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Yoga giapponese

“Japanese yoga” di H. E. Davey

Sebbene stia praticando yoga indiano, la cultura giapponese mi affascina ancora, è per questo che ho letto questo libro.

Lo yoga giapponese (shin-shin-toitsu-do, la via dell’unificazione tra corpo e mente) è stato introdotto nel paese del Sol Levante da Nakamura sensei. Come molti orientali che hanno approfondito la ricerca sul corpo-mente, anche Nakamura aveva problemi di salute, che poi ha risolto tramite la pratica di questa disciplina.

E’ partito dallo yoga indiano, e poi ha personalizzato la disciplina, cercando di tener conto della vita occidentale moderna, in cui le sessioni di meditazione non possono durare ore. Davey infatti insiste molto sull’applicazione dell’unificazione corpo-mente nella quotidianità, sul rilassamento in ogni momento della giornata, ma anche su tecniche di autosuggestione (es. frasi da ripetersi davanti allo specchio poco prima di addormentarsi, quando il subconscio sta per prendere il sopravvento sulla veglia).

Ne risulta una disciplina variegata, che comprende anche tecniche di automassaggio e stretching.

Ovviamente, come tutti i tipi di ricerca interiori, non basta leggere il libro, bisogna applicare l’esperienza su se stessi in modo graduale ma continuativo.

Frequenti i rimandi al ki: non a caso molti degli studenti di shin-shin-toitsu-do erano aikidoka (Nakamura sensei conosceva Ueshiba). Ma anche ad altre arti giapponesi, i Do (o michi): bushido, shodo, composizioni floreali…
Tutte forme di arte.

Ecco forse una parola che può andar bene come sinonimo di arte: consapevolezza.
La consapevolezza che ci vuole per tenere un pennello in mano, ma anche per meditare davanti a una candela o… per restare sotto un pastrano, chiuso una settimana in una stanza insieme a un coyote, come ha fatto Beuys, o per ballare, o per comporre una sinfonia…

(…) to express ourselves skillfully with maximum efficiency and minimum effort, we need to investigate the most effective ways of using the mind and body since, in the end, they are the only “tools” we truly possess in life.

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Yoga: amore e meditazione, Osho

Questo testo è l’ultima parte del commento di Osho al secondo libro dei Sutra dello yoga di Patanjali.

Ma non parla solo di yoga, perché l’accezione di yoga è molto più ampia dello stare seduto o sdraiato in meditazione.
Per esempio parla dell’egoismo: è bene essere egoisti. Bisogna essere egoisti, puntare al sé, per riuscire ad abbandonare l’ego.
Parla dell’intelligenza, che intende come consapevolezza, come osservazione della mente e la contrappone alla stupidità:

La stupidità è una sorta di sonno, è una profonda inconsapevolezza: fai le cose senza conoscerne il motivo: Resti invischiato in mille e una situazione senza sapere perché; procedi nella vita in uno stato sonnambolico.

A voi non capita mai? A me sì, in questo periodo. Il mio primo atteggiamento è quello di dare la colpa agli altri, alle persone che, volente o nolente, frequento. Ma non è questo il punto. E’ che sono stupida. Ci sono due tipi di stupidità: la stupidità erudita e la stupidità non erudita. Voi a quale appartenete?

Il libro parla anche di pulizia interiore. Come ottenerla? Col digiuno, per esempio: se siete intasati di tossine industriali e carne di animali ammazzati. Ma anche con una dieta vegetariana, e, ovviamente, con lo yoga.

Tocca diversi argomenti, con un approccio-shock, a volte. Per esempio: in India venerano Gandhi. Ebbene, Osho non ne parla mica in termini così entusiastici, sapete?
E poi parla del matrimonio:

Esiste un solo tradimento: quello verso la propria vita. Non ce ne sono altri. Se continui a vivere con una moglie possessiva e assillante, o con un marito privo d’amore, stai distruggendo l’opportunità che ti è stata data

Ehi, andateci piano, voi insoddisfatti del matrimonio: la frase, estrapolata dal testo, potrebbe sembrare un lasciapassare all’abbandono del tetto coniugale, ma è meglio leggere tutto il libro prima di compiere passi azzardati…

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