Tag Archives: Steve Jobs

L’arte nel cesso – Francesco Bonami

Francesco Bonami è un critico d’arte contemporanea ma dovrebbe fare il comico. Questo breve saggio è una collezione unica di trovate spiritose, simpatiche similitudini e immagini spiazzanti.

Prendendo di volta in volta spunto da una caratteristica diversa, Bonami dice peste e corna di un bel po’ di mostri sacri, sia artisti che critici. Prendete questa:

Nel caso di Ai Weiwei coloro che amano la sua arte – se così dobbiamo chiamarla – individuano in lui uno strumento con il quale possono sia considerarsi appassionati d’arte che politicamente e socialmente responsabili.

Ai Weiwei, a detta di Bonami (ma non solo) sarebbe un venditore di fumo che sfrutta la mediaticità di certe tragedie globali, niente di più e niente di meno di quello che fa Trump.

E l’icona Marina Abramovic? “Sfacciata e pesante”. Dice, Bonami, che nella sua messa in scena “The artist is present“, in cui lei stava seduta sette ore al giorno, immobile, faccia a faccia coi suoi fans, non è passato nessun messaggio, solo una vaga meraviglia per quell’autocontrollo fine a se stesso. Però, si lamenta Bonami, l’Abramovic non si può toccare:

Criticarla è come tirare i pomodori a Bocelli mentre canta alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi.

Le opinioni dell’autore sugli artisti sono divertenti ma opinabili: da un’opera d’arte, per come la vedo io, anche se molti artisti vivono di rendita o approfittano della propria intoccabilità, ognuno ci tira fuori quello che vuole. Ovviamente, però, certi consigli di Bonami andrebbero presi sul serio: non basare tutto il proprio lavoro sulla sola tecnica, non sfruttare problemi globali, non verbalizzare troppo, non approfittarsi della buona fede del pubblico, non dimenticare mai di raccontare una storia (possibilmente, che non si riduca a una serie di foto scattate nel corso di vent’anni e che ritraggono l’artista si taglia le unghie… sì, non sto scherzando, l’hanno fatto), ecc…

Quello su cui non si può discutere, è la critica ai critici.

I critici, soprattutto italiani (per gli anglosassoni è diverso), semplicemente, non si fanno capire. Allontanano l’appassionato (e quello che potrebbe diventare un appassionato di arte contemporanea) utilizzando linguaggi incomprensibili (quando va bene) e pressoché privi di ogni significato (quando va male).

L’arte ha bisogno di storie.

Ma non storie come questa:

L’arte si muove su un ventaglio di linguaggi tutti tesi verso l’affermazione di un progetto dolce capace di costruire la sua misura formale nelle sue diverse apparizioni.

…zzo vuol dire? Uno così deve riempire una colonna e basta, tanto valeva diteggiare sulla tastiera a casaccio!

Tornando a Bonami: secondo lui l’arte contemporanea è giunta alla fine. E’ iniziata con un orinatoio (la Fontana di Duchamp del 1917) ed è finita nel 2017 con un water d’oro, in cui gli utenti potevano davvero fare i propri bisogni. Cosa ci sarà dopo? Non lo sa.

Al bivio troviamo due cartelli, da una parte una freccia verso “emozione”, dall’altra una freccia verso “fede”. Dove andiamo? Forse le due strade si ricongiungeranno, forse no.

Posso lanciare una previsione ottimista? Facciamo che le due strade alla fine diventino una, con la freccia che semplicemente ci dice “umanità“. L’emozione da sola rischia di scivolare nell’animalità, la fede da sola rischia di scivolare nel fanatismo: scegliamo l’umanità, con le sue contraddizioni, le sue forze e le sue debolezze.

Un sincretismo necessario.

2 Comments

Filed under Arte, book, Libri, Libri & C., Saggi, Scrittori italiani

The game, Alessandro Baricco @einaudieditore

Non avrei mai creduto di appassionarmi così a:

a) un libro di Alessandro Baricco

b) un libro sul mondo digitale.

Eppure…

Baricco si è messo a ricercare le radici (la spina dorsale, i reperti archeologici) del mondo digitale di oggi risalendo agli anni Settanta e ha fatto una serie di scoperte interessanti.

Intanto: perché il mondo digitale è nato? Perché chi lo ha creato (ingegneri/scienziati maschi bianchi della controcultura americana) venivano dal Novecento, uno dei secoli più sanguinosi della storia umana. Per evitare il ripetersi di una tale tragedia, nelle loro menti, forse a livello inconscio, bisognava:

a) distribuire a tutti le informazioni e impedire, tramite la velocità, che le ideologie si fossilizzassero in pericolose direttive d’azione.

b) togliere il potere alle vecchie élites (professoroni, sacerdoti & C.)

(…) l’immobilismo culturale dei popoli e il ristagno piombato delle informazioni avevano portato i loro padri a vivere in un mondo in cui si poteva fare Auschwitz senza che nessuno lo sapesse, e sganciare una bomba atomica senza che la riflessione sull’opportunità di farlo riguardasse più di una manciata di persone.

Nel far ciò, è nata una certa ossessione per il movimento, per l’abbattimento delle barriere: in fondo, se si facevano le guerre era per mantenere o allargare i propri confini, in senso materiale e non.

Per allargare la base degli utilizzatori delle informazioni, l’unico modo era cambiare i tools, gli strumenti che usavano (perché, ricordiamoci che le persone non le cambi con interventi diretti, devono cambiare da sole): da qui ecco l’importanza data alla facilità d’uso.

Nel Novecento, infatti, le élites ci rappresentavano il mondo come un iceberg alla rovescia, dove la base, enorme, sopra l’acqua rappresentava il caos, il reale, e sotto, la puntina che solo alcuni potevano scoprire, stava la Verità.

I creatori del mondo digitale, invece, hanno fatto il contrario: l’iceberg tiene l’enorme base sotto l’acqua (la complessità dei devices) e lascia emergere solo la semplicità offerta all’utilizzatore (l’I-phone che si lascia gestire con un dito).

Questo può creare delle storture, certo. Ad esempio, viene rivisto il concetto stesso di verità: non è più vero ciò che è vero, ma è vero ciò che viene meglio raccontato (ecco l’importanza dello storytelling). D’altronde, se il movimento delle informazioni deve essere veloce, è normale che nella corsa alcuni dettagli si perdano per strada.

Altra stortura è la creazione di nuove élites: chi sa usare i nuovi strumenti. Chi non lo sa fare (o chi, semplicemente, non può permetterselo), resta indietro. Ricchezza e povertà, nel mondo digitale, sono ancora molto novecenteschi. E come le élites novecentesche, quelle digitali sono difficili da controllare (solo per fare un esempio, i bestioni digitali non pagano tasse o non le pagano come dovrebbero fare).

Altra stortura: la privacy è costantemente violata, checché ne dicano i sistemisti aziendali. Pensate alle cloud: non sono nuvolette nel cielo azzurro. Sono altri computer. Di chi? Dove? Mah. E i nostri dati, siamo noi: non è così difficile orientare le nostre scelte.

Baricco però mi ha fatto notare una cosa:

Il fatto che la Rete bene o male ti faccia arrivare solo le notizie che vuoi leggere, e che ti rafforzano nelle tue convinzioni, è una cosa che può davvero temere gente che ha conosciuto le parrocchie, le sezioni di partito, il Rotary, il telegiornale di quando non c’era la Rete e i giornali degli anni ’60?

Insomma, mi fa pensare il fatto che l’unico paese in cui oggi non arriva il segnale digitale è la Corea del Nord… è la prova che la rete fa paura a certi poteri.

Certo, c’è anche il problema dei millennials, che viaggiano veloci ma senza profondità, e che non hanno conosciuto i drammi del Novecento, e dunque non sanno perché è nato il mondo digitale.

Certo, gli umani aumentati, con gli smartphone in tasca, si sentono potenti, rifiutano il parere degli esperti perché pensano di poter fare da soli anche quando non è vero, e hanno sviluppato nuove forme di egoismo di massa.

Ma allora, se consideriamo tutte queste storture, che ci stiamo a fare ancora qui? Perché non ci solleviamo in blocco e smettiamo di usarle il cellulare e i computer e di ordinare tramite Amazon e di prenotarci le vacanze da soli? In fondo i fautori della rivoluzione digitale non sono solo i vari Jobs e Zuckenberg, è da idioti presentarla come una metamorfosi imposta dall’alto e dalle forze del male!

Qualcuno ce l’ha PROPOSTO semmai, e noi ogni giorno torniamo ad accettare quell’invito.

E infatti, chi si solleva davanti al mondo digitale, non lo fa per tornare indietro all’analogico.

Ebbene, la rivoluzione digitale è, appunto, una rivoluzione: un cambio repentino e violento del gioco. Ma le regole si costruiscono man mano che si gioca. E giochiamo tutti.

Se devo trovare un difetto al libro, è che Baricco a volte si lascia prendere dalla prosa e dalle immagini, e si dimentica di presentare qualche esempio che potrebbe rendere più concreta la tesi specifica.

Per il resto, questo è un libro facile da leggere ma illuminante che, attraverso la storia (anche se al limite della contemporaneità) ci fa capire l’oggi.

Ottimista ma non semplicistico, tocca, attraverso la realtà digitale, tutti i campi del nostro vivere quotidiano, dagli acquisti online alla politica interna ed internazionale, dalla famiglia ai passatempi.

Lo devono leggere assolutamente gli ingegneri, soprattutto italiani, che non sono come gli ingegneri della controcultura americana degli albori del digitale; ma anche chi usa tutti i giorni la piccola bomba atomica che ci teniamo in tasca/borsetta.

Un invito all’Einaudi: per favore, questo libro fatelo andare oltreoceano, non aspettate troppo a farlo tradurre………………………………

5 Comments

Filed under Arte, automiglioramento, book, Libri, Libri & C., Movie, Saggi, Scrittori italiani