopo due settimane dall’ultima febbre, perché dall’Asl non mi hanno ancora prenotato i tamponi di “chiusura malattia”, e dunque dipendo dalla gentilezza dei vicini anche per un chilo di zucchero; e… certo, sono preoccupata per la situazione in cui ritroverò l’economia e le aziende quando torneremo a lavorare; ma, nel mare delle lamentele e delle critiche, vedo che ci sono tanti mezzi bicchieri pieni, basta cercarli.

  1. Intanto, sono guarita. Non era scontato a 45 anni. E’ guarito anche mio marito, e non era scontato neanche a 51 anni. Mio figlio non si è mai ammalato.
  2. E poi… mio marito ha smesso di fumare. Non è detto che continui, ma intanto ha superato la dipendenza fisica dalla nicotina. E’ stato costretto un po’ dalla malattia, che ha scentrato le sue ansie, un po’ dalla quarantena.
  3. Ho la casa pulita e disinfettata. Avete presente i bordi delle antine o i contenitori sotto il lavello, le gambe delle sedie e le fessure tra i tasti del PC? Tutto pulito. Con alcool a 90°. Quando non lavori e non esci, anche una come me si mette alla ricerca degli angoli da pulire.
  4. Siamo a casa tutti e tre, 24h. Ci succede di rado, forse solo durante le vacanze, ma in quelle occasioni c’è sempre qualcosa da fare, posti da visitare, sole da prendere, spettacoli a cui andare… Non mi capita più di dimenticarmi di dire qualcosa a mio marito perché non ce l’ho sottomano, e mio figlio è più che contento di giocare a Uno o Labirint con entrambi i genitori.
  5. Ho telefonato ad amici e parenti che non sentivo da un pezzo con la scusa di chiedere come stanno; e non è stata una domanda retorica, come si chiede di solito.
  6. L’erba del giardino sta crescendo perché il signore che veniva a tagliarla non può muoversi. Il sentire comune giudica l’erba alta del giardino come un segno di sciatteria: è la ragione per cui ho ceduto alla necessità dell’omino-che-taglia-l’-erba. Ma la verità è che a me il giardino incolto piace, soprattutto durante la primavera, quando gli steli dell’erba sono di un verde brillante e non c’è il fieno dei precedenti tagli tra ciuffo e ciuffo.
  7. Abbiamo internet: cioè il mondo. Potevano dire lo stesso cento anni fa in quarantena per la spagnola?
  8. C’è il sole: luce e caldo. Vi immaginate una quarantena col grigio alle finestre e sette maglioni addosso?
  9. Ho tanto tempo per leggere: questo significa NON essere in quarantena.

Il messaggio che voglio far passare è questo: lasciamo le lamentele a chi ne ha davvero il diritto. A chi sta male, a chi deve lavorare in condizioni pericolose.

E invece, guarda caso, queste sono proprio le categorie di persone che si lamentano meno.

Sembra quasi che per lamentarsi si debba star bene.

3 Comments

Filed under automiglioramento, Libri & C., purposes

Gli avvocati in Cina

IMG_20200216_111449[1]

Nel 2007 in Cina, il parlamento ha emendato una vecchia legge sul sistema giudiziario, garantendo agli avvocati diritti che in altri paesi erano dati per scontati già da tempo.

Secondo questo emendamento, gli avvocati della difesa ora possono incontrare i loro clienti dopo l’interrogatorio della polizia senza chiedere permesso e le conversazioni con i clienti non devono più essere sorvegliate.

Fino a giugno del 2008, infatti, prima che l’emendamento entrasse in vigore, gli avvocati dovevano richiedere il permesso alla polizia per incontrare i clienti: permesso che non sempre veniva concesso.

Tenete conto che in Cina non esiste la presunzione di innocenza, dunque un avvocato ha le sue difficoltà, per usare un eufemismo…

Senza contare, poi, l’ostacolo del SEGRETO DI STATO.

La definizione cinese di Segreto di Stato è così elastica che può comprendere qualsiasi argomento: il numero dei drogati, dei malati di Aids, i dati sulla pena di morte, sulla disoccupazione, la frequenza delle manifestazioni, l’intenzione di un politico di dimettersi…

Spesso, poi, il segreto di stato è sfruttato da funzionari di ogni ordine e grado per nascondere le proprie mancanze o i propri errori.

Sebbene oggi gli avvocati cinesi godano dell’immunità per le affermazioni esternate davanti a una corte, è ancora vietato, per loro, esprimere opinioni che “minaccino la sicurezza statale, diffamino qualcuno o disturbino in aula” (trad. mia).

Considerate che nel 2006, due anni prima dell’entrata in vigore dell’emendamento, l’Associazione Cinese dell’avvocatura aveva emesso una linea guida, secondo la quale gli avvocati dovevano fornire informazioni confidenziali alle autorità se ne erano venuti a conoscenza durante i colloqui coi loro clienti.

Cosa quanto mai… “disturbante”, considerando che spesso le cause erano intraprese proprio contro le stesse autorità…

Non solo: per le class actions (cause in cui erano coinvolti più querelanti) l’Associazione invitava gli avvocati a richiedere “supervisione e guida” presso gli uffici amministrativi giudiziali.

Gli uffici giudiziali sono parte dei governi locali perciò consultarli significava in effetti consultare gli stessi governi locali che i contadini accusavano di confisca delle terre con compensazioni basse o inesistenti (trad. mia).

Il libro “Cina – la verità sui suoi record sui diritti umani” di Frank Ching non l’ho trovato in italiano. E’ uscito in inglese nel 2008, dodici anni fa.

E’ possibile che in questo periodo sia cambiato ancora qualcosa, ma di sicuro rende l’idea del clima.

Non ci meravigliamo dunque dell’ostruzionismo a cui è stato sottoposto il medico cinese che aveva scoperto il Corona virus.

Prima però di giudicare il governo cinese e di fare di tutta l’erba un fascio, pensiamo a cosa sarebbe successo se la stessa cosa fosse successa in Italia: saremmo stati capaci di intraprendere le misure drastiche che ha intrapreso il governo cinese? Gli italiani si sarebbero adattati così ubbidientemente alle direttive sanitarie? O più semplicemente: avremmo anche solo preso in considerazione l’idea di far chiudere le aziende per qualche giorno?

Io ne dubito.

Se dunque la Cina si rende ancora colpevole di certe pratiche poco umanitarie, smettiamola di sentirci tanto superiori, che anche noi abbiamo i nostri problemini.

2 Comments

Filed under automiglioramento, book, Libri & C., Saggi, Scrittori cinesi

La conoscenza e i suoi nemici – Tom Nichols

IMG_20200209_112118[1]L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia

Tom Nichols è professore allo U.S. Naval War college e alla Harvard Extension School e ha spesso ricoperto ruoli di consigliere presso personaggi politici statunitensi.

In questo libro se la prende con i cittadini statunitensi (ma ricordatevi che noi italiani prendiamo gli stessi vizi degli americani, solo con qualche anno di ritardo): Perché? Perché sono ignoranti.

Non è una novità, direte.

Beh, una novità c’è, e consiste nel fatto che si beano della loro ignoranza più che in passato, disprezzano gli esperti come non mai e sono sempre più aggressivi nell’esprimere le loro opinioni, considerate alla stregua di verità assolute.

Questa situazione è una deriva dell’errato concetto di uguaglianza: se siamo tutti uguali, dicono, allora la mia opinione vale quanto quella di un esperto, no?

In realtà, l’uguaglianza andrebbe legata al valore del voto: il mio voto vale quanto quello di un esperto. Ma quando si parla di competenza, le cose stanno molto diversamente.

La proliferazione di teorie del complotto, di stereotipi e di bias da conferma è legata a molti fattori.

Tra questi, il crollo qualitativo dell’istruzione americana: tutti vogliono andare al college. E tutti i college, vogliono attirare il più gran numero possibile di studenti, perché ogni studente paga fior fiore di soldi per frequentare. Ne deriva che gli studenti si trasformano in clienti.

E cosa fa un cliente? Ha sempre ragione. Bisogna accontentarlo: dargli ciò che vuole, non ciò di cui ha bisogno. Ecco, allora, college e istituti universitari che diversificano l’offerta di attività extra-curriculari e spendono milioni di dollari nell’arredamento (di design!) dei dormitori: tutti aspetti esteriori che fungono da allettanti specchietti delle allodole, peccato che poi l’offerta contenutistica vera e propria venga messa in un angolino.

Ed ecco, ancora, sistemi pubblici di valutazione degli insegnanti: gli insegnati ricevono commenti e votazioni da parte dei ragazzi. E’ esattamente il contrario di quello che si faceva qualche anno fa, quando erano i professori a valutare gli studenti… Ma i prof devono adeguarsi, perché se, ad esempio, assegnano troppi libri da leggere, allora la loro valutazione scende, l’appetibilità del loro corso cade in picchiata, diminuisce il numero dei frequentanti e il prof rischia il posto.

L’incompetenza e l’aggressività contro gli esperti è fomentata anche dalla rete (che per altri versi avrebbe anche i suoi vantaggi).

Uno dei rischi di internet è che rischia di renderci più rigidi nelle nostre opinioni, nonostante la maggior possibilità di informazione.

Un esempio?

Chi seguiamo se siamo di destra (o sinistra)?

Un giornale di destra, un comico/cantante/attore di destra, tanti amici di destra (o sinistra)… appena ci accorgiamo che qualcuno esprime un’opinione diversa dalla nostra, lo blocchiamo (magari, dopo averci litigato un po’ online). Di sicuro non continuiamo a seguirlo.

In generale, online la nostra tolleranza ad ascoltare opinioni diverse dalla nostra è quasi inesistente.

Ne consegue che la nostra dieta informativa è totalmente squilibrata.

Mi direte: anche gli esperti a volte sbagliano. Certo. Ed è un bene che lo si scopra. Ma il fatto che lo si scopra è già una prova che il sistema scientifico funziona ancora.

Bisogna dire inoltre che, nella stragrande maggioranza dei casi, gli esperti ci azzeccano. Eppure questo fa molto, ma molto meno notizia di un esperto che sbaglia. Fatalità, oggi, se sbaglia un esperto, la tendenza è di credere che tutti gli esperti sbaglino. Tutti. Questa sfiducia di base verso la competenza può essere pericolosa.

Nichols analizza l’ascesa al potere di Trump come il risultato di una generica ignoranza collettiva, ma questo è solo uno dei tantissimi esempi in cui la diffidenza verso la competenza è pericolosa.

La soluzione?

Sviluppare il pensiero critico.

Ma qui, ci vorrebbero altri libri sul… come!

 

1 Comment

Filed under automiglioramento, book, Libri & C., Saggi, Scrittori americani

Criminologia – Tim Newburn

img_20200201_1158286171034300777085675.jpg

La criminologia ha poco a che fare con CSI: si occupa più di definire, misurare e proporre misure per la prevenzione del crimine.Senza entrare troppo nel dettaglio del libro, credo che le misure preventive siano la parte più interessante di questo breve saggio.Partiamo dal presupposto che, perché ci sia un crimine, serve una persona motivata a compierlo, un obiettivo desiderabile e la mancanza di un guardiano capace.La prevenzione può essere di due tipi:SOCIALEAgisce su cause di vasta portata, come povertà, istruzione, socializzazione, mancanza di alloggi, scarsità di lavoro ecc…Un esempio ne è stato l’esperimento High/Scope Perry Pre-School, che si è dedicato ai bambini di una zona molto degradata del Michigan: il rischio di essere coinvolti in attività criminali, che per questi bambini era statisticamente alto, si è ridotto notevolmente:

L’investimento nell’istruzione prescolare di questi bambini ha portato a un risparmio 7 volte superiore al costo iniziale.

SITUAZIONALEQui si ignorano le cause sociali e ci si concentra sul fatto che il crimine è un fenomeno in gran parte opportunistico: riducendo le opportunità di guadagno o aumentando le possibilità di venir scoperti, si ridurrebbe il crimine. In pratica si interferisce sul calcolo costi-benefici che ogni potenziale criminale fa prima di compiere l’atto.Ed è qui che i suggerimenti abbondano. Ne riporto solo alcuni.ACCRESCERE LE DIFFICOLTA’ DEL CRIMINE: es. sistemi di blocco per i cellulari rubati, controllo della vendita di vernici spray ai giovani, toilette femminili separate, accessi con badge elettronici…RIDURRE I BENEFICI DEL CRIMINE: es. monitorare i banchi dei pegni e gli annunci commerciali, obbligo di licenza per i venditori ambulantiRIDURRE LE PROVOCAZIONI: es. gestione efficiente delle code e servizio cortese; aumento dei posti a sedere; ridurre l’affollamento in bar e locali; tariffe fisse per i taxi; vietare le offese a sfondo razziale; ridurre i conformismi da ansia sociale (“Dire no è ok”, “Solo gli idioti guidano ubriachi”); censurare i dettagli del modus operandi dei criminali.RIDURRE I PRETESTI: es. facilitare il rispetto delle norme (prestito bibliotecario facilitato, bagni pubblici, contenitori per la spazzatura), controllare l’abuso di alcool e droghe (es. eventi alcol-free).Ogni approccio prevenivo ha i suoi pregi e i suoi difetti.Ad esempio: l’approccio situazionale non può comportare lo spostamento del crimine in altri luoghi o spazi?Ma il discorso si fa lungo.La scelta migliore sarebbe quella di applicare entrambe le strategie.Un’ultima cosa, importante: la criminologia sta cominciando solo ora a dare più rilevanza ai crimini contro il patrimonio: si fa ancora troppo poco per i crimini dei colletti bianchi.

Quante borse di studio sono tate erogate a studenti di criminologia per analizzare la crisi finanziaria globale, innescata dai guai dei mutui subprime statunitensi alla fine del 2007 e scoppiata con il crack della Lehman Brothers, nel settembre 2008? Poche, troppo poche.

I crimini più gravi non sono compiuti da singoli, ma da stati nazionali o da grandi compagnie. E questi crimini la maggior parte delle volte restano impuniti.

Leave a comment

Filed under automiglioramento, book, Libri & C., Saggi, scrittori inglesi