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Il metodo Aristotele (Edith Hall)

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Come bisognerebbe prendere le decisioni? Ieri come oggi, questi passaggi suggeriti da Aristotele restano validissimi:

  • Non decidere in fretta: prenditi il tuo tempo, se possibile, dormici su.
  • Verifica le informazioni in tuo possesso: soprattutto oggi, che siamo inondati da informazioni di tutti i tipi.
  • Consulta un esperto, e seguine i consigli. Può essere un esperto in carne ed ossa, ma puoi leggerne le parole anche in un libro o ascoltarlo su youtube.
  • Valuta il punto di vista di tutte le persone coinvolte dalle conseguenze della tua decisione.
  • Esamina tutti i precedenti conosciuti, sia che appartengano alla tua esperienza che all’esperienza di persone che conosci (magari leggendo delle biografie, tanto per allargare il cerchio delle tue conoscenze).
  • Esamina le probabilità degli esiti delle tue decisioni e preparati a tutte.
  • Prendi in considerazione il Caso: non puoi controllare tutte le variabili, è così, non puoi farci niente. Tanto vale essere psicologicamente pronti.

Un bel libro per affrontare Aristotele, autore spesso considerato ostico, in un’ottica contemporanea.

I capitoli affrontano vari temi: la felicità, il potenziale umano, le decisioni, la comunicazione, la conoscenza di sé, l’amore, il tempo libero e la morte.

Il capitolo più ispirazionale è – secondo me – quello dedicato al tempo libero e alle possibilità di automiglioramento.

Leggetelo.

Il tempo libero, ribadisce Aristotele, se usato correttamente, è lo stato umano ideale.

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21 Lezioni per il ventunesimo secolo – Yuval Noah Harari

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Ventuno capitoli, ognuno con una tematica con risvolti universali: non saprei da dove cominciare a parlare di questo libro.

Eppure c’è un filo che lega tutti i topics, dalla tecnologia, al lavoro, dal nazionalismo alla religione, dall’immigrazione al terrorismo, dall’ignoranza alla guerra, dalla libertà all’educazione. Questo filo è dato dalle storie.

Noi siamo fatti di storie.

Fin da quando iniziamo a comunicare, quello che ci interessa non sono i fatti, i numeri, i grafici, la realtà, ma la storia che noi creiamo con questi dati. Le storie ci hanno permesso di comunicare tra di noi e ci hanno dato quel di più che ha fatto della razza umana la dominatrice della Terra.

Nel Novecento disponevamo di tre grandi storie che spiegavano il presente di allora: il comunismo, il fascismo, il liberismo. Il liberismo sembrava prevalere, ma nel Duemila anche il Liberismo ha perso la sua attrattiva: siamo rimasti senza storie.

Anche il nostro sé è una storia, siamo noi che ci creiamo un’immagine di noi stessi. E una storia devono inventarla i terroristi, per attirare martiri, e le religioni, per attirare fedeli.

Tutto è storia.

Harari dice una cosa che mi fa pensare: le storie, essendo una manipolazione di fatti e realtà, non sono realistiche. A volte la nostra razionalità litiga con questa mancanza di aderenza ai fatti, perciò, per tenerci legati alle storie (che creano coesione sociale), si inventano rituali e simboli, che ci mettono davanti, giorno dopo giorno, la storia per rendercela quotidiana, nostra.

Uno degli strumenti più efficaci nel convincerci ad accettare le storie, sono i sacrifici. Quando uno si immola per una causa, di qualunque tipo, religiosa, nazionalista, culturale, poi è più difficile per lui ammettere che la storia è falsa.

Richiede molto coraggio ammettere di aver ucciso o sacrificato persone, animali, desideri per una cosa che non esiste. Un’ammissione del genere intacca direttamente la nostra identità.

Un altro punto su cui Harari insiste molto è la discontinuità tecnologica.

Gli algoritmi, dice, possono conoscerci meglio di noi stessi, soprattutto se la tecnologia si estenderà a monitorare anche le nostre reazioni fisico-chimiche (cosa che non è ormai più fantascienza).

Un computer, analizzando le nostre reazioni, potrebbe sapere meglio di noi cosa ci fa bene, sia che si tratti di scegliere la facoltà universitaria che il partner o da che parte voltare il volante per evitare un incidente.

Qualcuno potrebbe obiettare che il computer non ha basi etiche.

In realtà, noi Sapiens, che ci vantiamo di aver inventato l’etica, quando si tratta di decidere se pagare le tasse o se fare l’elemosina o se tradire il compagno, lo facciamo sulla base delle sensazioni del momento: non ci mettiamo a ragionare sul Bene e sul Male.

Da questo punto di vista un algoritmo potrebbe rispettare l’etica meglio di noi (a patto che ci sia un qualche tipo di controllo sui principi etici che vengono processati alla base).

Sto banalizzando 321 pagine illuminanti… Ma questo è un libro che non può essere riassunto: se salti un passaggio, perdi la connessione logica, perché ogni capitolo è collegato al successivo in un unico grande discorso.

Io l’ho adorato.


 

PS: per chi si chiedesse perché l’ho letto in inglese…. l’ho comprato usato e mi è costato la metà.

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Di bene in peggio – Paul Watzlawick @Feltrinellied

Siete “in cerca di garanzie, di certezze, di realizzazione e di conseguente, definitiva felicità”?

Allora, probabilmente, siete dei costruttori di ipersoluzioni, ovverosia, soluzioni le cui conseguenze sono altrettanto nefaste dei problemi che vogliono risolvere.

Cercate un assoluto? Il senso della vita? Allora probabilmente, a forza di pensarci, cadrete nell’inerzia.

Credete che se una cosa è buona, allora aumentandone la quantità riuscirete ad aumentare anche la sua qualità? Allora siete caduti in una fata morgana.

Siete convinti che il contrario del male sia sempre il bene? Che non esista una terza via? Siete convinti di sapere sempre cosa pensa chi avete di fronte? Che chi è in possesso della verità debba trasmetterla agli ignari, se necessario, anche contro la loro volontà?

Beh, allora ricordatevi, quando sarete convinti di aver trovato l’ipersoluzione che fa per voi, che il grande è celato nel piccolo.

Non è un manuale, questo: nessun suggerimento concreto. Solo un ragionamento al contrario, con molta, molta ironia, che ci fa capire come siamo bravi a rovinarci la vita.

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Prostituzione, alcolismo, droga e altre dipendenze

Il tentatore non “mette alla prova”, ma “commette un reato”, e il tentato che cede non è un “colpevole”, ma gode dell’innocenza della “vittima”.

La prostituta in quanto tentatrice è perseguitata dalla legge, mentre il cliente, in quanto cede a una forza a cui non può resistere, è innocente.

Ma perché questa sociologia che fa tesoro delle scoperte scientifiche mantiene la categoria mitico-religiosa della tentazione per lo spacciatore e per la prostituta, e adotta invece la categoria psico-biologica della forza irresistibile per il drogato e il cliente della prostituta?

Per sottrarre al drogato e al cliente anche la sola ipotesi di avere a disposizione la libertà dell’autocontrollo, perché solo persuadendo gli uomini che non si possono autocontrollare si può esercitare su di loro il controllo esterno a cui il potere per sua natura e per sua essenza tende.

(U. Galimberti (“L’ospite inquietante”)

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Le disavventure di Margaret, Cathleen Schine

Dopo “L’evoluzione di Jane”, che non mi aveva convinto del tutto, ho voluto dare un’altra possibilità a questa scrittrice così nominata, soprattutto perché l’ho trovata in edizione Adelphi, e di solito l’Adelphi ci azzecca… però tutti possono sbagliare.

Margaret è una studiosa (di filosofia? Storia?) che ha scritto un libro su un’emancipata donna del Settecento. Ha un marito insegnante, brillante, intelligente, soddisfatto di sé e innamoratissimo di lei. Margaret trova un manoscritto libertino francese e inizia a tradurlo (è la storia di un “filosofo” che seduce ed è sedotto da una bellissima sedicenne).

Ho interrotto la lettura a p. 200 (su 310), perché non capisco quale sia il filo rosso che tiene insieme la trama.

Margaret ha una memoria bucata, non si ricorda i nomi delle persone con cui parla alle feste, né il contenuto del libro che l’ha resa famosa. E’ una frana in società, tuttavia si sforza di partecipare ai parties dei suoi amici, tutti intellettualoidi che parlano di aria fritta (o meglio, citano filosofi e scrittori ad ogni pie’ sospinto, ma lo fanno in modo slegato dal contesto, come se fosse solo una dimostrazione di conoscenza).

Ad un certo punto, Margaret va a Praga a tenere una conferenza. Ci deve andare da sola perché il marito è impegnato: non aveva mai viaggiato da sola. A Praga perde il suo Baedecker e guarda la città affidandosi ai sensi e non alle cognizioni.

Torna da Praga che è convinta di voler tradire il marito e che il marito voglia tradire lei.

Ora… possono anche piacermi le descrizioni dell’ambiente sociale e dell’intellettualismo ipertrofico di Margaret, ma… dove sta il punto?

Mi par di capire che si voglia mostrare come Margaret arrivi alla maturità (all’inizio è una tipa che non prende decisioni e che non vede l’ora di avere qualcuno che le prenda per lei), ma… dico, non si poteva costruire il romanzo in modo che questo filo rosso fosse più visibile? Ci sono delle parti che davvero io, se fossi stata una editor, avrei tagliato di brutto.

Oppure la sua maturità si estrinseca nel passare dall’accumulo di cognizioni all’abbandono ai sensi? Dall’intelletto alla sensualità?

Boh. Forse però Cathleen Schine è troppo per me e sono io che non ci arrivo.

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Il coraggio di essere liberi, @vitomancuso

Dopo aver letto questo libro, non me la sento più di etichettare Vito Mancuso con l’appellativo di teologo, come facevo prima. Come lo chiamo adesso? Filosofo? Sociologo? Studioso dell’animo umano?

Sono sicura che lui sarebbe tutto contento di questa mia incapacità, perché è un sintomo (un altro) che lui si è liberato delle etichette. Dopotutto, qui proprio di libertà di parla.

E’ un libro dialettico, tutto incentrato sul tentativo di conciliazione degli opposti (ottima strategia: così siamo liberi dalla coazione a scegliere). Eccone alcuni:

– L’uomo visto sia come individuo, che ha bisogno dei suoi spazi di solitudine, che come relazione, in quanto inserito in un contesto familiare e sociale;

– Libertà da qualcosa (leggi, moda, persone, se stessi) e libertà per qualcosa (un ideale, sia esso spirituale, economico, artistico ecc…); la coesistenza, nella realtà, di caos e logos, di disordine e di direzione;

– Casualità attraverso le leggi della natura e casualità attraverso la libertà;

– Felicità vs divertimento;

Mi è particolarmente piaciuta la parte in cui l’autore ha cercato di spiegare come si ammette l’esistenza del male nel mondo. Non è in contrapposizione con l’idea della libertà nell’uomo? E’ un tema che Mancuso affronta spesso nei suoi libri. Qui lo ha ben riassunto in tre atteggiamenti: fatalismo, nichilismo, razionalismo. Ognuno ha le sue ragioni. Voi quale scegliete? Sentitevi pure liberi

E infine, non si può parlare di libertà senza toccare l’argomento morte.

Quello che trovo più affine al mio pensiero, Mancuso lo esprime in poche parole: esiste un pensiero divino, ma non si cura dei singoli. Le conseguenze di questa conclusione, sono immani (e poco cattoliche, ma a me va bene così).

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Storia del Cristianesimo, dalle origini a Teodosio, Panfilo Gentile

E’ un testo che risente, nello stile, degli anni in cui è stato scritto (1969). La parte relativa alla diffusione del cristianesimo post-Gesù è descritta in modo più appassionante da Carrère ne “Il Regno”.

Per quanto riguarda la vita di Gesù, invece, il libro risente, come quasi tutti i testi sull’argomento, di una grossa limitazione: si rifà quasi prevalentemente alle fonti cristiane.

Eppure, Panfilo Gentile, filosofo e giornalista laico, ci è utile per integrare o sottolineare alcuni punti.

a) Il sermone della montagna, come molte altre cose dette da Gesù, non è davvero “suo”. Sembra che questo discorso sia stato preso dal Hillel, un rabbino illuminato, forse maestro di Gesù stesso. Ce n’erano, di rabbini illuminati, a quei tempi: erano studiosi che cercavano di far staccare gli ebrei dalla lettera dei testi (ricciolini vari, divieti alimentari, ecc…) e di dare più importanza all’aspetto umanitario nella vita quotidiana.

b) L’ebraismo era una religione terrena, non prevedeva la resurrezione della carne. In realtà, secondo alcuni, neanche Gesù ne ha parlato. L’idea della resurrezione è di provenienza persiana.

c) Gesù è sempre stato ebreo. Era uno dei tanti ebrei che si staccavano dalla lettera della Legge, ma non ha mai preteso di creare una nuova religione (questo al 99% dei cattolici non è ancora chiaro).

d) Paolo giustifica la morte di Gesù in senso espiatorio, in linea con la tendenza ebraica, secondo cui Dio non perdona se qualcuno non viene sacrificato: che ad essere sacrificato sia chi ha commesso il peccato o un altro completamente innocente, secondo le tesi ebraiche era ininfluente.

e) Si può parlare della nascita di una nuova religione quando viene abbandonata la Legge e quando si accetta che anche i non ebrei possano essere salvati.

f) E’ Paolo che ha fondato il cristianesimo e ci è riuscito, in disaccordo dottrinario con Giacomo, Pietro e Giovanni, perché gli apostoli rimasti a Gerusalemme erano persone semplici, non in grado di controbattere alle argomentazioni di Paolo; senza contare il fatto che non ne avevano capito l’innovazione e che credevano di essere loro i veri depositari della storia di Gesù, perché loro, e non Paolo, lo avevano conosciuto di persona.

g) La distinzione che Paolo faceva tra carne e spirito era una metafora per le azioni cattive e quelle buone. E’ stata l’influenza ellenistica a travisare e a introdurre la contrapposizione tra corpo e anima.

h) I cristiani delle origini non sentivano il bisogno di dire che Gesù era nato da una vergine. E’ sempre l’influenza greca che si fa sentire, e che, abituata a ragionare in termini di Dei e semidei generati da un dio e da un/a umano/a, cambia le carte in tavola. Poi, siccome il dio ebraico non era antropomorfo, per risolvere il problema si è fatto entrare in campo lo spirito santo.

i) All’inizio i cristiani non sentivano il bisogno di una struttura gerarchica perché credevano davvero che il Regno fosse imminente. Poi si sono accorti che il regno non arrivava, e si son detti: “Beh, intanto che aspettiamo…”

l) Per circa 300 anni i cristiani non sono proprio considerati. Non se li filavano. L’impero era tollerante, gli andavano bene tutti gli dei pagani, bastava che non creassero casini. I primi cristiani erano considerati una setta interna all’ebraismo e gli imperatori volevano restare fuori dalle beghe dottrinarie. Non se ne occupavano neanche per perseguitarli e sembra che Nerone li abbia mandati a morire nel Colosseo solo perché sobillato da consiglieri ebrei (preoccupati da quella che consideravano una frangia blasfema), e solo in quanto convinto che i cristiani avevano dato fuoco alla città (cioè non li perseguitava in quanto cristiani).

m) Costantino voleva una religione unica per motivi di unificazione dell’impero. Per il resto, era superstizioso e non ci capiva nulla del cristianesimo. Non capiva neanche che il cristianesimo-ebraismo delle origini aveva un Dio geloso, che non ammetteva altri dei al di fuori di lui. Poi, una volta entrato a corte, il clero seppe come influire e brigare e dispensare favori ai propri fini.

Se è certo che da parte degli scrittori ecclesiastici si iniziò una campagna diretta ad ottenere dai principi una politica di sterminio del paganesimo e se è certo che un fanatismo sanguinario circolò fra le plebi cristiane, non è altrettanto certo che gli eredi di Costantino si ponessero al servizio di queste passioni sfrenate.

n) In generale, nell’impero anche dopo l’editto di Milano i riti pagani tra le folle convivevano con i riti cristiani:

Fino alla metà del V secolo a Roma si mantennero sempre i galli sacri per i presagi. I calendari di quest’epoca indicano sempre tutte le feste pagane e i giochi che le celebravano.

Fa bene leggere libri del genere, ogni tanto. Così non si danno per scontate istituzioni e credenza che vogliono farci credere universali nel tempo e nello spazio (e questo non ha niente a che fare con la fede).

 

 

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Il senso di una fine, Julian Barnes @CasaLettori

Perché nessuno mi ha mai parlato di Julian Barnes?

Questo scrittore è bravissimo!

“Il senso di una fine” unisce il racconto di una bella storia a tutta una serie di piccole e grandi riflessioni su una marea di argomenti: il rapporto tra gioventù e vecchiaia, la memoria, la storia singolare e la Grande Storia, il tempo che può tornare indietro quando si aggancia ai ricordi, l’inconoscibilità del passato e delle persone…

La prima parte del libro racconta la gioventù di Tony Webster e della sua amicizia con Adrian, ragazzo intelligentissimo e, sotto certi aspetti, misterioso, con un senso della vita tutto suo, improntato alla filosofia e alla storia.

Eppure… eppure Adrian, che nel frattempo si era fidanzato insieme a Veronica, l’ex fidanzata di Tony, si suicida.

Fioccano le teorie sulle ragioni del gesto. Secondo alcuni, era troppo intelligente per vivere; secondo altri, ha portato all’estremo limite la sua teoria filosofica sulla vita.

La seconda parte del libro inizia con una lettera che comunica a Tony di esser stato nominato erede di 500 Sterline e di un documento. E da chi arriva questa eredità?

Il finale è spiazzante (anche se devo dire che qualche sospetto sulla madre di Veronica mi era venuto).

Al di là dell’antipatia che mi ha ispirato Veronica, la giovane fidanzata del protagonista (va bene fare la misteriosa, ma ad un certo punto bisogna anche spiegarsi!), i personaggi sono intriganti e hanno così tante sfaccettature che non puoi non immedesimarsi in una di queste.

E ora… alla ricerca di altri libri di Julian Barnes!

Più impari, meno temi. “Imparare” non in termini di studio accademico, ma di comprensione effettiva della vita.

Dobbiamo conoscere la storia di chi scrive la storia, se vogliamo comprendere la versione degli eventi che ci viene proposta.

 

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Saggi scettici, Bertrand Russell

Che pensatore meraviglioso… sfido io che abbia avuto una sfilza di donne.

Avvocato di un tipo di razionalità che chiamerei umanitaria, ci ha regalato una serie di saggi che ci mettono in guardia dai sogni campati in aria e dalle credenze erronee, facendoci ragionare sul fatto che, più spesso di quel che pensiamo, agiamo in forza dell’abitudine, piuttosto che di un piano razionale.

Sono eccezionali ed attualissime le parti in cui parla della libertà di pensiero e dei suoi ostacoli, riferendosi non tanto alla censura vera e propria, quanto agli ostacoli più sottili: quelli economici/professionali e quelli emotivi. Ad esempio, nelle università americane è difficile lavorare se non dimostri di essere omologato ad un certo tipo di pensiero; ma più in generale, chi non dispone di mezzi propri ha difficoltà ad esprimere il proprio sincero punto di vista se questo può mettere a repentaglio le sue fonti di reddito (e Russell propone anche un paio di esempi che lo hanno toccato personalmente).

E poi, guardiamo agli elementi necessari alla formazione di uno spirito critico. Per esempio, l’educazione: attualmente, qui come là, oggi come allora,

viene diretta al fine non di fornire la vera conoscenza, ma di rendere gli uomini docili alla volontà dei loro padroni.

L’educazione mira a impartire informazione senza impartire intelligenza. (…) non si desidera che la gente comune sappia pensare per conto proprio, perché si sente che il popolo che pensa per contro proprio è difficile a maneggiarsi e crea difficoltà amministrative.

Altro elemento che influisce sullo spirito critico è la propaganda. E non crediamo di esserne immuni:

Le riserve di fronte alla propaganda derivano non soltanto dal suo rivolgersi all’irrazionale, ma ancor più dallo sleale vantaggio ch’essa dà ai ricchi e ai potenti. Che le diverse opinioni abbiano uguali possibilità di manifestazione è un requisito essenziale se si vuole che vi sia vera libertà di pensiero.

Mi direte: ma oggi ci sono i social, che al tempo di Russell non c’erano. Posso dire quello che voglio sulla mia pagina Facebook, no? Bè, certo, ma chi ti ascolta, nel mare di informazioni e stronzate in cui lo scrivi? L’eccesso di informazioni oggi agisce come una forma di censura.

E poi, sentite questa Verità:

Se si vuole che al mondo esista la tolleranza, una delle cose insegnate a scuola dovrà essere l’abitudine a pesare le prove, e a non dare completo assenso alle affermazioni che non ci sia ragione di ritenere vere. Ad esempio, occorrerebbe insegnare l’arte di leggere i giornali.

Prendete il nostro presente: quanti vanno in escandescenze quando leggono un articolo su un nero che ha violentato una bianca? E quanti si rendono conto che statisticamente gli abusi sessuali compiuti da extracomunitari sono una minoranza rispetto a quelli compiuti dagli italiani? Solo che gli stupri compiuti da italiani fanno vendere meno giornali…

Per quanto questi saggi siano stati scritti sotto minaccia di guerra atomica, e nonostante i ripetuti esempi che si rifanno all’Urss,  li trovo attualissimi. C’è poi una parte in cui spiega perché non ci si può fidare di un governo di tecnici: eccezionale!

Ci manca del tutto

l’abitudine di tener conto di tutte le prove rilevanti prima di arrivare a creder una cosa.

Oggi si parla di fake news.

 

 

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Colloqui con se stesso, Marco Aurelio

E’ ridicolo non cercare di fuggire la propria malvagità, cosa che è possibile, e fuggire invece quella degli altri, cosa che è impossibile.

Dipende da me che in quest’anima non alberghi nessuna malvagità, né desiderio né, insomma, nessun turbamento.

Quelli che piuttosto inseguono la fama presso i posteri non tengono conto del fatto che i posteri saranno tali quali quelli che oggi essi mal sopportano.

Se soffri per qualche evento esterno, non quello ti rende inquieto, ma il tuo giudizio su di esso, e questo dipende da te estirparlo subito.

Gli uomini sono nati gli uni per gli altri: dunque, o istruiscili o sopportali.

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