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Sulle madri lavoratrici: “La ragazza dell’altra riva” (Mitsuyo Kakuta)

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(Mi trovo nella fase delle letture orientali…)

Romanzo ambientato ai giorni nostri: i problemi incontrati dalle due protagoniste sono anche molto occidentali; ad essere diverso, però, è il modo in cui entrambe reagiscono a tali problemi, che è prettamente orientale.

Sayako, trentacinquenne, decide di rientrare nel mondo del lavoro, dopo esserne uscita a causa della nascita della figlia. Trova un posto in una ditta di pulizie: è un’attività estenuante e la sovrintendente è scorbutica, ma Sayako si accorge che uscire di casa le fa bene, parla di più con le persone, è più aperta ed ha più fiducia in se stessa.

Instaura inoltre un bel rapporto con la titolare, Aoi, sua coetanea, ma dal carattere molto più aperto e positivo del suo.

Ho trovato molto verosimile la descrizione delle difficoltà incontrate da Sayoko, una donna con famiglia a carico che decide di lavorare.

I familiari non la appoggiano: il marito, contrario al fatto che la moglie lavorasse fuori casa, fa commenti sprezzanti, senza mai alzare una mano per aiutare. La suocera critica in continuazione. Sayoko stessa prova molti sensi di colpa nei confronti della figlia.

Altri problemi incontrati da Sayoko sono simili ai nostri: le liste d’attesa agli asili, i rapporti con la suocera, i pettegolezzi sul posto di lavoro, i mariti che non aiutano, l’attenzione all’economia domestica, i gruppetti delle mamme, la preoccupazione che i figli non si integrino coi compagni…

Poi ci sono le difficoltà specificatamente giapponesi, ad esempio, il fenomeno del bullismo scolastico, che è spesso collegato a quello dei suicidi adolescenziali.

Molto “giapponese” è anche la reticenza a esprimere i propri sentimenti.

Aoi, ad esempio, ha alle spalle una storia pesante: da giovane si era molto legata a un’amichetta; assieme a lei aveva anche tentato il suicidio lanciandosi da un palazzo, ma dopo essere scampate entrambe alla morte, si sono perse di vista. Ebbene, Aoi non riesce ad esprimere la sofferenza che ha provato dopo la sparizione dell’amica. Se è costretta a scambiare due parole sull’argomento con Sayoko, lo fa scherzandoci su. Non si apre, è sulla difensiva, ha paura di soffrire ancora.

Anche in questo libro, come in quello di Yu Miri (v. post precedente), i protagonisti cercano di mostrarsi sempre allegri e di non far trapelare tristezza o rabbia. Tale ritrosia ostacola la costruzione di un vero rapporto tra due persone e, ovviamente, genera solitudine: è uno dei motivi per cui i suicidi giovanili sono così diffusi.

294 pagine, ma lette in tre giorni: non perché ci siano avventure all’Indiana Jones (non ci sono neanche gran colpi di scena), ma proprio per questo senso di “mal comune mezzo gaudio” che ho provato davanti alle esperienze di una mamma lavoratrice, di questa donna altamente insicura di sé che accetta il rischio di rimettersi in gioco, nonostante le difficoltà.

Dà speranza.

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