Persona oggetto, Martha C. Nussbaum

Spiazzante!
Sarà che non mi sono mai soffermata a riflettere su cosa significhi essere una “persona-oggetto” ma la Nussbaum mi ha spiazzato proprio. E anche convinto, però.

La filosofa analizza il rapporto sessuale in generale, e ne sviscera – quasi – la necessità di oggettualizzare uno o entrambi i partner. Lo fa ricorrendo alla letteratura alta (Joyce, Kafka, Lawrence) e porno-commerciale (nomi che non conosco, scusate l’ignoranza… mi informerò).

Ci fa notare come parliamo tutti per partito preso, senza riflettere su quello che diciamo.
Tutti diciamo: no, la persona non va trattata come un oggetto.
Che vuol dire?

Ci sono sette modi per trattare una persona come un oggetto:
– strumentalità (si tratta la persona per raggiungere degli scopi)
– negazione dell’autonomia
– si tratta la persona come inerte, non agente
– fungibilità
– violabilità, si tratta la persona in modo di romperla o danneggiarla
– proprietà (un oggetto si può vendere o comprare)
– negazione della soggettività, si tratta la persona come se non avesse sentimenti propri, né preferenze.

Senza entrare nel campo della sessualità, ora, la schiavitù può essere intesa a tutti gli effetti come un’oggettualizzazione della persona-schiavo? Dopo aver letto le conclusioni della Nussbaum, la risposta non è più scontata come lo era prima. Quello che conta, è il contesto.
Ma, aggiungo io, è proprio il contesto quello più difficile da analizzare. Per il consumatore medio è più facile consumare parole e frasi fatte, piuttosto che fermarsi a riflettere sul più ampio Contesto.

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