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La conoscenza e i suoi nemici – Tom Nichols

IMG_20200209_112118[1]L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia

Tom Nichols è professore allo U.S. Naval War college e alla Harvard Extension School e ha spesso ricoperto ruoli di consigliere presso personaggi politici statunitensi.

In questo libro se la prende con i cittadini statunitensi (ma ricordatevi che noi italiani prendiamo gli stessi vizi degli americani, solo con qualche anno di ritardo): Perché? Perché sono ignoranti.

Non è una novità, direte.

Beh, una novità c’è, e consiste nel fatto che si beano della loro ignoranza più che in passato, disprezzano gli esperti come non mai e sono sempre più aggressivi nell’esprimere le loro opinioni, considerate alla stregua di verità assolute.

Questa situazione è una deriva dell’errato concetto di uguaglianza: se siamo tutti uguali, dicono, allora la mia opinione vale quanto quella di un esperto, no?

In realtà, l’uguaglianza andrebbe legata al valore del voto: il mio voto vale quanto quello di un esperto. Ma quando si parla di competenza, le cose stanno molto diversamente.

La proliferazione di teorie del complotto, di stereotipi e di bias da conferma è legata a molti fattori.

Tra questi, il crollo qualitativo dell’istruzione americana: tutti vogliono andare al college. E tutti i college, vogliono attirare il più gran numero possibile di studenti, perché ogni studente paga fior fiore di soldi per frequentare. Ne deriva che gli studenti si trasformano in clienti.

E cosa fa un cliente? Ha sempre ragione. Bisogna accontentarlo: dargli ciò che vuole, non ciò di cui ha bisogno. Ecco, allora, college e istituti universitari che diversificano l’offerta di attività extra-curriculari e spendono milioni di dollari nell’arredamento (di design!) dei dormitori: tutti aspetti esteriori che fungono da allettanti specchietti delle allodole, peccato che poi l’offerta contenutistica vera e propria venga messa in un angolino.

Ed ecco, ancora, sistemi pubblici di valutazione degli insegnanti: gli insegnati ricevono commenti e votazioni da parte dei ragazzi. E’ esattamente il contrario di quello che si faceva qualche anno fa, quando erano i professori a valutare gli studenti… Ma i prof devono adeguarsi, perché se, ad esempio, assegnano troppi libri da leggere, allora la loro valutazione scende, l’appetibilità del loro corso cade in picchiata, diminuisce il numero dei frequentanti e il prof rischia il posto.

L’incompetenza e l’aggressività contro gli esperti è fomentata anche dalla rete (che per altri versi avrebbe anche i suoi vantaggi).

Uno dei rischi di internet è che rischia di renderci più rigidi nelle nostre opinioni, nonostante la maggior possibilità di informazione.

Un esempio?

Chi seguiamo se siamo di destra (o sinistra)?

Un giornale di destra, un comico/cantante/attore di destra, tanti amici di destra (o sinistra)… appena ci accorgiamo che qualcuno esprime un’opinione diversa dalla nostra, lo blocchiamo (magari, dopo averci litigato un po’ online). Di sicuro non continuiamo a seguirlo.

In generale, online la nostra tolleranza ad ascoltare opinioni diverse dalla nostra è quasi inesistente.

Ne consegue che la nostra dieta informativa è totalmente squilibrata.

Mi direte: anche gli esperti a volte sbagliano. Certo. Ed è un bene che lo si scopra. Ma il fatto che lo si scopra è già una prova che il sistema scientifico funziona ancora.

Bisogna dire inoltre che, nella stragrande maggioranza dei casi, gli esperti ci azzeccano. Eppure questo fa molto, ma molto meno notizia di un esperto che sbaglia. Fatalità, oggi, se sbaglia un esperto, la tendenza è di credere che tutti gli esperti sbaglino. Tutti. Questa sfiducia di base verso la competenza può essere pericolosa.

Nichols analizza l’ascesa al potere di Trump come il risultato di una generica ignoranza collettiva, ma questo è solo uno dei tantissimi esempi in cui la diffidenza verso la competenza è pericolosa.

La soluzione?

Sviluppare il pensiero critico.

Ma qui, ci vorrebbero altri libri sul… come!

 

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La forza di volontà – Roy F. Baumeister – John Tierney

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Mettetevela via, ognuno di noi dispone di una dose limitata di forza di volontà, e se tirate troppo, alla fine si esaurisce. Brutta notizia, per quelli che devono sottoporsi a una commissione di esame (o anche a dei giudici in un processo) appena prima dell’ora di pranzo o della pausa: la forza di volontà si nutre di glucosio, l’alimento principe del cervello, e quando il glucosio scarseggia, la forza di volontà scema, tanto che si è meno disposti a correre rischi. Il risultato: voti più bassi e, in casi estremi, rifiuto della libertà provvisoria. Quando siamo a corto di forza di volontà, siamo più inclini all’egoismo e meno sottomessi agli standard sociali (per gli uomini potrebbe essere più difficile trattenersi dal ruttare: un esempio che mi viene in mente perché ieri sera al cinema uno davanti a me ha dato sfogo ai suoi miasmi, e non si trattava di un adolescente, ma di un padre di famiglia che non ha neanche chiesto scusa).

Quando siamo a corto di forza di volontà, è più difficile scegliere, perché scende la nostra capacità di rinunciare alle opzioni (la scelta è sempre una rinuncia parziale), ecco perché ci dicono di non far mai la spesa a stomaco vuoto. E le scelte stesse esauriscono la nostra FDV, ecco perché al supermercato le cacatine ce le mettono davanti alle casse, quando uno è sopravvissuto alla lettura di centinaia di ingredienti e scatolette e prezzi.

C’è di buono che nel lungo periodo la forza di volontà si può allenare. Si parte da piccole cose: innanzitutto l’autosservazione. E poi l’azione conseguente. Ad esempio, se prendiamo l’abitudine di osservarci e ci accorgiamo di star seduti con la schiena piegata, raddrizziamoci. Col tempo, il cervello prende l’abitudine alla consapevolezza e questo influenza molti altri atteggiamenti.

Il segreto è concentrarsi sullo sforzo di modificare una determinata abitudine. Potete cominciare sforzandovi di usare l’altra mano per compiere certi gesti. Molte abitudini sono legate alla mano dominante, che per la maggior parte delle persone è la destra. Obbligarsi a cambiare mano è un esercizio di autocontrollo. (…). Un’altra strategia per allenarsi è sforzarsi di cambiare le proprie abitudini di linguaggio, che sono anch’esse profondamente radicate. Per esempio, potreste impegnarvi a usare i congiuntivi correttamente anche nel parlato, di evitare i “cioè” e i “dunque e, naturalmente, le parolacce.

Nel corso di numerosi esperimenti, è stato notato che i soggetti miglioravano anche in ambiti della propria vita che non avevano niente a che fare con gli esercizi che si erano sforzati di fare. L’autodisciplina, insomma, aumenta in tutti i campi. Ecco perché gli alcolisti anonimi devono rinunciare anche all’alcool.

Molto importante, per garantire la durata della FDV, è prendere impegni vincolanti e, in qualche modo, pubblici: parlare dei propri obiettivi a familiari e amici, oppure nei social network, o scriverli. Anche pensare agli altri può far aumentare la propria autodisciplina, perché è un esercizio costante per tenere sotto controllo l’egoismo innato. Non è una fatica che dura tutta la vita: si tratta di prendere delle buone abitudini, poi, come tutte le abitudini, vanno avanti da sole.

Concentrarsi sul momento presente e su pensieri pratici indebolisce l’autocontrollo, mentre i pensieri complessi, astratti e a lungo termine lo aumentano. Questo è uno dei motivi per cui le persone religiose ottengono ottimi risultati nelle misurazioni dell’autocontrollo e perché quelle non religiose (…) traggono beneficio da altri tipi di pensieri trascendentali e idealistici.

Molto interessante il capitolo sulle diete: è lungo da riportare qui, ma lo riassumo dicendo che non è vero che le persone grasse dispongono di poco autocontrollo, il cibo è un discorso a sé.

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