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Dio, una storia umana – Reza Aslan @rizzolilibri

Un libro che è al tempo stesso un ampio resoconto di storia delle religioni e un personale percorso spirituale.

Aslan parte dagli inizi, da come l’uomo ha creato la religione, parla del bisogno di spiegare e ingraziarsi i fenomeni naturali, dell’innata credenza nell’anima separata dal corpo, e dell’incremento del pantheon degli Dei in varie parti del mondo, per arrivare alla fine (ma non dappertutto) al concetto di unico Dio.

Aslan ci dice che Dio è a nostra immagine, ed è ovvio: Come ci si può immaginare Dio se non lo si associa a qualcosa che già si conosce? Cosa si conosce meglio di se stessi? Ma dare agli dei i nostri stessi vizi e virtù, può risultare controproducente, a volte ottiene effetti ridicoli, ed ecco, nei secoli, sollevarsi l’esigenza di un Dio unico, che ricomprenda in sé tutti gli aspetti dell’umano.

Il monoteismo (che è diverso dalla monolatria) ha fatto una fatica bestia a farsi accettare: la gente semplice non lo comprendeva, non riusciva a concepirlo proprio. Il primo tentativo di monoteismo è sorto in Egitto, nel 1300 a.C, ed è finito male, col popolo che ha distrutto le statue del faraone che ha provato a imporlo. Il secondo tentativo di monoteismo è arrivato dalla Persia (l’attuale Iran) con Zoroastro, e anche lui, col suo Ahura Mazsa, ha ottenuto pochissimo successo: pensiamo che nei primi dieci anni della sua predicazione è riuscito a convertire solo un suo cugino…

Un monoteismo più duraturo lo mettono in piedi gli ebrei, anche se la storia non è così granitica: gli ebrei all’inizio erano politeisti. Se alla fine optano per un Dio unico, lo fanno dopo il primo esilio, scegliendo Jahvè (che tuttavia per un pezzo farà fatica a distinguersi da El/Elhoim), più per bisogno di unità che per motivi spirituali.

A quel tempo non si fronteggiavano solo gli eserciti, ma anche gli dei: nello scontro Jahvé-Marduk, aveva vinto quest’ultimo. E gli israeliti non sapevano spiegarselo… perciò si son detti: ma certo, abbiamo perso perché non ci siamo dedicati al vero Dio, Jahvè, ma abbiamo adorato anche gli altri…

Ecco perché Jahvè si definisce Dio geloso: per giustificare la sconfitta contro i babilonesi! Così, una volta fatti schiavi e mescolati a decine e decine di altre etnie, si sono stretti attorno al Dio prescelto: facendo questo, hanno potuto continuare a riconoscersi come popolo.

Ciò non significa che tutti gli israeliti venerassero davvero solo un dio, e il racconto del vello d’oro è significativo in questo senso: era un tentativo di tornare agli dei originali mentre Mosè (di cui non abbiamo tracce archeologiche, e che viene nominato solo nella Bibbia) andava a prendere le tavole della legge.

Con l’avvento del cristianesimo i casini sull’unità/trinità di Dio aumentano e non di poco: se si arriva a una conclusione univoca, è perché si dice: “E’ così, è per fede”, e si chiude la questione.

Aslan fa degli interessanti parallelismi tra nascita del monoteismo e nascita di un sistema morale (prima la religione non si interessava di moralità vera e propria, non c’erano sistemi di punizione/premiazione post-mortem).

Trovo interessante anche i tentativi messi in piedi dalle varie religioni per giustificare ognuna la propria visione di Dio: di chiacchiere ne hanno fatto non sono i nostri (marcioniti, agnostici ecc…) ma anche i mistici/religiosi altrui (sufi ecc…).

E’ un libro che affronta molti tempi ma in maniera semplice, adatta anche ai non-specialisti. C’è un punto in particolare che mi ha fatto sorridere.

Quando Mosè parla con Dio al roveto ardente, Dio gli si presenta come Jahvè, il dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Ma, dice Aslan, Abramo, Isacco e Giacobbe non sapevano neanche chi fosse, ‘sto Jahvè, perché loro adoravano, tra gli altri, El, non Jahvè!

La storia delle religioni è affascinante perché le religioni si impongono a dispetto di tutto, specie a dispetto della loro mancanza di vantaggio evolutivo: Aslan menziona Durkheim, Freud e altri, per elencare i motivi possibili di questo successo planetario, ma non si giunge mai a una conclusione univoca.

Un sola cosa sembra chiara: l’idea che siamo anime incarnate è universale ed è sempre esistita. Non si sa da dove arrivi questa idea, si sa solo che c’è sempre stata.

Affascinante.

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Le lacrime di Nietzsche, Irvin D. Yalom @NeriPozza

Bel libro: mi sento di suggerirlo a tutti gli amanti dei romanzi, non solo a chi si interessa di psicanalisi e filosofia.

Yalom, psichiatra e scrittore, parte dai dati anagrafici, reali, di personaggi storici (Nietzsche, Lou Salomè, Breuer, Sigmund Freud…) per farne un romanzo di fantasia, ma senza mai allontanarsi dalla verosimiglianza dei caratteri per quanto se ne può trarre da testi e testimonianze scritte; tranne forse nel caso di Lou Salomè, che difficilmente si sarebbe sentita in colpa per aver rifiutato di sposare Nietzsche, almeno al punto da ricorrere a un medico per aiutarlo. Ma non c’è rischio di confondere fantasia e realtà, perché l’autore alla fine ci spiega cosa ha inventato e cosa no.

Le malattie (o la malattia) di Nietzsche sono un mistero clinico difficile da svelare. Breuer, nel romanzo, dandone un’interpretazione, quasi giunge a una forma di guarigione: e se non ci giunge del tutto, questo dipende da Nietzsche. Ma non posso dirvi di più, altrimenti svelo troppo.

Quello che posso dire, è che nel romanzo è ben delineata l’amicizia che nasce tra il filosofo e il medico, nonostante i blocchi emotivi di entrambi; e sebbene il rapporto medico-paziente venga rivisto in modo originale – ribaltato, direi –  alla fine entrambi riescono a imparare qualcosa su se stesso e sull’altro. Merito della logoterapia, la terapia della parola, che riesce non sono a creare un’amicizia, ma anche a farci conoscere personaggi storici nel loro carattere, nei loro pregi e difetti (perché, diciamolo, Nietzsche aveva dei problemi con le donne…).

L’insegnamento generale che ne ho ottenuto, però, non è tanto nozionistico: non gira attorno alla storia del pensiero o della filosofia. L’insegnamento che si ottiene da questo libro è che nella solitudine non si guarisce.

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