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La cugina Bette (Balzac)

La cugina Bette è una zitella poco attraente che cerca di portare alla rovina la sua famiglia per pura invidia.

Invidia, infatti, la bellissima cugina Hulot, che continua a vivere nel lusso, anche se un po’ vecchiotto, perché non dispone più di mezzi economici sufficienti. La cugina Hulot ha un solo pensiero in testa: quello di far sposare bene la bellissima figlia Hortense. Ma è difficile senza fornirla di una dote decente. Non solo: la cugina Hulot sa delle scappatelle del marito, gliele perdona, e addirittura arriva al punto di dargli dei consigli per vivere meglio queste storie. E’ assolutamente inverosimile come donna: riverisce il marito come una schiava ed è felice se lui è felice (non importa cosa faccia per raggiungere questa felicità).

La cugina Bette vive in modo spartano e cerca di risparmiare il più possibile sui suoi magri introiti di sarta, eppure riesce ad aiutare anche economicamente un giovane conte espatriato che si è dato all’arte scultorea. Il rapporto che ha con questo ragazzo, molto più giovane di lei, è di sopraffazione travestita da altruismo: gli ha salvato la vita quando lui ha cercato di suicidarsi, ma ora cerca di fargli fare quello che vuole lei, facendolo sentire in colpa quando devia dai suoi desideri.

Ma il sogno di tenerlo per sempre sotto la sua ala protettrice si infrange sulle mire della giovane Hortense, che si innamora del conte ancora prima di vederlo, solo dai discorsi che ha sentito da Bette. Hortense mette in pratica un piano per accalappiarselo di nascosto e per fargli affidare dei lavori che lo rimettano in carreggiata.

Il marito della bellissima cugina Hulot, poi, è un libertino di prima categoria: se la sua famiglia è così ridotta sul lastrico, è anche colpa sua, che butta i soldi ai quattro venti pur di far contente le sue costosissime amanti. Quando viene lasciato dall’ultima sua donnina, che se ne è andata con uno più ricco, decide di abbassare le proprie mire, e si dà da fare con la moglie di un impiegato statale, a cui fornisce un lavoro meglio remunerato per tenerlo buono.

Questa signora, tale Marneffe, anche lei bellissima, è in combutta con la cugina Bette: le due donne intrigano e confabulano alle spalle di tutti gli altri personaggi per ricavare il più possibile, ma neanche il loro rapporto è esente da doppiezze e falsità.

Insomma, in questo romanzo non si salva nessuno.

Non c’è un solo personaggio che abbia dei dubbi morali, o che si possa giustificare in forza di eventi avversi che lo abbia reso quello che è.

L’approccio che ho con questo libro è simile a quello che ho avuto con “Lolita”, dove i personaggi sono abominevoli ma lo stile è incantevole.

Perdonatemi: usufruisco del mio diritto di sospendere la lettura a pag. 154 (su 434 pagine).

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Il canto di Penelope (Margaret Atwood)

Margaret Atwood in questo romanzo, lascia parlare Penelope dall’Ade. La moglie di Odisseo si rivolge a noi, nel nostro secolo, e ci racconta la sua versione dei fatti: Ulisse, Troia, Elena…

Perché l’Odissea racconta un solo punto di vista: quello dell’eroe che aiuta a sconfiggere i troiani con lo stratagemma del cavallo di legno e che poi, tornando a casa, si ferma qua e là, mentre la moglie Penelope lo aspetta a casa, fedele e paziente, imbrogliando i pretendenti con lo scherzetto della famosa tela (che in realtà è un sudario per il suocero, che, nell’eterna attesa del figlio che non torna, potrebbe morire da un momento all’altro).

Penelope era figlia di un re di Sparta, intelligente ma non molto bella, sicuramente non bella come la cugina Elena, che faceva impazzire gli uomini ai suoi piedi. Quando è venuto il momento di darla in sposa, essendo una principessa, c’era in gioco una dote consistente, dunque i pretendenti erano numerosi. Ma erano tutti là per la dote, non per lei!

Lo stesso Ulisse aveva provato a sposare la bellissima Elena, ma non c’era riuscito: insomma, Penelope è un ripiego, e ce lo fa, molto femminilmente, notare. Ciononostante, una volta sposati, con Ulisse riesce a instaurare un bel rapporto, finché dura… perché a un certo punto inizia la guerra di Troia e Ulisse, essendo vincolato a un giuramento, deve partire.

Sta via vent’anni, abbandonando la moglie in uno scoglio di regno in mezzo a rocce e capre.

Ma Penelope ci parla da morta: ora sa tutto quello che è successo e adesso può parlare, perché nessuno può più farle del male.

Ad esempio, ci rivela che lei si era accorta subito che il mendicante che ha sfidato i pretendenti era suo marito, ma ha voluto lasciargli credere di esserci cascata, perché lui ci teneva a passare per uno bravo nei travestimenti. E quando Ulisse fa uccidere le dodici ancelle che per lui erano delle traditrici, ci confessa che le aveva mandate lei a spiare i proci per capire che intenzioni avevano, e le ancelle avevano obbedito.

Alcune poi, in seguito a questo atto di obbedienza, sono state stuprate, altre si sono addirittura innamorate di questi pretendenti di Penelope (erano giovani e belle, ricordiamocelo), ma a Ulisse questo non rileva: lui le fa impiccare perché lo hanno tradito.

E Penelope, dal regno dei morti, si pente e di duole di questo spargimento di sangue innocente di cui lei è parzialmente colpevole.

Ma a mio parere, le parti più interessanti del libro sono quelle in cui lei si confronta con la bellissima cugina Elena: vanitosa, attentissima al proprio aspetto, civetta con gli uomini e li lascia cadere nella sua trappola solo per il piacere di dimostrare che può farlo. Non le interessano le conseguenze.

Rispetto all’Odissea, qui si punta l’attenzione su Penelope che è, in definitiva, bruttina, ma intelligente, che tutti hanno corteggiata principalmente per i suoi soldi; si sottolinea che suo figlio Telemaco era viziato e che suo marito Ulisse era un furbastro che faceva quello che voleva; e che, infine, le donne sono sempre quelle che ci rimettono (a meno che non usino gli uomini ai propri scopi, come fa Elena).

Alla fine, non può manca un tribunale dei giorni nostri dove Ulisse viene giudicato.

Colpevole o innocente della morte dei pretendenti?

Innocente.

Colpevole o innocente della morte delle dodici ancelle?

Innocente.

E Ulisse, maestro d’inganno e travestimenti, anche se morto, non può restare a lungo nell’Ade. Va e viene, rivivendo nel nostro mondo sotto le spoglie più diverse. Alle sue calcagna, le furie, inviate dalle dodici ancelle che cercano vendetta.

Per scrivere questo romanzo, Margaret Atwood si è basata in gran parte sull’Odissea, ma anche sulle teorie di Graves, dove Penelope sarebbe stata la sacerdotessa di un culto di una divinità femminile; e devo dire che questa Penelope mi piace molto di più di quella canonica che tesse durante il giorno e disfa durante la notte.

Ne viene fuori una donna che vive all’ombra di un marito famoso ma che non è così passiva come ce la vogliono far sembrare: che per essere accettata, bruttina com’è, deve farsi passare per paziente e sottomessa, tanto da diventare l’archetipo della moglie ideale, per molti.

Lei a casa a respingere i pretendenti e a tutelare la sua virtù, il marito in giro per il mondo a intingere il biscottino dove gli pare.

Ma quanto piace questa versione di Penelope silenziosa a certi uomini?

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Parti in fretta e non tornare (Fred Vargas)

Non fate il mio errore: Fred Vargas è una donna, ed è francese (dunque non è un autore maschio, né tantomeno spagnolo, sigh!)

Questo libro è un giallo: ne leggo pochi, ma la Vargas mi ha conquistato nelle prime pagine per il suo stile di scrittura accurato ed elegante. E poi i personaggi sono tutti particolari.

Il primo che incontriamo sono Joss, un ex marinaio che è uscito di galera e che parla col bisnonno defunto. Non è riuscito a trovarsi un lavoro vero e proprio così se ne è inventato uno: lascia una cassetta delle lettere appesa ad un albero in un parco pubblico e la gente ci mette dentro dei messaggi con qualche spicciolo. Joss, poi, li leggerà davanti al pubblico.

Dopo di lui c’è Decambrais, un intellettuale che ha qualcosa da nascondere: ha cambiato nome e di lavoro fa il consulente in cose della vita.

I due si incontrano perché Decambrais si è accorto che tra i messaggi che Joss legge ogni giorno ce ne sono alcuni che sono presi da libri antichi che trattano della peste nera. Sono messaggi che denotano un autore colto, ma pericoloso.

E poi ci sono altri personaggi particolari: Lizbeth, ex prostituta che vive da Decambrais e si occupa della pulizia e degli ospiti dell’ostello messo in piedi (in nero) dall’intellettuale; c’è il proprietario di un negozio di skates che va sempre in giro in maniche corte anche quando fa freddo; e c’è, ovviamente, un ispettore che deve indagare su delle morti misteriose che richiamano alla mente i periodi peggiori della morte nera.

E’ un romanzo che si legge in scioltezza, anche se non dovete aspettarvi molta velocità: una certa lentezza è però compensata dalla bella scrittura della Vargas. Forse la seconda parte è più veloce, e infatti lo stile elegante cede un po’ alle necessità del dialogo e della trama.

Ovviamente, io non sono riuscita a scoprire chi era l’assassino: niente di nuovo sotto il soffitto…

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Evita (John Barnes)

IMG_20200307_155036[1]Evita Duarte era figlia illegittima di una poveraccia e di un proprietario di media ricchezza (già sposato) che le manteneva.

Da una vita fatta di stenti e ostracismo, Evita passò ad essere la first lady dell’Argentina, amata e osannata come una santa, tanto che molte famiglie tenevano in casa un altarino con la sua foto.

Come ha fatto?

La sua è stata un’ascesa graduale ma rapida: una donna, a quei tempi, in un paese machista come l’Argentina, non aveva vita facile. Ma Evita, pur essendo una chiavica come attrice, ha saputo scegliersi gli uomini: ognuno di loro ha aggiunto un gradino utile alla sua ascesa.

Finché ha incontrato Peròn.

Non ho visto il film con Madonna e Antonio Banderas, eppure ho il sospetto che sullo schermo i due siano stati un po’ edulcorati: non so se hanno parlato dell’antisemitismo e dei saluti fascisti, degli assalti alla folla indifesa e delle torture, del nepotismo e del controllo delle università, delle banche, dei sindacati, della corte suprema e dell’esercito, nonché delle condanne a morte senza regolare processo e dell’imbavagliamento della stampa e della radio.

Eppure, Peron ed Evita erano amati dallo strato più basso della popolazione, perché finché loro rimasero al potere, i poveri ottennero davvero un miglioramento dello stile di vita.

Evita veniva dalla povertà e non l’aveva dimenticata, anche se ora vestiva con capi firmati e gioielli dal valore incalcolabile. Quando incontrava le folle, chiedeva ai questuanti se avevano un biglietto dell’autobus per tornare a casa, o …se avevano una casa; e se la risposta era no, lei si prendeva davvero cura di loro.

Questa biografia mi è piaciuta molto: non solo per il personaggio, così multisfaccettato (vendicativo, anche), ma anche per il paese in cui ha vissuto, pieno di teste calde e senza mezze misure. Un esempio è l’odissea che il corpo mummificato di Evita ha dovuto passare prima di tornare in patria…

Una lettura ottima per l’8 marzo.

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La notte del santo, Remo Bassini @fanuccieditore

Iniziamo subito con un paio di morti ammazzati, quasi decapitati. E poi ne arrivano altri. Stessa modalità, ma vittime apparentemente slegate tra loro. La prima idea che salta in mente è che dietro agli omicidi, iniziati la notte del Santo patrono di Torino, ci sia una motivazione di natura religiosa, forse una setta. Ma pian piano, i dettagli iniziano a collimare tra loro: alla fine (che non vi svelo) le indagini vengono messe sottosopra e la curiosità ti costringe ad accelerare la lettura (terminata in tre giorni, nonostante un altro libro e l’inizio della scuola).

L’effetto sorpresa, che in un noir ci sta, arriva. Però questo è un noir atipico: il presunto protagonista, il commissario Dallavita, non è quello che risolve il caso. Lui tira le somme: grazie a lui scopriamo gli altarini dei colleghi, della Torino Bene, dei servizi segreti, ma in realtà il caso si era chiuso prima, grazia all’ispettore Tavoletti, o almeno si era chiuso per i giornali e i cittadini di Torino.

Dallavita non segue il caso passo per passo perché è a una svolta decisiva nella sua vita privata: lasciare la moglie Carmen. Ha bisogno di pensare, di star solo, e si prende un mese di ferie. Non è una scelta facile, la sua, ed è resa più difficile anche dall’atteggiamento della moglie, che attraverso telefonate ed SMS lo fa sentire un vero pezzo di cacca.

Quando un libro mi prende, provo nei confronti dei personaggi sentimenti forti, come se fossero persone che ho frequentato per un periodo breve ma intenso; forse anche di più: perché nella vita vera di rado vieni a sapere cosa pensa il tuo vicino o un tuo amico, mentre questo ti succede coi personaggi dei libri.

Nel caso di Dallavita, devo ammettere che non mi sarebbe piaciuto, dal vivo. Troppo altalenante in campo femminile, per i miei gusti talebani; e poi fuma (oh sì, il fumo mi dà tanto fastidio, anche nei libri), e inizia ad eccedere nel bere. Nessun personaggio del libro, però, è piatto: sono tutti multisfaccettati. Anche dal punto di vista della bravura nel lavoro, non sono perfetti: Dallavita per esempio si fa prendere in giro di brutto da un sospettato, mentre Tavoletti ha i suoi lati poco… legali. Questo l’ho trovato coraggioso, da parte di uno scrittore: la gente vera non è come nei telefilm americani, ci piace per certi aspetti, e non ci piace per altri.

Potrei forse avanzare una critica molto soggettiva sulla cupezza dei protagonisti: il noir italiano è abbastanza saturo di poliziotti dannati (anche se devo ammettere che, a difesa di Bassini, il suo Dallavita è dannato sì, ma non è bello né giovane, e qui esprimo la mia gratitudine per la rottura degli schemi).

Riassumendo: un romanzo con molti fili, che però si chiudono tutti alla fine; con personaggi pieni di fantasmi, che però si mettono in chiaro nelle ultime pagine; e con almeno tre conclusioni da dedurre tra le righe:

  1. trova il movente e troverai l’assassino;
  2. guardati dalle belle donne;
  3. anche i ricchi piangono.

 

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Il mio sole è nero – Victor Del Arbol

Da dove cominciare, per parlare di questo libro così denso di avvenimenti e personaggi?

Dal titolo. Perché la Mondadori ha usato questo titolo anonimo, che non gode di nessuna eco nel testo, mettendo in disparte il titolo originale spagnolo? Il titolo spagnolo è “La tristezza del samurai”, che è il nome della spada regalata a un bambino la cui bellissima madre viene assassinata dall’uomo che amava.

“La tristezza del samurai” è un titolo molto migliore, perché richiama alla mente quanto sia difficile per un samurai attenersi a un codice di condotta etico pur continuando a uccidere senza apparentemente mostrare alcun rimorso. E’ questo il punto centrale del romanzo: la difficoltà di intrappolare i personaggi in definizioni manicheistiche, perché ognuno di loro ha dei lati oscuri che vengono svelati pian piano.

Non posso fare spoiler, perché la bravura dell’autore sta molto nella capacità di stupirci quando ci dice cosa ha fatto questo o quello, dopo averci presentato il personaggio in una certa luce del tutto diversa.  Vi dirò solo che la storia inizia negli anni Quaranta in Spagna, anni in cui gli uomini sono combattuti tra ideali politici e privati, e finisce negli anni Ottanta, quando si raccolgono le fila degli avvenimenti accaduti quarant’anni prima.

Però una cosa posso dirvela: qui, in un modo o nell’altro non si salva nessuno. Non si salva Guillermo Mola, padre di Andrés, il bambino innamorato dei samurai; non si salva Andrés, che cresce nelle storture della malattia mentale; non si salva suo fratello Fernando, nonostante sia sopravvissuto al fronte russo e alla prigionia nei gulag; non si salva Maria Bengoecha, l’avvocato che si ritrova tra le mani il caso della scomparsa di una bambina senza sapere quanto la sua famiglia sia coinvolta con la famiglia Mola.

Ho nominato solo alcuni dei tanti personaggi del romanzo. Che è un bel romanzo, perfettissimo per l’estate.

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Perché Trump non mi piace…

Donald Trump

… come Presidente degli Stati Uniti.

Sia chiaro: la sua personalità non andrebbe d’accordo con la mia, neanche al di fuori della politica, ma almeno, finché rimaneva coi suoi miliardi e le sue aziende, non me ne fregava niente. Mi fa paura però averlo come rappresentante della nazione più “influente” (eufemismo) della Terra.

Quando ho letto questo libro a gennaio, non sapevo che si stesse per candidare alle presidenziali, mi interessava solo l’approccio manageriale/psicologico, il suo modo di affrontare gli affari e la vita. E certe dritte le ho trovate, sebbene non ci fosse niente (assolutamente niente) di nuovi rispetto ad altri manuale di self-help. Della serie: pensa positivo, agisci, leggi tantissimo, metti per iscritto gli obiettivi, prendi ciò che ti piace e fanne un mestiere…

Ma è l’approccio generale che mi ha lasciata subito perplessa.

Il titolo in inglese è anche più chiaro di quello italiano: Think Big and Kick Ass in Business and Life. Cioè: manda tutti aff… negli affari e nella vita. Riassumendo 200 pagine con luoghi comuni: il fine giustifica i mezzi; poniti un obiettivo e raggiungilo, non importa chi ti si para davanti.

La cosa più importante è la dimensione delle vostre ambizioni.

E soprattutto, trovo preoccupante che un capo di stato dia alla vendetta un ruolo così importante nella vita di tutti i giorni:

Anche gli amici sono pericolosi: vogliono il vostro lavoro, la vostra casa, i vostri soldi, vostra moglie e persino il vostro cane. E sono gli amici; i nemici sono ancora peggio! (…) [by the way: Trump nel libro non esita a chiamare “amici” i Clinton, con cui andava a giocare a golf]

Io amo vendicarmi. Cercano di fregarmi in continuazione. Io gli rendo la pariglia, e sapete che cosa succede? Mi prendono in giro meno di altri. Sanno che se ci provano, troveranno un osso duro. Reagite sempre. Rendete la pariglia a chi vi fa del male. Non fatevi fregare. Reagite sempre e vendicatevi sempre. Viviamo in una jungla, piena di bulli di ogni genere che cercheranno sempre di fregarvi. se non reagite, vi giudicheranno dei perdenti, dei codardi! Penseranno di poter tranquillamente insultarvi, mancarvi di rispetto, e sfruttarvi. Non permetteteglielo! Reagite sempre e comunque. Vi rispetteranno per questo.

(…) Quando vi fanno un torto, restituitelo con gli interessi.

Vi sembra il ragionamento di una persona che può trattare con iraniani e nordcoreani?

A me, che valuto l’assenza di guerra come la necessità suprema in questo mondo: no, per niente. E sì, parlo “solo” di assenza di guerra (non di vera e propria pace), che sarebbe già un traguardo enorme, su questo pianeta. Ce ne sono già troppe di guerre in giro: se Trump adesso si mette a fare il bulletto con gli altri pazzi, va a finire che la guerra ce la troviamo a casa, visto che siamo pieni di basi militari straniere (e anche qui, si aprirebbe un discorso….).

Insomma, la mia paura principale con Trump al governo del mond… ops, degli Stati Uniti, è proprio quella di ritrovarmi il cratere fumante di una bomba in giardino. Non mi interessa come sia targata la bomba.

Fin qui la preoccupazione principale.

Poi, da donna, mi viene un leggero fastidio a leggere certe frasi:

Ho dato un tocco di sex appeal al mondo della formazione a New York, e ultimamente in tutto il paese, mettendo donne di bell’aspetto sulle copertine delle nostre riviste (…)

Ora, mi rivolgo ai maschietti: se vostra moglie, madre, sorella, figlia rimanesse disoccupata e l’unica possibilità di lavoro venisse da un’azienda Trump, credete che con questi presupposti la vostra mogliettina/mammina/sorellina/figlioletta sarebbe assunta sulla base delle sue capacità?

Sono andato a Parigi e mi sono trastullato con l’altra grade passione della mia vita: le belle donne, le super modelle.

“Trastullato”? Ma gli uomini vogliono davvero diventare come Trump? E’ il loro idolo segreto? Boh. Salvo poi sposare quelle come me… o come la maggior parte delle donne esistenti sul pianeta, che non sono né modelle, né super. Vi rendete conto di quanto umiliante sia una frase del genere per la compagna che avete accanto?????????????????????????????????????????????????????????

Le donne con cui mi sono accompagnato nel corso degli anni avrebbero potuto avere tutti gli uomini che volevano. Sono top model  e alcune tra le donne più belle del mondo. Sono riuscito a farmele tutte perché ho qualcosa che gli altri uomini non hanno. Non so che cosa sia, ma posso assicurarvi che alle donne è sempre piaciuto.

Ecco.

Se Trump si intende di politica internazionale come si intende di donne, meglio che vada a dire ai gatti di venir via dal giardino.

 

 

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