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About writing (Gareth L. Powell)

Gareth L. Powell è uno scrittore inglese di fantascienza che pubblica libri da una decina d’anni.

Non è un’esperienza lunghissima, ma è sempre più lunga della mia, dunque consigli e ispirazioni sono benvenuti.

Il saggio parla della scrittura nell’accezione più ampia, dalla paura della pagina bianca alla gestione del successo (se e quando arriva).

In realtà, il succo del libro è: per diventare uno scrittore di (qualche) successo, bisogna leggere tanto e scrivere tanto. Non si discosta molto dal nocciolo del libro di Stephen King “On Writing”. Lo sappiamo tutti che per diventare bravi in un’attività bisogna esercitarsi, eppure, continuo a comprare libri che mi lo ripetono fino allo sfinimento.

Powell scende poi nel dettaglio dei generi letterari (allargandosi un po’ di più con la fantascienza, perché è il genere che conosce meglio), delle abitudini utili per la scrittura, del luogo, delle sue giornate tipo, degli agenti letterari… Ci fornisce anche un elenco di prompt, di idee a cui attaccarsi quando davvero non sappiamo come riempire la pagina.

Fortunatamente, il blocco da pagina bianca non mi riguarda da vicino. Una pagina la riempio sempre, bene o male. E sta qui il succo: basta scrivere. Se si scrive male (e di solito è così), si può sempre cambiare in un secondo (e in un terzo e in un quarto) momento quello che si è scritto, anzi, direi che la vera scrittura è una ri-scrittura.

A volte l’autore tergiversa: come altri scrittori di cui ho letto, Powell ha bisogno di rumori di sottofondo mentre scrive e allora ci racconta del canale YouTube con i suoni di un caffè affollato: non so quanto aiuti lo scrittore esordiente italiano.

Vi dico io quale è problema dell’aspirante scrittore italiano: è che il mercato è piccolo. Non solo ci sono pochi abitanti in Italia rispetto ai paesi di lingua inglese, ma ci sono anche pochi lettori. Quanti scrittori italiani conoscete che vivono solo ed esclusivamente dei diritti derivanti dai loro libri?

Ma mi sto inacidendo.

Il fatto è che non si scrive per diventare ricchi. Si scrive perché si ha bisogno di farlo. Come si può sentire il bisogno di dipingere, di cucinare, di fare fotografie, di cantare.

Io, personalmente, ogni tanto cado in depressione e cerco di smettere: a cosa serve? mi chiedo.

Ci sono persone vicino a me che chiedono anche a cosa mi serve leggere, dunque figuriamoci cosa commenterebbero se dicessi loro che scrivo di nascosto. Eppure… C’è tanta gente là fuori che scrive, anche qui in Italia. Ed è bello parlarne. E’ bello avere dei sogni, anche se si sa che non riusciremo mai ad esaudirli.

Chi ha dei sogni è sempre più ricco di chi non ne ha.

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La luce che è in noi (Michelle Obama)

Questo libro è il seguito di Becoming. Mentre in Becoming ci raccontava la sua vita dall’infanzia fino all’esperienza alla Casa Bianca, stavolta non segue una linea narrativa.

Affronta più genericamente il tema delle difficoltà che si incontrano nella vita e della forza che ci serve per superarle.

Lei ammette di essere una persona che ha sempre cercato di darsi da fare, a volte troppo; si è spessissimo trovata a combattere contro un dubbio: Sono abbastanza? Abbastanza brava, intelligente, bella? Forte? Nonostante i miei sforzi, ho davvero diritto a quello che ho ottenuto?

Questi dubbi sono sicuramente influenzati dalla sua appartenenza a una doppia minoranza: Michelle Obama è una donna di colore. E’ nata e cresciuta a Chicago in una famiglia normale, non ricca, e ha usufruito di aiuti statali per frequentare l’università e la scuola di legge. E’ diventata prima un’avvocatessa di successo, e poi è arrivata alla Casa Bianca, in un ruolo che l’ha posta sotto i riflettori, suo malgrado.

Questo libro è stato scritto dopo che la pandemia di Covid era già iniziata, e Michelle, come tutti noi, si è trovata chiusa in casa senza nulla da fare, tranne che rimuginare e pensare. Ha trovato un po’ di sollievo nel lavoro a maglia, apprezzando le piccole cose che alleggeriscono la mente.

Tutti, ci dice, abbiamo una parte della mente che è paurosa e che teme i cambiamenti: non ci si libera di questa paura. Bisogna però agire nonostante i timori, con un po’ di gentilezza verso se stessi (cosa che lei ha spesso dimenticato di fare).

Ci parla dell’invisibilità che a volte sembra avvolgerci, perché non siamo abbastanza belli o abbastanza ricchi. Ci racconta l’episodio in cui la sua tutor le aveva sconsigliato di andare a Princeton perché sarebbe stato troppo difficile per lei (lasciando ad intendere che era una donna nera, che non aveva diritto a un tale privilegio o non aveva le capacità per esserne degna).

Insomma, ha dovuto lottare tutta la vita contro un senso di inferiorità e insicurezza.

Come tutti. Non importa che tu sia la first lady o la sua signora delle pulizie: le insicurezze personali colpiscono tutti.

Quello che cambia è il modo in cui le affrontiamo.

Lei ricorre spesso a degli aiuti: dal lavoro a maglia, alle amiche, alla madre, al compagno.

E’ stata fortunata, sì, ma non è partita con delle buone carte (donna, nera, Chicago).

Ad un certo punto il libro si allarga sugli ideali. Qui si perde un po’, diventa più generico, a volte un po’ scontato, ma è comunque una lettura che vale merita.

A volte sappiamo cosa va fatto, ma abbiamo bisogno di sapere di non essere soli ad affrontare certi dubbi e incertezze.

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Creatività – Come ci rende più coraggiosi, più felici e più forti (Melanie Raabe)

Melanie Raabe è una scrittrice tedesca di thriller. A differenza di molti altri artisti, che creano un mito di se stessi dicendo di aver iniziato a scrivere/cantare/dipingere ancora in culla, lei è molto sincera e confessa di aver provato con molte strade prima di trovarsi con la scrittura: ha provato la musica, il balletto, la recitazione…

Sa quello che dice dunque quando ci spinge a cercare la nostra strada, la nostra forma di arte. Che poi sia un hobby o un lavoro, poco importa; l’importante è avere qualcosa che ci permetta di creare, perché il nostro cervello ne ha bisogno.

Analizza le varie fasi dell’esperienza creativa; dall’inizio, che è quello che ci fa più paura, alla commercializzazione delle proprie creazioni.

In ogni fase, ci sono dei punti fermi. Il primo è: fare.

La procrastinazione è un effetto della paura, ma la creatività è, per definizione, incerta, perché si mette al mondo qualcosa che non c’era. E poi è un falso mito quello secondo il quale la quantità va a discapito della qualità: in realtà non ci può essere qualità se prima non c’è stata una bella dose di quantità.

Un altro punto fermo per la Raabe è la routine: l’ispirazione è importante, la motivazione è importante, ma da sole non ti portano alla conclusione di un progetto. Le energie si consumano, le scelte che dobbiamo compiere ogni giorno consumano la nostra riserva di energia. Una routine ci libera dal peso delle scelte.

E infine: autenticità.

Che significa: autoaccettazione. Capacità di aprirci al mondo, magari rischiando la vulnerabilità.

Ma la vulnerabilità è un tratto universale: ognuno di noi è vulnerabile in qualche punto, e venire in contatto con un’opera d’arte (un romanzo, un quadro, una performance) che mette in scena una vulnerabilità simile alla nostra, crea un legame con l’autore e ci fa sentire meno soli. Solo mettendo in gioco la nostra vulnerabilità possiamo creare qualcosa di veramente autentico.

Certo: accettarsi e rendersi vulnerabili non è da tutti. E’ per questo che la creatività può renderci più forti, perché è anche un lavoro su noi stessi.

Insomma, la Raabe affronta un po’ tutti gli aspetti della creatività: dalla capacità di accettare le critiche ai modi per far affluire l’ispirazione, dalla disciplina all’imitazione di altri creativi.

Sono contenta di terminare l’anno con un libro sulla creatività. Non che mi abbia svelato novità sconvolgenti, ma mi è bastato leggerlo per ricordarmi che la creatività esiste.

Non so voi, ma nel mio ambiente i creativi non abbondano; sì, lavoro per un’azienda di design, ma vi assicuro che questi creativi milionari non vengono a pranzo con me, banale impiegata: mi è capitato solo una volta di cenare accanto a Giovannoni, anni fa, ma non ha mai voltato la testa dalla mia parte; l’ha sempre tenuta girata dalla parte opposta, quasi da farmi pensare che avesse un torcicollo.

Se altri creativi ci sono, nel mio ambiente – tra parenti e amici – fanno di tutto per non darlo a vedere, quasi in una forma di pudore (e forse ha a che fare con la paura di rendersi vulnerabili).

Il fatto è che mi sembra di essere l’unica qui attorno ad avere un sacco di sogni, e quando sento parlare di creativi e creatività, mi illumino: chi crea lo fa perché sente che nel mondo (o a lei/lui) manca qualcosa.

Dai, è l’ultimo giorno dell’anno, lasciatemi che scriva qui i miei sogni, uno più irrealizzabile dell’altro (anche se, chissà, con una buona dose di creatività si potrebbe fare qualcosa):

  • cambiare lavoro e settore (magari passando nell’editoria, tra libri di narrativa e saggistica)
  • prendermi un gatto persiano
  • vivere sei mesi in un paese, sei mesi nell’altro (Costa Rica, Perth, Ottawa, Okinawa, Nuova Zelanda, Nuova Caledonia…)
  • avere una casa al mare (non a Caorle… pensavo a qualcosa in Florida)
  • avere molti amici tra scrittori e scrittrici
  • visitare un museo diverso alla settimana
  • diventare invisibile al bisogno
  • leggere nel pensiero
  • finire certi discorsi con certe persone
  • imparare a parlare in pubblico
  • essere più spigliata e meno introversa
  • imparare bene il cinese
  • studiare il giapponese (che mi servirà per quando abiterò a Okinawa)
  • camminare in una piantagione di té in Sri Lanka
  • buttarmi col paracadute
  • dimagrire come Adele (e magari imparare a cantare come lei)
  • Salvare le tigri e altre specie dall’estinzione (anche con mezzi estremi)
  • Diventare dittatrice d’Italia (e metterla a posto)
  • Abbondarmi dall’estetista
  • Dare uno schiaffo a chi se lo sarebbe meritato in passato
  • Creare qualcosa di decente con la tecnica del mixed media
  • Vivere da sola
  • Scrivere libri
  • Ragionare con i capi di stato che trattano male i propri cittadini
  • Scoprire se esiste l’aldilà
  • Parlare con degli extraterrestri e visitare i loro mondi
  • Scoprire come è nato l’universo
  • Capire cosa voglio davvero dalla vita.

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Belle Greene (Alexandra Lapierre) @EdizioniEO

Vincitore del Premio Comisso 2022 sezione Biografia

Un libro bellissimo: bella storia, ben scritto, ben documentato.

Tratta della vita di Belle Greene, bibliotecaria del finanziere miliardario J. P. Morgan, la donna più pagata all’epoca. E’ la storia di una passione, quella dei libri.

Belle Da Costa Greene in realtà era nata Belle Greener e proveniva da una famiglia di colore. Suo padre era stato il primo studente nero a laurearsi ad Harvard e il primo avvocato nero a cui fosse stato permesso di esercitare. Divenne anche il primo console di colore in missione all’estero (Vladivostok).

Un grande uomo, dunque, no?

Beh, anche io sono affascinata dagli uomini che si fanno avanti nel mondo a forza di studio e resilienza, ma si dà il fatto che il padre di Belle Greene nella vita privata fosse quel che si dice un farabutto. Lasciò la moglie per dedicarsi alla causa dei neri (nonché alle sue numerose amanti) e rifiutò categoricamente di aiutare la famiglia.

Geneviève, la moglie, si trovò a gestire da sola i figli. Come fare per garantire loro un futuro decente, senza dover lottare quotidianamente contro la povertà e le ingiustizie? Facendosi passare per bianca, approfittando del colore chiaro della pelle della sua famiglia (alcune figlie erano proprio bionde).

Si inventarono un lignaggio nobile di ascendenza portoghese, i Da Costa, e si trasferirono in un quartiere bianco, tagliando del tutto i ponti con la famiglia di Georgetown, che pure amavano. I figli giurarono solennemente che non avrebbero mai avuto una discendenza, per evitare che il colore scuro degli antenati potesse palesarsi in una delle generazioni successive.

Belle fin da piccola ha un sogno: lavorare con i libri e tra i libri.

Studia, raccoglie informazioni, osserva, fino ad arrivare a lavorare per il magnate J. P. Morgan, famoso tanto per la sua collezione di libri rari quanto per le sue sfuriate. Il rapporto è complesso: il miliardario è sospettoso di natura, deve esserlo, con tutti gli avvoltoi che gli volano attorno solo per i suoi soldi; ma si accorge subito della competenza e dell’energia di Belle, che, pian piano, diventa la donna più pagata d’America.

Si fida di lei: ad un certo punto, Belle ha carta bianca alle aste, può comprare senza limiti di spesa, eppure lei si comporterà sempre con attenzione e rispetto (guai a parlar male del signor Morgan in sua presenza!). Molto spesso rischierà grosso, soprattutto per trasportare opere d’arte e libri dall’Inghilterra all’America frodando le autorità doganali.

Morgan la inserirà nel testamento per un cospicuo legato, ma sarà, per tutta la durata del loro rapporto, un padrone esigente e tiranneggiante: arriverà al punto di dirle che non deve sposarsi!

Lei a sposarci non ci pensa. Non le mancheranno gli amanti, tutti di un certo livello: tra questi bisogna nominare Bernhard Berenson, famosissimo e richiestissimo critico d’arte, dal quale Belle assorbirà quanto più possibile della sua conoscenza, ma che farà anche il finto tonto quando lei, incinta, andrà ad abortire clandestinamente.

Il divieto di avere bambini sarà bellamente ignorato dalla sorella più giovane, Teddy. Il primo figlio nascerà senza conoscere il padre, che muore in Europa durante la prima guerra mondiale, e viene adottato da Belle, che stravede per lui.

Ma il segreto della famiglia è sempre in pericolo, soprattutto a causa del padre di Belle, che sarà una costante ombra minacciosa e che li ricatterà per motivi economici.

Io l’ho trovato un libro bellissimo e vorrei consigliarlo a tutti.

Ognuno di noi ha una paura che lo tiene incatenato dove si trova. Belle rischiava grosso facendosi passare per bianca: se l’avessero scoperta avrebbe perso il lavoro (con il quale aveva garantito un alto tenore di vita a tutta la famiglia) e sarebbe potuta andare in prigione. Eppure lei non si è fatta legare le mani: si è data da fare e ha esaudito il suo sogno.

Inspiring.

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Sono una lettrice lunatica? Moody booktag

1. Do you consider yourself a mood reader?

Un pochino sì, sicuramente più di qualche anno fa. Una volta sceglievo i titoli in base all’argomento o all’autore, era una scelta molto razionale: adesso, alla soglia dei cinquanta, voglio concedermi il diritto di sentirmi bene. Posso scegliere un romanzo d’avventura se sono annoiata, un saggio sul giornalismo d’annata se mi sento inutile, o un libro di Auster se ho voglia di scervellarmi. Credo però che le emozioni giochino sempre il loro ruolo, anche se magari si tratta solo del colore della copertina.

2. Do you set TBR lists and do you stick to them?

Assolutamente no. Mi chiedo quale libro leggere appena ho finito di leggere il precedente, e decido in base alla sensazione del momento. Una TBR mi farebbe sentire come in ufficio, con una lista di compiti da svolgere, e io leggo per piacere, non ho bisogno di altri obblighi.

3. Do books affect you emotionally?

Sì, ma per breve tempo. E contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, ad influenzarmi emozionalmente non sono i romanzi, ma certi saggi che mi fanno scoprire aspetti della realtà a cui non avevo fatto attenzione prima. Certe autobiografie, per esempio, mi ricordano che c’è gente normale, là fuori, che è partita con meno opportunità di me ed è arrivata più in alto di me, o che ha avuto il coraggio di vivere una vita fuori binario.

4. When you’re feeling sad, what do you read? (Or do you not read when sad?)

Non mi capita spesso di essere triste. Demotivata, a volte; senza prospettive, a volte; ma perché io sia triste, devono succedermi cose molto brutte. E in questi casi, di solito non leggo. Cerco di muovermi, uscire, correre sul tapis roulant. La tristezza non posso combatterla con un libro triste, perché la rafforzerei, e non posso combatterla con un libro comico, perché… non mi fanno ridere. Solo le persone possono farmi ridere, ho bisogno di osservare la mimica e sentire il tono della voce.

5. Most often, do you use reading to escape, to learn, or to critically reflect?

Dipende dal momento. Quando fuori dalla porta succedono eventi di portata mondiale, come una pandemia o una guerra, cerco di informarmi (perché di solito sono sempre molto ignorante, non ho la TV, non seguo i dibattiti, non guardo TG). La fuga dalla realtà tout court mi fa sentire in colpa, dunque cerco libri scritti bene ma che mi permettano comunque di pensare, o di riflettere, più in generale, sulla natura umana.

6. What is a book that made you laugh out loud?

Non ci sono libri che mi fanno ridere a crepapelle, ma alcuni mi fanno sorridere. Quello che sto leggendo adesso, ad esempio: “Mercanti di verità”, di Jill Abramson. Stava analizzando come gli algoritmi sono stati importanti per la diffusione dei siti di informazione online, ma ci sono temi dai quali non si può prescindere, perché tutti li seguono. Quale è uno di questi temi? I gatti. “Un concetto fin troppo ovvio, impossibile da ignorare”.

7. What is a book that has made you cry? Or, if you don’t cry, one that really moved you?

Così come un libro non mi fa ridere, allo stesso modo non posso piangere leggendo. Ma alcuni mi commuovono. Il libro del dottor Michihiko Hachiya, ad esempio, che ha raccontato la sua esperienza di sopravvissuto al bombardamento atomico di Hiroshima. Scritto con uno stile lineare (o almeno così sembra nella traduzione italiana), parla di sentimenti semplici, eppure universali.

8. What is a book that you didn’t even know how you felt about?

Ce ne sono diversi, di solito sono i best sellers italiani pluripremiati. Creano troppe aspettative.

9. Are you more likely to read on a sunny day or a cloudy day?

Che piove o che ci sia il sole, devo farmi la mia dose quotidiana di lettura, altrimenti a fine giornata sono nervosa. Se poi, in periodi particolari, non riesco a leggere per più di un giorno di fila, apriti cielo… ve lo do io il ciclo!

10. Do you usually “set the mood” when you read? Music, lights, smells, etc?

No. Posso leggere in una stanza da sola o nella sala d’aspetto di un medico o in treno o su un lettino in spiaggia. E’ il libro che definisce il mood.

11. Can you leap from book to book or do you need buffer time between them?

Non posso lasciar passare del tempo tra un libro e l’altro, ce ne sono troppi da leggere! Appena ne ho finito uno, metto la data e la firma, e mi fiondo davanti alla libreria a scegliere il successivo.

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La misura della felicità – Gabrielle Zevin

Il sottotitolo “Come una bambina insegnò a un libraio ad amare i libri” lascia un po’ perplessi, dopo aver letto il romanzo. In realtà, Maya, la bambina, insegna al libraio Fikry ad amare un po’ tutto, persone comprese; ma non c’è una parte del romanzo in cui lui “odi” i libri, dunque Maya non gli insegna molto, da questo punto di vista…

Ma ecco la storia. Fikry è un libraio di mezza età rimasto vedovo da poco. E’ diventato un misantropo: cinico e dalla battuta velenosa, non è ancora alcolizzato ma non tralascia di ubriacarsi una volta alla settimana per permettersi di sognare meglio la moglie morta.

Dopo uno di questi eccessi alcolici, si accorge che qualcuno gli ha rubato un libro raro, il Tamerlane, scritto da un diciottenne E.A. Poe e stampato in soli cinquanta esemplari. Era l’unico oggetto di valore in suo possesso, qualcosa che gli avrebbe permesso di vendere la libreria e andare in pensione.

Il giorno dopo il furto, Fikry trova una bambina di due anni nella sua libreria: il biglietto che ha con sé è stato scritto dalla madre, che si dichiara disperata ma desiderosa che la figlia cresca attorniata dai libri.

In America le adozioni non vanno per le lunghe come da noi, e Fikry diventa… padre.

Ma chi è Maya? Sua madre viene ritrovata pochi giorni dopo morta sulla spiaggia: presunto suicidio. E il padre?

Non è un giallo, questo. Scivola più nel genere rosa, quando Fikry si innamora di una rappresentante e i due si sposano. Tuttavia, un lato “giallo” si scorge proprio sulla vicenda del Tamerlane e del padre di Maya… ma non vado oltre, sennò vi rubo il gusto di leggerlo.

Il romanzo è leggero (non spiacevole, dipende da cosa cercate e dal momento in cui lo leggete), ma, con una pila di libri in copertina e avendo un libraio come protagonista, mi sarebbe piaciuto che si parlasse più di letteratura… Si parla di libri, sì, ma poco, rispetto alle aspettative create. Gli apporti più numerosi sono quelli all’inizio di ogni capitolo, presentati sotto forma di note che Fikry scrive alla figlia (note che lasciano capire già a metà libro come finirà la storia).

Ad ogni modo, la copertina e il sottotitolo sono scelte editoriali, e non posso farne una colpa all’autrice.

E’ un romanzo leggero anche perché non indugia sui drammi: ci sono molti dialoghi, ma niente di sentimentale; piuttosto, un umorismo bonario, di quelli che ti fanno sorridere perché ti piacerebbe davvero prendere la vita come fanno i personaggi della storia.

Valutazione complessiva: 3,5 punti su 5.

Nella vita, quasi tutte le cose negative sono frutto di una tempistica sbagliata, e tutte le cose positive sono frutto di una tempistica giusta.

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Come leggere più libri

A volte mi chiedono come faccio a leggere così tanto, così lo scrivo qui una volta per tutte.

Ricordiamoci però che la lettura non è una gara, e leggere non vi renderà né più fighi né più ricchi né più simpatici: anzi, se tirate in ballo un argomento di lettura, di solito ci fate pure la figura dei so-tutto-io, dunque leggete, se vi va, ma (shhh!) non ditelo in giro…

Voglio confrontarmi con questo video, dove Ruby Granger – una youtuber amante della lettura – spiega come è riuscita a leggere 102 libri in un anno.

Come primo consiglio, ci dice, bisogna fissare un orario per la lettura: non fa per me. Non ho bisogno di scalette e obblighi autoimposti. Passiamo oltre.

Secondo consiglio: darsi degli obiettivi, magari utilizzando dei segnalibri adesivi e stabilendo fino a che pagina arrivare un determinato giorno. Neanche questo fa per me, vedi sopra.

Terzo consiglio: sfruttate i viaggi e le attese. Come darle torto? Non posso leggere mentre guido, ma ho sempre un libro in macchina o in borsa, e, appena si chiudono le sbarre del passaggio a livello, lo tiro fuori; idem quando sono in coda dal dottore, o quando aspetto che il bambino esca dalla piscina o da scuola.

Che mio marito non venga mai a saperlo, ma leggo anche quando cucino: soprattutto il risotto. Insomma: stare davanti alla pentola a mescolare è uno dei lavori più barbosi che ci siano in giro, dunque con una mano mescolo e con l’altra tengo il libro. Non capita di rado che mi dimentichi di continuare a girare il cucchiaio e che il risotto si attacchi, ma, insomma, si elimina lo strato di riso bruciato, e… voilà!

La Granger consiglia anche gli audiolibri: non ne è una fan, ma la aiutano a sfruttare tutto il tempo che altrimenti andrebbe sprecato. E’ un suggerimento sul quale sorvolo: l’ascolto non mi dà lo stesso piacere della lettura vera e propria, tanto più che la mia memoria è prettamente visiva, dunque dimentico più facilmente quello che mi entra dalle orecchie rispetto a quello che mi entra dagli occhi.

L’ultimo consiglio della Granger è leggere ciò che ami.

Più in generale, credo sia questo il segreto di chi legge tanto: A ME PIACE LEGGERE, e il tempo lo trovo, a volte non so neanche io come: semplicemente, salta fuori tra il lavoro part-time, la scuola, il catechismo, i rientri, le malattie e lo sport del figlio, la gestione della casa e della famiglia e degli amici..

Invece faccio fatica a trovare il tempo per lavare le tende, pulire il bagno, spazzare i pavimenti, cucinare la lepre in salmì, potare le rose (ne ho?), spolverare, stendere i panni… davvero, non so come facciano le altre, ma per queste attività ho solo pochi minuti alla settimana (ergo, siete tutti i benvenuti a casa mia, ma vi prego: chiamatemi almeno mezz’ora prima di arrivare!!).

C’è anche da dire anche che ci legge molto, legge più veloce: è un topo (di biblioteca) che si morde la coda.

Ah, dimenticavo: non ho la TV.

Quando lo dico, la gente in genere commenta: bè, sì, io ce l’ho ma non la guardo mai.

Sicuri?

Sicuri, sicuri?

Ma proprio stra-sicuri sicurissimi?

Appena ho dieci minuti liberi, tiro fuori un libro e leggo (e se uno non ha dieci minuti liberi in una giornata, non ha una vita). Se non mi capita di trovarli nel quotidiano, vado a letto più tardi. A volte, se un libro mi piace, mi alzo prima al mattino (e leggere al mattino, senza nessuno tra i piedi, è uno spasso).

A chi non piace leggere, questo può sembrare un disturbo compulsivo.

I disturbi compulsivi, se non erro, sono sintomi che alleviano il malessere.

E sia.

La lettura mi allevia il malessere

Mi fa stare bene.

Mi rilassa.

Mi piace!

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Libri in fuga, André Schiffrin @volandedizioni

Che bella vita, quella di Schiffrin.

Figlio di un intellettuale russo, ha continuato il mestiere del padre, quello di editore. Ma non un editore come quelli che abbiamo oggi in giro: padre e figlio credevano nella capacità dei libri di cambiare le idee della gente. O, almeno, di far sì che la gente si ponesse delle domande, o che mettesse in dubbio le versioni ufficiali fatte girare dal governo e dalla stampa di regime.

Allo scoppio della seconda guerra Mondiale, la famiglia Schiffrin riesce, dopo molti tentativi andati a vuoto, a scappare negli Stati Uniti. E’ qui che Andrè cresce, come uno studente americano, anche se sui generis: quando, a partire dai 13 anni, scopre quanto è interessante la politica di quel periodo, non smetterà più di occuparsene.

Vicino alle idee riformiste di sinistra, finirà spesso nel mirino dell’FBI e della CIA, soprattutto durante il maccartismo: è interessante l’analisi che fa della società in quel periodo e delle conseguenze che tale paura strisciante farà ricadere fino ai giorni nostri.

In questa autobiografia parla anche dell’antisemitismo e delle università americane ed inglesi (studierà due anni a Cambridge); ma parla soprattutto della sua attività di editore, prima presso la Pantheon e poi, quando la Pantheon viene fatta fuori dalle strategie del profitto, presso la New Press.

Nelle ultime pagine si sente tutta la sua nostalgia per i bei tempi andati in cui gli editori facevano il loro mestiere, quando le case editrici non erano parte di enormi e fagocitanti gruppi orientati al solo profitto (solo un dato: all’inizio degli anni Cinquanta a New York c’erano 350 libreria, dieci volte più di oggi).

E poi, cita una miriade di intellettuali che ha conosciuto di persona: non solo Gide, gran amico di suo padre, ma anche Chomsky, Sartre, De Beauvoir, Leonard Woolf, Hobsbawm, Amartya Sen e molti altri.

Non mancano le stoccate al “nostro” Berlusconi e a Bush:

L’indipendenza dell’editoria è stata duramente limitata quando è diventata proprietà di grandi gruppi. Ci sono voluti due anni prima che grandi case editrici iniziassero a pubblicare libri che denunciavano le menzogne dell’amministrazione Bush, e molti di questi titoli sono diventati dei best seller. Sono convinto che se la stampa e le case editrici lo avessero fatto da subito, Bush non avrebbe portato il paese alla disastrosa guerra irachena.

La libertà della stampa è importante. Non ce rendiamo conto, ma influenza le nostre vite: pensiamo al caso sopra riportato della guerra irachena…. ragazzi: una guerra! Si poteva evitare. Così come si potrebbero evitarne altre se l’opinione pubblica si informasse e leggesse vere informazioni e veri approfondimenti.

Invece siamo inondanti da riviste di gossip e cacche varie, da TG che parlano in tono pietoso di cani abbandonati e, subito dopo, di veline e calciatori; e, poi, da libri ad alta diffusione e basso prezzo che trattano di storielle a lieto fine e improbabili serial killer. Stiamo copiando il peggio dell’America.

 

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Serata di letture e musiche a Giai di Gruaro (VE)

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Non ci pensavo proprio a leggere in pubblico. Mi ero iscritta al corso per via della dizione, perché un po’ di sicurezza nell’esprimermi poteva farmi bene. E invece mi son ritrovata ieri sera a leggere davanti a una saletta piena di gente che osservava me e i miei intrepidi compagni. Anzi, peggio: quella era gente che non si limitava ad osservare: quelli ascoltavano!

In una stanza si erano riunite due attività ormai rare: la lettura e l’ascolto. Non era più una stanza, ma uno scrigno, impreziosito dall’intimità dignitosa di Villa Ronzani di Gruaro.

Il tema delle letture era il rapporto uomo-donna, nelle sue sfumature ironiche, romantiche, tragiche, passionali e poetiche. Abbiamo viaggiato tra tanghi e donne licantropo, dal Giardino dell’Eden all’era post-tecnologica; ci siamo destreggiati a scansare cucchiaiate di ragù e abbiamo sussultato nell’udire dei passi a lungo attesi, ma solo quando non eravamo impegnati ad innamorarci di prosperose quanto volubili cassiere… Il tutto con il sottofondo musicale della chitarra di Marco Pasian.

Quale agenzia di viaggi può offrire una tale gamma di esperienze nel giro di un’ora di orologio?

Ringraziamo la nostra insegnante Bianca Manzari, che ha infuso in questi mesi di corso non solo la sua conoscenza, ma anche la sua passione per la lettura ad alta voce.

E mi auguro che occasioni del genere si moltiplichino nei paesini dell’industrializzato Nordest, in modo da risvegliare in un sempre maggior numero di persone l’amore per le storie e i libri. Perché, poi, quando ci sono eventi del genere, la gente si muove. L’ho visto l’autunno scorso col primo mini festival letterario di S. Stino di Livenza.

C’è un diffuso bisogno di uscire dalla banalità di una partita doppia, dal grigiore delle tende da candeggiare, dalle nozioni coatte dei social, dalla monotonia delle vetrine dei centri commerciali.

L’Associazione Accordi ha ventilato l’ipotesi che questo primo corso di lettura ad alta voce sia lo spunto per la creazione di un gruppo permanente.

Chissà…

 
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Ho sposato una vegana – Fausto Brizzi

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Da vegana al 98% dico subito che questa Claudia è una straccia-organi-genitali da evitare come la peste. Poi ci meravigliamo che gli onnivori si mettono sulla difensiva. Una terrorista del genere dimostra intelligenza pari a -100, perché non ha ancora capito una mazza di come funziona la psicologia umana, italiana in particolare.

Siamo convinti che l’alimentazione vegana (o almeno tendenzialmente tale) sia la migliore per l’ambiente e il corpo? E allora non puoi divulgarla come fa questa signora, perché questa non si chiama divulgazione: si chiama mettere le persone sulla difensiva. Anche quelle che sarebbero disposte ad ascoltare quanto male fanno la carne e i latticini.

I miei complimenti a Fausto Brizzi per la sua pazienza (rinforzata certo dal fatto che la sua salute e il suo livello di energia sono migliori, quando segue una certa linea alimentare, come lui un po’ a malincuore ammette).

Gli estremi vanno sempre evitati. Sempre. Non ci si può arrabbiare come ha fatto Claudia se il gatto del vicino attacca una lucertola e il Pronto Soccorso Animali Esotici ti sbatte il telefono in faccia perché si è rifiutato di intervenire (vi prego, ditemi che questo episodio è inventato).

Rimanendo nell’ambito alimentare, lo dico, dopo aver letto libri e libri in materia, di tutte le correnti (vegane, onnivore, crudiste, mediterranee, low-fat, high-fat, alto contenuto proteico, basso contenuto proteico, senza glutine, alto contenuto di carboidrati, digiuno, Kousmine, Gerson, pescivori, PH alcalino, gruppi sanguigni, China Study, McDougall, Esselstyn, Pollan… e tanti, tantissimi altri): NON esiste la certezza assoluta (non esiste!) che l’alimentazione vegana TOTALE sia la migliore per l’essere umano.

Dunque, ognuno si regoli per conto suo. Questo significa: INFORMARSI. LEGGERE. ANCHE DISCUTERE.

Ma non rompere le palle. Non far terrorismo psicologico. Non indignarsi se uno ha la Nutella in casa. Non mettersi a piangere se il gatto ha ucciso una lucertola.

Di questi vegani qui, il veganesimo può far a meno.

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