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Quella vita che ci manca – Valentina D’Urbano

Adoro lo stile di scrittura di questa autrice, che a me piace assimilare a quello della Mazzantini, della Mazzucco, della Saracino. Ma non posso leggere troppo spesso romanzi del genere: ti fanno entrare in mondi pieni di buchi neri, nelle anime di certi personaggi scontenti di sé, in guerra col mondo.

In questa storia in particolare, è difficile frequentare troppo Alan senza che un po’ della sua rabbia ti resti dentro. Ma anche Valentino mette alla prova i muscoli morali: perché vorrebbe andarsene da quel quartiere che chiamarlo degradato significa usare un eufemismo.

Ma ci mette tanto prima di riuscirsi, forse troppo.  Ogni volta c’è una difficoltà da affrontare o un familiare da assecondare.

Alla fine, dopo che suo fratello Alan muore ammazzato, Valentino se ne va, lasciandosi dietro la madre, la sorella e il fratello Vadim; ma con tutto quello che ha vissuto, riuscirà davvero ad andarsene del tutto? Sì, lo so che è solo un personaggio letterario, ma l’autrice è brava a descrivere caratteri del genere, forse perché ci ha vissuto in mezzo per molti anni; ed è per questo che mi pongo il problema delle ferite che lasciano le esperienze estreme.

Pochi di quelli che leggono questo post vivono in un quartiere in cui una casa ce l’hai solo se la occupi, in cui è normale rubare, ricettare, ammazzare, prostituirsi. Ma ognuno di noi ha degli squarci nell’anima, chi più, chi meno: e la D’Urbano descrive quello che si prova a tentare di guarire. Valentino ci è riuscito (forse). Ma quanti nella vita reale non ce la fanno?

Forse dovrei leggere qualcosa di più leggero…

 

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Il rumore dei tuoi passi – Valentina D’Urbano

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Bella scrittura, questa della scrittrice di trentun anni scoperta dal concorso di IoScrittore, mi ricorda molto la Mazzantini, Ammaniti (che lei non nega di amare nelle varie interviste sparse per il web) e anche la Mazzucco. Forse per questo, per il fatto che anche a me piacciono molto questi autori, leggendo Il Rumore Dei Tuoi Passi mi è sembrato di vivere in un déjà-vu, ma alla fine non mi è dispiaciuto.

La storia è ambientata nella periferia di Roma, ma la città non è mai nominata, forse perché i fatti narrati possono essere simili a quello che succede in ogni periferia degradata.

Ma al di là del valore del libro, io devo dirlo: queste storie mi innervosiscono.

Possibile che giovani in quelle condizioni non riescano a uscire dal c.d. degrado, darsi una smossa, aiutare gli altri ad venirne fuori…? Capisco la cultura che ti circonda, ma dove è finito il libero arbitrio? Ragazzi che si parlano a forza di sberle anche quando si vogliono bene, ignoranti emotivi, che non fanno niente dalla mattina alla sera…

Evabbè, ora la faccio semplice perché io in confronto a loro sono stata una privilegiata, mi direte voi. E’ un serpente che si morde la coda, direte voi.

Non so. Davvero, non so.

 

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