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Rispettare le regole ai tempi del corona virus

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Ieri ho visto un video su youtube in cui una famigliola discuteva con la polizia in merito al loro diritto di prendere l’autostrada per andare a fare la spesa e una passeggiata a Peschiera del garda.

Il padre di famiglia parlava tanto dei suoi diritti, della Dichiarazione di Ginevra, dell’illegalità del decreto Conte… parlava soprattutto dei suoi diritti inalienabili: diritto di riprendere il poliziotto, diritto di andare dove volevano, diritti di qua, diritti di là.

Per pur caso, ho appena finito questo libro del filosofo spagnolo Fernando Savater: è un libro facile da leggere, dedicato da Savater al proprio figlio quindicenne, e parla molto di LIBERTA’.

Gli esseri umani posso scegliere tra bene e male. Questa è libertà: non siamo costretti a immolarci per il bene pubblico come fanno certi tipi di termiti quando il termitaio è minacciato.

Certo, a volta la libertà individuale è limitata: gli ostacoli possono essere ordini, abitudini, capricci.

Non sono tre ostacoli da porre sullo stesso piano: gli ordini (o le leggi) ci sono imposti dall’esterno; le abitudini sono spesso dettate dalle convenzioni o dalla comodità; i capricci vengono dal nostro impulso del momento.

Qualcuno ritiene che seguire i propri capricci sia un segno di libertà.

Ne siamo sicuri? Cosa è bene per l’essere umano?

Un esempio.

Esaù e Giacobbe erano fratelli gemelli ma Esaù era uscito per primo dall’utero, perciò aveva diritto alla primogenitura (= tutte le ricchezze del padre). Ebbene, Esaù un giorno torna a casa stanco morto, vede che Giacobbe ha preparato un piatto di gustose lenticchie e, pur di mangiarle, gli regala la primogenitura.

Esaù ha rinunciato a ricchezze e onori per un piatto di lenticchie. Ha scelto per il proprio bene?

Cos’è il bene?

Il bene è ciò che rispetta la dignità umana, propria e altrui.

Il bene non viene necessariamente da una legge statale. Anche i nazisti seguivano le leggi statali. La questione del bene dobbiamo porcela intimamente.

Il decreto Conte, con le limitazioni alle libertà individuali, può avere i suoi limiti… può anche essere illegale perché non recepito in tempo dalle camere… ognuno di noi deve chiedersi se rispettarlo o no. Non bisogna rispettarlo solo perché è un ordine!

Ma chiediamoci: la limitazione alla nostra libertà può aiutare a ridurre la diffusione del virus? E’ questa la domanda da farci.

Saremo liberi di agire secondo il nostro convincimento intimo solo se ci facciamo delle domande. E se abbiamo/cerchiamo le informazioni necessarie per darci le risposte.

Chi – in nome della propria libertà – dichiara pubblicamente di non rispettare questi decreti sul Corona Virus, è davvero libero?

A me sembra di no.

  1. Mi sembra che agiscano più per spirito di contraddizione che per intima convinzione: è una reazione. Se il decreto ci avesse imposto di uscire in passeggiata due volte al giorno, questi tipi si sarebbero tappati in casa. Questa non è libertà.
  2. Sei libero solo se conosci tutte le conseguenze delle tue scelte. Ma chi va a trovare i parenti a Pasqua può dire con certezza che non contagerà nessuno?

Non scendo nel dettaglio del libro di Savater, scritto in tempi non sospetti, ma testi del genere sono sempre utili per farci ragionare, in ogni epoca e luogo.

 

 

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Gli aspetti positivi del COVID-19

IMG_20200406_092113[1]L’isolamento ci costringe a riflettere, e la monotematicità dei social ci impedisce di dedicarci a un argomento che non sia il corona virus.

Non guardo al passato per non unirmi alle folte schiere dei giudici, e non guardo al futuro per non spacciarmi per una visionaria che crea o false speranze o scombussolanti paure.

Mi resta solo il presente.

In realtà, il presente è l’unico tempo che resta a tutti, eppure sembra che la gente lo rifugga, troppo occupata a cercare colpe politiche o a divinare scenari possibili.

Credo che la fuga dal presente sia dovuta in gran parte al pessimismo celebrale dell’essere umano: siamo fatti per risolvere problemi, è ciò che ci ha offerto il vantaggio evolutivo sulle altre specie. Solo che a volte ci concentriamo solo sui guai!

Siamo sicuri che il nostro presente sia fatto solo di problemi? Di decessi, di mascherine che non vengono consegnate, di insufficienti reagenti per tamponi, di quarantene violate (dagli altri, sempre dagli altri), di supermercati con la fila all’entrata, di piattaforme scolastiche lente?

Ebbene, la banalità del mezzo bicchiere pieno, signori e signore, è qui, tra noi.

Ho avuto il corona virus e sono guarita.

Certo, sono ancora segregata in casa dopo due settimane dall’ultima febbre, perché dall’Asl non mi hanno ancora prenotato i tamponi di “chiusura malattia”, e dunque dipendo dalla gentilezza dei vicini anche per un chilo di zucchero; e… certo, sono preoccupata per la situazione in cui ritroverò l’economia e le aziende quando torneremo a lavorare; ma, nel mare delle lamentele e delle critiche, vedo che ci sono tanti mezzi bicchieri pieni, basta cercarli.

  1. Intanto, sono guarita. Non era scontato a 45 anni. E’ guarito anche mio marito, e non era scontato neanche a 51 anni. Mio figlio non si è mai ammalato.
  2. E poi… mio marito ha smesso di fumare. Non è detto che continui, ma intanto ha superato la dipendenza fisica dalla nicotina. E’ stato costretto un po’ dalla malattia, che ha scentrato le sue ansie, un po’ dalla quarantena.
  3. Ho la casa pulita e disinfettata. Avete presente i bordi delle antine o i contenitori sotto il lavello, le gambe delle sedie e le fessure tra i tasti del PC? Tutto pulito. Con alcool a 90°. Quando non lavori e non esci, anche una come me si mette alla ricerca degli angoli da pulire.
  4. Siamo a casa tutti e tre, 24h. Ci succede di rado, forse solo durante le vacanze, ma in quelle occasioni c’è sempre qualcosa da fare, posti da visitare, sole da prendere, spettacoli a cui andare… Non mi capita più di dimenticarmi di dire qualcosa a mio marito perché non ce l’ho sottomano, e mio figlio è più che contento di giocare a Uno o Labirint con entrambi i genitori.
  5. Ho telefonato ad amici e parenti che non sentivo da un pezzo con la scusa di chiedere come stanno; e non è stata una domanda retorica, come si chiede di solito.
  6. L’erba del giardino sta crescendo perché il signore che veniva a tagliarla non può muoversi. Il sentire comune giudica l’erba alta del giardino come un segno di sciatteria: è la ragione per cui ho ceduto alla necessità dell’omino-che-taglia-l’-erba. Ma la verità è che a me il giardino incolto piace, soprattutto durante la primavera, quando gli steli dell’erba sono di un verde brillante e non c’è il fieno dei precedenti tagli tra ciuffo e ciuffo.
  7. Abbiamo internet: cioè il mondo. Potevano dire lo stesso cento anni fa in quarantena per la spagnola?
  8. C’è il sole: luce e caldo. Vi immaginate una quarantena col grigio alle finestre e sette maglioni addosso?
  9. Ho tanto tempo per leggere: questo significa NON essere in quarantena.

Il messaggio che voglio far passare è questo: lasciamo le lamentele a chi ne ha davvero il diritto. A chi sta male, a chi deve lavorare in condizioni pericolose.

E invece, guarda caso, queste sono proprio le categorie di persone che si lamentano meno.

Sembra quasi che per lamentarsi si debba star bene.

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Donne che mangiano troppo, Renate Gockel @FeltrinelliEd

Parliamo di bulimia. L’autrice è una psicologa e affronta l’argomento tramite la storia di una sua paziente, Anna, che è significativa perché presenta quasi tutti i sintomi di questa malattia.

Intanto, Anna non è visibilmente grassa: questo perché, dopo essersi lasciata andare e aver mangiato dolci e dolcetti, di solito va a vomitare. Anna ricorre al cibo ogni volta che si sente tesa, attaccata, in ansia.

A far scattare l’attacco di fame può essere semplicemente un invito, un commento apparentemente banale di un collega, o un eccesso di lavoro a cui non riesce a dire di no.

Anna ci tiene tantissimo a dare un’immagine perfetta di sé: brava moglie, brava insegnante, brava figlia… cerca continuamente di corrispondere alle aspettative altrui (o a quelle che lei crede siano le aspettative altrui).

Anna ha sempre obiettivi da raggiungere, e il suo motto è “prima il dovere e poi il piacere”. Per lei è inconcepibile venir amata senza dare qualcosa in cambio, solo per quello che è.

Anna ragiona in termini di aut-aut: o tutto o niente, non c’è mai una terza via, ci sono solo due estremi che si escludono a vicenda.

La psicologa affronta la sua malattia attraverso il training autogeno e gli esercizi di visualizzazione.

Alla fine del libro, Anna guarisce?

No.

Da malattie del genere non si guarisce mai del tutto: quello che è importante è prendere coscienza delle ragioni che stanno sotto agli attacchi di fame (di solito legate a un rapporto sbilanciato con la propria madre).

La cosa interessante è che quando Anna incomincia ad accorgersi di come è remissiva e sottomessa, incomincia a cambiare atteggiamento, e le persone che la circondano, che fino a quel momento non si sono lamentate, all’improvviso iniziano a storcere il naso.

E’ bello leggere un libro su una disfunzione psicologica e accorgersi di non rientrare nello schema… 🙂

L’approccio del saggio, però, è un po’ psicanalitico: è il passato a determinare il presente. Leggere un’opera del genere ti fa pensare che sotto a qualunque gesto o sentimento ci sia sempre una ragione recondita nel nostro inconscio. Nessuna vera spontaneità.

E’ davvero così?

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Perché i reality acchiappano tanto…

In una società consumistica, dove le merci per essere prese in considerazione devono essere pubblicizzate, si propaga un costume che contagia anche il comportamento dei giovani, i quali hanno la sensazione di esistere solo se si mettono in mostra.

Ma…

… la pubblicizzazione del privato è l’arma più efficace impiegata nelle società conformiste per togliere agli individui il loro tratto discreto, singolare, intimo.

 

(U. Galimberti, “L’ospite inquietante”)

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Prostituzione, alcolismo, droga e altre dipendenze

Il tentatore non “mette alla prova”, ma “commette un reato”, e il tentato che cede non è un “colpevole”, ma gode dell’innocenza della “vittima”.

La prostituta in quanto tentatrice è perseguitata dalla legge, mentre il cliente, in quanto cede a una forza a cui non può resistere, è innocente.

Ma perché questa sociologia che fa tesoro delle scoperte scientifiche mantiene la categoria mitico-religiosa della tentazione per lo spacciatore e per la prostituta, e adotta invece la categoria psico-biologica della forza irresistibile per il drogato e il cliente della prostituta?

Per sottrarre al drogato e al cliente anche la sola ipotesi di avere a disposizione la libertà dell’autocontrollo, perché solo persuadendo gli uomini che non si possono autocontrollare si può esercitare su di loro il controllo esterno a cui il potere per sua natura e per sua essenza tende.

(U. Galimberti (“L’ospite inquietante”)

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The obesity code – Jason Fung

La tesi del dott. Fung, nefrologo specializzato nel trattamento di diabetici, è che l’obesità sia una disfunzione ormonale e che non abbia niente a che fare con le calorie.

Non è vero che mangiare a dismisura porti sempre all’obesità, e non è vero che la riduzione calorica nel lungo periodo mantenga il peso basso, come possono confermare tutti quelli che si sono messi a dieta, hanno perso subito peso e, dopo un paio di anni, lo hanno riacquistato con gli interessi, indipendentemente dalla dieta seguita.

E allora da cosa dipende? Di sicuro non aiuta che tutte o quasi le ricerche sulle diete effettuate sull’uomo sono di breve periodo: l’obesità è una disfunzione di lungo periodo, e come tale va trattata.

Secondo Fung, l’obesità dipende da un alto livello di insulina nel sangue. L’insulina è un ormone che possiamo definire dello “stoccaggio”: serve a far entrare il glucosio nelle cellule per produrre energia tramite i mitocondri, ma, se c’è troppo zucchero nel sangue, è necessario immagazzinarlo. Nel fegato, nei muscoli, trasformandolo in grasso.

Nelle persone obese, il livello di insulina non si abbassa mai e il peso, diciamo così, si assesta verso l’alto. Ergo, se perdi temporaneamente peso con una dieta, prima o poi, se non cambi i livelli di glucosio/insulina, ritorni al peso iniziale.

La soluzione, dice Fung, è ridurre l’insulina.

Un metodo è quello di mangiare meno carboidrati.

I carboidrati sono il diavolo, dunque?

Ecco, qui, leggendo il libro, mi sono accorta di come certe teorie scientifiche vengano volgarizzate e semplificate una volta immesse nel… mercato.

L’ondata dei fans della dieta chetogenica mettono al bando tutti i carboidrati: addirittura, tacciano di malignità anche i legumi, che, notoriamente, sono il cibo principe in tutte le blue zones (le zone al mondo col maggior numero di centenari e con la più bassa incidenza di malattie “occidentali”).

Il dottor Fung è molto più selettivo: quello che dobbiamo evitare, dice, sono i carboidrati RAFFINATI. Più si mangia naturale, e più si rispetta il nostro metabolismo. La margarina, ad esempio, non è un cibo “vero”, come non lo sono i panini di farina bianca. Lo sono invece l’aceto e le arachidi, che abbassano la glicemia.

Non solo: i fans della dieta chetogenica ingurgitano frullati e sbeveroni di proteine dalla mattina alla sera. Il dottor Fung non approva: se si guardano alle ricerche (quelle serie) si nota che un alto livello di proteine animali (soprattutto da latte e latticini) provocano comunque un aumento dell’insulina, cosa che non succede con le proteine animali. Non semplifichiamo troppo, dunque.

Ecco un elenco di consigli per ridurre la glicemia:

  • non assumere zuccheri aggiunti (zucchero nel caffè, agave, dolci ecc…)
  • leggere le etichette e stare attenti agli zuccheri aggiunti
  • come dessert, si può mangiare frutta di stagione, noci, formaggio o cioccolato min. 70%
  • non fare spuntini!! Assestano la glicemia al livello più alto fino al pasto successivo
  • tenere la colazione come opzione, farla solo se si ha fame. Se non si ha fame, non mangiare. Se si ha fame, l’avena, un yogurt greco o delle uova vanno bene
  • eliminare al 100% le bibite zuccherate, anche quelle ipocaloriche
  • tenere le proteine al massimo al 20-30% del totale delle calorie assunte
  • aumentare l’assunzione dei grassi naturali, es. olio EVO, burro, frutta secca, formaggi gassi, avocado
  • assumere fibre, molte, nella loro forma naturale. La verdure a pasto non devono mai mancare.

Ma il metodo più efficace per ridurre l’insulina è IL DIGIUNO.

Di digiuno intermittente ormai parlano tutti, qui aggiungo solo che è necessario per abbassare le scorte di zuccheri immagazzinate nel corpo: la dieta chetogenica (a basso contenuto di carboidrati) serve ad abbassare il livello di glucosio nel sangue, ma gli zuccheri immagazzinati non riescono mai a venire utilizzati se si continua comunque a mangiare…

E’ necessario ritrasformare i grassi di deposito in carburante, e questo si può fare solo se… non si mangia.

Non mi dilungo oltre ma la parte finale del libro, quella relativa al digiuno, è quella – per me – più interessante.

Mi lascia un po’ perplessa il fatto che Fung richiami spesso ricerche scientifiche a lunga durata che utilizzano anche molto medici/divulgatori vegani per sostenere le loro tesi (che ribadiscono la necessità di nutrirsi di carboidrati, vegetali, ma comunque carboidrati, patate in primis). Credo che le stesse ricerche possano essere interpretate in modi diversi.

Un’unica cosa resta chiara e comune a tutte le correnti salutistiche: il cibo industriale ci sta indebolendo e uccidendo.

PS: un commento fuori tema. Perché ricorriamo così spesso al cibo industriale? Certo, i gusti sono studiati per farci mangiare di più, e tutte le pubblicità ci spingono a mangiare di più, ma io ho un’ulteriore teoria. Ricorriamo così spesso al cibo industriale perché le donne sono costrette a lavorare… l’epidemia di obesità è iniziata quando le donne hanno iniziato ad andare a lavorare fuori casa in massa. Correlazione e non causa-effetto? Chissà… la mia teoria non è mai stata oggetto di nessuno studio.

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Leggere in altre lingue?

Mai e poi mai avrei pensato di arrivare al punto di leggere la Sirenetta, soprattutto la versione edulcorata, tratta dal cartone animato della Disney: bellissime principesse vittime del cattivo o della cattiva di turno, nessuna sfumatura psicologica, e… unico scopo nella vita di una donna: cercarsi un uomo!

Ma come primo livello di cinese, si può fare. Certo, ci metterò un anno a finire di leggere 86 pagine (disegni inclusi), ma già noto una differenza: mentre all’inizio dovevo tradurre ogni singolo carattere (e vai di Pleco app), ora, a pagina 55, qualche cosa già me la ricordo senza controllare tutti i tratti.

Insomma, se per leggere 5 righe (e capirne il significato) ci impiego “solo” mezz’ora, sono fiera di me stessa.

Ovviamente non ho iniziato con la lettura tout court. Il mio primo testo è stato “Dialogare in cinese 1” di Magda Abbiati e Zhang Ruoying (ed. Cafoscarina, con CD incluso), che ho comprato su Amazon a metà del prezzo; purtroppo due capitoli sono saltati: mi sono trovata i capitoli 47 e 48, che farebbero parte del secondo volume… errore di stampa o di fascicolazione? Boh, ho scritto all’editore ma non mi ha mai risposto.

Non importa: il libro di Abbiati-Zhang mi ha dato una spolveratina delle regole di base.

Senza internet, tuttavia, sarei molto più indietro, soprattutto a livello di ascolto: YouTube è una miniera di racconti brevi, e un gran passo in avanti l’ho fatto con LingQ, un sito in cui si può ascoltare e importare testi di propria scelta (il fondatore è Steve Kaufman, canadese, capelli bianchi e una ventina di lingue all’attivo): l’ascolto, in realtà, è quello che prende meno tempo, perché una volta che hai una playlist te la puoi sparare in macchina quando vai al lavoro o dal dottore.

Non leggo spesso libri in lingua straniera: almeno, non tanto spesso come quelli in italiano. Però cerco di tenermi in esercizio sulle lingue che uso al lavoro (inglese, tedesco, francese e spagnolo, nell’ordine di conoscenza): diciamo, un libro per lingua all’anno.

Lo spagnolo l’ho imparato da sola l’anno scorso: è una conoscenza molto passiva, lo scrivo e lo parlo malissimo. Ma riesco a leggermi un libro in lingua originale, e questo era il mio scopo iniziale (poi riesco a capire una mail commerciale? Echissenefrega?).

Il cinese è ancora allo stato brado… non so se riuscirò mai a parlarlo, o a capire qualcuno che mi parla in mandarino, ma lo scopo principale, anche qui, è leggerlo.

Mi ci vorranno anni, molti, prima di leggere “Piccole donne” in cinese: il libro è sullo scaffale che mi aspetta, me lo ha regalato mio marito di ritorno da un viaggio a Shanghai.

Forse “Piccole donne” sarà già troppo difficile, nonostante il testo inglese a fronte…

Bah.

Allora ho un altro paio di libri per bambini…

E poi potrò darmi da fare con gli aforismi di Confucio e le poesie (poesie??) di Mao Zedong…

Ma forse mi sarà più utile il testo di Zhang Jie, a cura di Serena Zuccheri (Hoepli, CD incluso), visto che ha un glossario cinese-italiano alla fine…

Anni, anni, anni.

Ok, prendiamocela con calma. Già è difficile trovare mezz’ora al giorno, tutti i giorni… ma sì, si può fare, basta non fare le pulizie e consumare molti surgelati.

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Ci vuole la censura!

“Non è facile avere accesso a certi libri: non si possono più comprare”, dice Azar Nafisi in “Leggere Lolita a Teheran”. E ciò nonostante, c’è gente, in Iran o in qualunque altro posto dove vige un regime simile, che rischia la vita pur di leggere.

Qui, invece, dove l’offerta di parole scritte è addirittura eccessiva, si legge poco.

E’ un controsenso che mi ha sempre colpito.

La lettura nasce, in fondo, dalla curiosità, e la curiosità dà fastidio ai regimi: perché apre le porte all’imprevedibilità e l’imprevedibilità è la nemica numero uno del potere.

Non devi chiedere di più: devi accontentarti di quello che ti danno.

La curiosità è insubordinazione allo stato puro“, dice Nabokov.

Il fatto è che quando tu vieti qualcosa, la curiosità… la crei!

E la curiosità è una forza potente. E’ quella che ci ha portato ad essere ciò che siamo.

Ecco perché nei regimi dispotici dove vige la censura ci sono lettori appassionati e nascosti.

E sapete una cosa? Questo controsenso è ben conosciuto da chi ci governa. E’ per questo che non ci impediranno mai di leggere libri contrari al potere politico vigente: perché sanno che la gente si darebbe da fare per leggere ciò che gli viene vietato.

E allora cosa fa il “regime”? Sfrutta la nostra libertà a suo vantaggio.

Mi spiego: il popolo è libero di leggere ciò che vuole, no? E allora, diamogli da leggere. Diamogli tanto, ma tanto da leggere. Libri, blog, giornali, riviste, cartelloni, volantini… E non limitiamoci alla lettura: diamogli immagini, diamogli suoni, diamogli… confusione! Il popolo sceglierà ciò che più gli piace. E stiamo tranquilli: in una cacofonia del genere, sceglierà lo stimolo più rilassante. Quello meno impegnativo.

Perché è scientifico: il cervello, davanti alla pletora di stimoli, va in pappa.

L’importante è non far capire al popolo che questa confusione è creata ad hoc.

L’importante è non vietare la lettura.


Conclusione

Se vogliamo aumentare il numero dei lettori in Italia, bisogna introdurre la censura a livello governativo. E dirlo! Dire: voi non potete leggere questo, né quest’altro. Quello scordatelo. No, non toccare! Via, sciò. Bruciamoli, i libri. Chiudiamo le librerie e le biblioteche. Andiamo casa per casa a requisire la carta stampata.

E non voglio più sentire nessuno dire “bisogna leggere”.

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L’ultima lezione – Randy Pausch (con Jeffrey Zaslow)

Nelle università statunitensi si usa offrire agli studenti una “ultima lezione”: il professore fa un sunto dei punti più importanti del suo insegnamento, come se poi non ci fossero altre lezioni, in vista di un’ipotetica morte annunciata.

Quando è toccato a Randy Pausch, le autorità accademiche volevano cambiare il titolo in qualcosa di meno macabro: Randy Pausch infatti, quarantasettenne professore di informatica, aveva una decina di metastasi al pancreas e non gli restavano molti mesi di vita. Ma Pausch non ha accettato.

Potete vedere interamente la sua ultima lezione online (#thelastlecture), intitolata “Realizzare davvero i sogni dell’infanzia”.

La sua ultima lezione non parla di informatica, ma di vita. E il libro che ne è nato, non è di quelli che ti fa piangere ad ogni pagina: è un insieme di aneddoti sulla sua vita e una raccolta degli insegnamenti che lui si sente di lasciare ai suoi tre figli.

Ne esce il ritratto di un uomo pieno di energia, amante dei parchi giochi, luna park e delle giostre estreme, che è riuscito a coniugare la professione con le sue passioni. Uno che aveva dei sogni da piccolo e che è riuscito a farli avverare.

Sono messaggi semplici, niente di trascendentale, eppure sono impregnati delle piccole verità che danno significato alla vita.

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115 idee per vivere meglio – Vera Birkenbihl (audiolibro)

Sono incappata in Vera Birkenbihl l’anno scorso, cercando dei suggerimenti per lo studio delle lingue. Nei paesi tedescofoni è molto conosciuta per aver suddiviso il processo in quattro fasi (decodificazione – ascolto attivo – ascolto passivo – attività), permettendo agli studenti di imparare con molta meno fatica e in modo naturale.

Solo ieri ho scoperto questo audiolibro che esula dall’insegnamento delle lingue in senso stretto.

Non sono riuscita a trovarlo in Italiano: nel nostro paese la Birkenbihl è poco conosciuta; ho visto solo un suo libro edito dalla Franco Angeli, che però verte sul linguaggio del corpo. Tuttavia, per chi conosce il tedesco, l’audio è comprensibile, non troppo veloce e si capisce (io non sono assolutamente bilingue!!).

L’audiolibro è composto da 115 domande e risposte. Tutto è molto pratico.

Ad esempio:

Come affronto una persona collerica?

Risposta: non lo fai. La collera ha spesso radici nel passato della persona, radici di cui la persona stessa non è consapevole. Se la affronti di petto, non farà altro che prenderti come bersaglio per lo sfogo.

Oppure:

Come ti rivolgi ai tuoi colleghi?

La scelta delle parole che designano i tuoi colleghi/sottoposti/superiori è spesso una profezia che si autoavvera. La Birkenbihl porta un esempio di una ditta di trasporti americana (l’esempio è tratto in realtà da un’opera di Tony Robbins), dove gli errori costituivano un’elevata percentuale dei costi a fine anno.

La soluzione è stata quella di chiamare gli autisti “esperti logistici”.

Nel primo periodo, gli stessi autisti si sono presi un po’ in giro per l’appellativo un po’ altisonante; tuttavia, dopo un mesetto, hanno cominciato a comportarsi davvero come “esperti logistici” e la percentuale di errori è crollata, riducendo di molto i costi.

Ancora:

Come si gestiscono i reclami dei clienti?

La risposta è lunga per riportarla qui, ma i primi due passi sono: ascolta bene e ascolta tutto. Chiedi cosa puoi fare per aiutarlo, e se non riesci a soddisfarlo come vorrebbe lui, allora cerca un compromesso. L’importante è fargli sentire che ti sei preso carico del problema, perché non c’è niente di peggio per un cliente arrabbiato di essere anche… ignorato, o ascoltato solo per finta.

Quello che la Birkenbihl sottolinea è che il cliente insoddisfatto della qualità del prodotto o del servizio non riterrà colpevole l’azienda o il reparto: ma se la prenderà con te. Per il cervello è più facile individualizzare le colpe: il cervello preferisce ragionare su individui, non su collettività.

Questo, da impiegata che si occupa della qualità in un’azienda, ve lo posso garantire: al cliente non frega niente delle politiche aziendali, delle vacanze italiane o delle tue malattie. Se non gli rispondi in modo soddisfacente, qualunque sia la motivazione, darà la colpa a te.

Certo, la Birkenbihl dà anche un altro consiglio: se ti accorgi che la pressione per le lamentele dei clienti è troppo elevata, chiediti se sei nell’azienda giusta. Domanda scomoda…

Gli argomenti affrontati in questo audiolibro spaziano molto (sono solo alla domanda 30, ne ho ancora 85 da ascoltare). Per esempio: cosa fai quando ti accorgi che una persona si… fissa? Sarà capitato anche a te: sei in mezzo a una riunione o a un pranzo di famiglia, e ti fissi su un punto nel vuoto, senza pensare a nulla.

Cosa fare? Niente. Questi momenti di “fissazione” sono messaggi del corpo: ci sta dicendo che abbiamo bisogno di staccare un attimo; sono momenti in cui davvero non si pensa a nulla e il cervello entra in una modalità simile a quella della meditazione. Forse siamo sottoposti a troppo stress, forse il pranzo è orribile ma non possiamo dirlo, forse percepisci che è inutile parlare durante la riunione perché le tue parole sarebbero travisate o rifiutate. Allora, prendiamo atto di questo bisogno, nostro o altrui.

Un altro suggerimento (non me li sono scritti, li riporto così come me li ricordo) è di sorridere quando si è arrabbiati o nervosi: il fatto stesso di sorridere, di portare in su gli angoli della bocca, causa una pressione su dei nervi che interagiscono col cervello per immettere nel corpo alcuni ormoni della positività e questo abbassa i livelli del cortisolo, l’ormone dello stress.

E ancora:

Come fare per impedire che i pensieri negativi ci tolgano il sonno di notte?

Risposta: il cervello non ubbidisce se gli dici di non pensare a qualcosa. Se gli dici di non pensare al colore rosso, inizia a pensare al colore rosso. L’unico modo è sostituire i pensieri negativi con altri positivi, con ricordi di bei momenti.

Infine, vi riporto un aneddoto che mi ha fatto riflettere.

In India, gli elefanti adulti non vengono lasciati in gabbie o legati con catene. Se l’uomo deve allontanarsi un attimo, li lega con una sottile fune a una canna di bambù, e loro stanno fermi. Perché non scappano?

Perché da piccoli venivano legati con delle catene a dei grossi alberi. Col tempo, imparano a restare fermi anche con una lieve sensazione di… legamento. Solo il fuoco li può far scappare strappando corda e canna di bambù.

Spesso le persone si comportano come gli elefanti: le catene sono diventate fili di lana e i baobab sono solo fili d’erba, però continuiamo a star fermi, bloccati.

Non è una bellissima similitudine?

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