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Tommaso Avati ha presentato il suo ultimo libro a S. Stino di Livenza (VE)

Ho davvero dovuto vincere la mia pigrizia ieri sera, per andare in Municipio ad assistere alla presentazione di “La ballata delle anime inutili”, ma non potevo perdermela. Il libro, edito da Neri Pozza, è uscito l’anno scorso e, a giudicare dalle classifiche di vendita, piace.👏

Il romanzo è ambientato nel Gargano nel 1938. La protagonista è la tredicenne Sofia, unica figlia di un padre padrone: la chiamano Vermitura, che in dialetto significa “chiocciolina”, perché è lenta, non riesce a farsi entrare i numeri in testa. Con le parole, però, è un’altra storia…

La vicenda di Sofia si intreccia con gli avvenimenti realmente accaduti a un personaggio storico, Donato Manduzio, un contadino che, nel bel mezzo dell’ondata antisemitica e delle leggi razziali, riesce a convertire il suo paese, San Nicandro, all’ebraismo… con le conseguenze che possono derivarne.

Quando Tommaso Avati è entrato, la mia primissima impressione è stata di trovarmi davanti a una persona cupa, controllata, pensosa. La barba toglie sempre un po’ di allegria alle facce e anche questa volta mi ha indotto in errore.

Nel corso della serata si è rivelato come un uomo aperto allo scambio di idee, forse un po’ timido, ma con una dose di coraggio che gli ha permesso di parlare anche di problemi personali che gli hanno reso la vita difficile per molto tempo. Insomma, è piaciuto anche a mio marito, che ho trascinato alla presentazione minacciandolo di non cucinargli più le mie famose ricette.

O forse lo ho minacciato di cucinargliele più spesso? Boh, non ricordo.😈

Interessante l’evoluzione della carriera di Avati. Inizia come sceneggiatore accanto al padre Pupi, ma ben presto si accorge che il mondo del cinema non gli offre la libertà di cui sente il bisogno: le sceneggiature sono fortemente influenzate dal ragionamento economico, e poi quasi mai si scrivono da soli, bisogna tener conto dei desideri del produttore o mediare le proprie idee con quelle degli altri sceneggiatori.

Quando ha iniziato a scrivere romanzi, invece, si è subito accorto della libertà che offrivano.

“E’ questo che voglio fare!” ha detto.

Il romanzo affronta diversi temi, lui ce ne ha presentati un paio.

La questione femminile: la scelta è legata in qualche modo al libro precedente, che parlava di tre donne con problemi di sordità. Una volta posata la penna, si è accorto che non aveva sviscerato abbastanza il tema delle donne nel Novecento e così ha iniziato a prendere forma il personaggio di Sofia.

Ma è ancora più curioso il modo in cui Sofia si è sviluppata sulla carta. Questa ragazzina ha delle caratteristiche strane. Innanzitutto, attribuisce una grandissima importanza alle parole: per lei una parola non ha mai un solo significato, il suo contenuto può cambiare, e alcune parole sono così enormi da non poterle pronunciare mai. Inoltre, quando entra in casa, bacia la porta.

Ebbene, solo dopo aver sviluppato questi piccoli tic, l’autore ha scoperto che entrambi i comportamenti sono tipici della cultura ebraica. Ed è qui che è scattato il collegamento con una storia che aveva sentito decenni prima: la storia di Donato Manduzio (la questione ebraica, il secondo tema di cui ci ha parlato).

I giri che fa la creatività sono proprio affascinanti…

Alle presentazioni dei libri si impara sempre qualcosa di nuovo.

Per esempio…

Avati ha fatto naturalmente le sue ricerche per affrontare gli argomenti del romanzo e ha scoperto che quando in Italia esisteva il vero patriarcato, nel secolo scorso, di femminicidi quasi non ce n’erano, i numeri non erano neanche paragonabili a quelli di oggi. Non vuole essere una difesa del patriarcato, ma fa pensare: quando la donna rompe un ordine precostituito, per quanto pesante e opprimente, il numero dei femminicidi aumenta.

Insomma, sono contenta di aver sconfitto la mia pigrizia serale essere uscita di casa.

L’autore non ha avuto timore di ammettere certi dubbi e idiosincrasie personali, e di parlare dei suoi problemi di sordità con la sofferenza che ne è derivata.

O forse ce l’ha avuta, un po’ di paura.

Ma solo se c’è paura ci può essere coraggio.

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