Gargano, 1938.
Sofia ha tredici anni. La chiamano Vermitura, che in dialetto significa chiocciolina, perché è lenta, soprattutto in matematica, non capisce i numeri (oggi si direbbe che soffre di discalculia). Ha però un rapporto tutto suo con le parole, le vede davanti a sé, riconosce il loro valore e la loro potenza, tanto da non pronunciarne alcune perché le rispetta troppo.
Ma siamo in pieno periodo fascista e questa sensibilità non viene apprezzata, anzi.
Sofia vive in una masseria col padre e quattro fratelli. Il padre si è vantato di fare solo figli maschi, finché non è nata lei.
Quando si sposa il figlio più giovane, Angelino, si porta in casa la moglie, Caterina, e assume il diritto di dormire con la donna nella camera dove si fanno i figli. Solo che i figli non arrivano: e questo è un grave stigma per la famiglia, tanto da portare a conseguenze estreme.
La storia di Sofia si intreccia con quella – vera – di una comunità di San Nicandro, un paese poco lontano, dove un reduce della prima guerra Mondiale, Donato Manduzio, dopo aver imparato a leggere sulla Bibbia, ha convertito i compaesani all’ebraismo.
Nel 1938. Quando vengono emanata le leggi contro gli ebrei…
Di questo libro si apprezza lo stile, ricco di metafore e similitudini; il fascino ambiguo che hanno le superstizioni sugli esseri umani; ma anche la personalità di Sofia, che vive sottomessa alla cultura patriarcale, fino al momento in cui avrà la possibilità di affrancarsene, anche se lo farà a modo suo.
Un modo che io non capisco, ma io mi trovo nel 2024, nella Pianura Padana, e ho difficoltà a capire tante cose (forse ho una leggera forma di Asperger, pensa te, a cinquant’anni dovevo scoprirlo…).