Aristotele detective (Margaret Doody)

Stefanos, un giovane brillante ma squattrinato e orfano di padre dell’Atene del IV secolo, si ritrova a dover difendere un cugino dall’accusa dell’ omicidio di un ricco oligarca.

Sembra facile, perché il cugino, apparentemente, è all’estero da anni, ma l’esistenza di un precedente omicidio a lui imputato e la rete di interessi misteriosi che ruota attorno al morto, ingarbugliano tutta la storia, tanto che Stefanos ricorre all’aiuto del suo vecchio maestro, Aristotele.

Il metodo di Aristotele consiste nel raccogliere informazioni sul morto, magari ricorrendo a qualche piccolo travestimento. Stefanos si ritrova così vestito da contadino tra le stradine del porto, e scopre che questo cittadino modello, alla fine, tanto modello non era.

Lo stile di scrittura è molto lineare: seguiamo Stefanos nei suoi andirivieni fisici e mentali, e nel frattempo gettiamo un’occhiata sull’Atene del tempo, sulle sue consuetudini e sui suoi arredi interni ed esterni. Si intuisce che, come nel giallo classico, ogni dettaglio sarà importante per risolvere il mistero, e si riconosce un’ottima conoscenza della quotidianità di allora da parte dell’autrice, insegnante di letteratura comparata in Canada.

Manca però un po’ di sfumatura psicologica.

I personaggi sono un po’ stereotipati e Stefanos alterna stati emotivi piuttosto basilari.

Insomma, sarà che sono fuori dalla scuola da un bel po’ e che non mi interesso più delle guerre tra greci e persiani, ma mi avvalgo del diritto di sospendere la lettura a pagina 138 (su 449).

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