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Eroiche (Inna Shevchenko)

In generale non mi piacciono i testi femministi. Molti di loro sono un continuo ripetersi che siamo forti, intelligenti, meno guerrafondaie degli uomini ecc…

Anche questo non fa eccezione, se non per il fatto che Inna Shevchenko è andata al di là delle proteste contro il patriarcato: è finita nei guai per aver lottato contro il regime russo.

Inna Shevchenko infatti è ucraina (li libro in Italia è uscito a febbraio del 2020) ed è nata nel 1990, quando l’Urss stava già crollando. Ma il crollo dell’Urss ha portato ancora più criminalità, povertà, disoccupazione, corruzione.

In un paese così in crisi, il “patriarcato” ha ripreso le redini in mano. Nell’Urss, le donne valevano per quello che producevano, come gli uomini, dunque la diseguaglianze non erano così acute.

In un’Ucraina in cui è pericoloso uscire e il cibo non è più garantito, le donne sono tornate sotto il controllo maschile. Il destino di una bambina era segnato: o metter su famiglia e far figli, o diventare prostituta. Guai a pensare di intraprendere una carriera fuori dagli schemi, come ha fatto la Shevchenko che ha studiato per diventare giornalista, con gran delusione dei suoi parenti.

Fin da piccola, purtroppo, le son mancate le eroine in cui identificarsi. Non che non ce ne fossero nella storia russa ed ucraina: solo che non se ne parlava.

Le sue prime eroine sono Sailor Moon, Xena, Kill Bill, e rappresentano un esempio lontanissimo dalle donne che la circondano, sempre pronte ad assecondare gli uomini e a chiudere la bocca.

Ma crescendo ne conoscerà molte altre, e in questo libro ce ne racconta le storie (brevissime però, è un po’ didascalico sotto questo punto di vista).

Finirà col ricevere minacce di morte, alcune terrorizzanti.

Gli agenti del KGB, perché di loro si trattava, ci cosparsero di benzina e si misero ad armeggiare attorno a noi con dei fiammiferi. Sole nel bel mezzo di un bosco, ci aspettavamo di esser bruciate vive. Ci obbligarono a spogliarci e, mentre ci filmavano, mimarono una violenza sessuale. Per finire, mi tagliarono i capelli con un coltello da caccia e mi versarono in testa un disinfettante verde che dopo feci un’enorme fatica a lavar via.

Quando l’uomo debole si sente minacciato, ricorre alla violenza.

La Shevchenko attualmente vive in esilio in Francia e fa parte di un collettivo femminista, Femen, che organizza azioni di protesta un po’ dovunque.

Per quanto io non sia una che si dichiara femminista, bisogna dire che siamo tanto indietro sulla strada della parità dei diritti.

Mi si risponde che non siamo come in altre parti del mondo dove ricorrono alle mutilazioni genitali o dove si costringono le bambine a sposarsi a 10 anni.

Ma siamo in un mondo in cui ai colloqui di lavoro ti chiedono se sei sposata e se hai intenzione di far figli, dove ti pagano meno di un uomo a parità di prestazioni, dove il cognome da dare al figlio deve essere quello maschile perché così si è sempre fatto, dove non puoi vestirti come vuoi perché sennò sei una poco di buono, dove ammazzano una donna ogni giorno, dove non puoi fare l’astronauta o darti alla politica perché devi badare alla famiglia, dove è colpa tua se ti violentano, dove la casa la devi pulire tu perché sei la femmina…

Solo due mesi fa ho sentito questa frase nella mia azienda, che, per altri aspetti, è abbastanza liberale: “Ora abbiamo solo rappresentanti maschi. Meglio così”.

Ma nonostante tutti questi aspetti negativi, se provo a parlarne con parenti o amici, mi dicono che sono esagerata, che i femminicidi non mi riguardano (ne è successo uno nel paese qua vicino il mese scorso), che non mi manca niente, che ho potuto studiare.

Dunque devo stare zitta e smettere di lamentarmi. Anzi, devo anche esser grata di ciò che mi è stato concesso. Grazie.

Che poi, diciamolo qua una volta per tutte: io non sono una che si lamenta tanto.

Sbotto solo quando non ho voglia di cambiare le lenzuola o far le lavatrici (perché devo farlo per forza io?) o devo cucinare o alzarmi da tavola per prendere qualcosa (perché sempre io?). Sciocchezze, forse. Ma sono il sintomo che qualcosa non va, neanche nel nostro piccolo ambiente.

Poi, appena una alza la testa e vuol mollare la famiglia perché si è stufata di spiegare sempre le stesse cose, passa per isterica o peggio.

Il messaggio della Shevchenko è che le donne eroiche ci sono, non ci sono solo gli eroi maschi. Solo che non se ne parla.

Lei sprona infine le donne ad unirsi, a sostenersi l’un l’altra e a intraprendere delle azioni che possano avere una valenza politica. Non necessariamente andando in giro a seno nudo come fanno lei e le altre donne del Femen, ma magari indossando una maglietta con un messaggio forte, frequentando certi incontri, parlando di ciò che ci sta a cuore, praticando la sorellanza.

Questo ci dice lei.

Cosa dico io?

Che bisogna partire da noi.

Che quando il titolare ha detto che è meglio avere solo rappresentanti maschi, io ero al 90% d’accordo con lui.

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Nel ventre della balena e altri saggi (G. Orwell) e alcune riflessioni sulla politica italiana

C’era una volta, tanti, tanti anni fa, Repubblica Romana: quando i consoli non erano in grado di gestire una situazione di crisi, nominavano un dittatore che aveva poteri assoluti e restava in carica sei mesi. Solo sei mesi. Poi basta.

La dittatura non possedeva quell’alone negativo che possiede oggi.

Oggi, il problema italiano sono i politici “democraticamente” eletti. Non se ne vanno più. E se ne arrivano di nuovi (vedi Movimento 5 Stelle e Lega ora al governo), dopo poco, diventano come i politici che hanno sostituito: dimenticano le promesse elettorali, mettono radici, e tutto ciò che fanno lo fanno solo per mantenere la sedia.

In una situazione del genere, ti viene il pensiero che sia meglio una rivoluzione di qualche tipo, e che l’unica soluzione sia uno tsunami politico che spazzi via parlamento e le tenie che ci sono dentro… anche se sei pacifista, questo pensiero si insinua nel cervello. Perché qui, in Italia, non si salva nessuno, dei politici (e quindi, neanche noi).

Poi prendi in mano un libro di Orwell e leggi

Non è solo il fatto che “il potere corrompe”, ma sono anche i modi stessi di conseguirlo.

E allora neanche l’idea della rivoluzione funziona più.

Resta l’emigrazione…?

Ma torniamo a Orwell.

I saggi di questo libro sono vari: si passa dalla lettura, alla politica, ai ricordi di scuola e di guerra.

Dico subito che alcune sue affermazioni, alla luce del tempo, si sono rivelate errate. Ad esempio, quando dice:

I libri americani interessano sempre meno.

(…) Neppure i supermarket riescono a soffocare il piccolo librario indipendente come hanno soffocato il droghiere e il lattivendolo.

Ma mi fa anche riflettere sulla mia voglia di lavorare tra i libri quando dice

(…) il vero motivo per cui non mi piacerebbe fare il libraio di mestiere è che, mentre lavoravo in una libreria, persi il mio amore per i libri. Un libraio deve mentire sui libri, e questo glieli rende antipatici. Anche peggiore è il fatto che passa il suo tempo a spolverarli e a spostarli di qua e di là.

E io che pensavo che il libraio fosse il mio lavoro ideale!

Orwell combatte contro tutti i totalitarismi, sia di destra che di sinistra, ma è sospettoso anche nei confronti della democrazia quando l’opinione pubblica prende il sopravvento:

(…) l’opinione pubblica, a causa della fortissima tendenza al conformismo degli animali gregari, è meno tollerante di ogni altro sistema di legge.

E che dire della chiesa romana?

(…) Durante un periodo di 300 anni, quante persone sono state contemporaneamente buoni cattolici e buoni romanzieri?

(…) le chiese cristiane forse non sopravvivrebbero solo sui loro meriti se le loro basi economiche fossero distrutte.

Più in generale, sulla libertà di pensiero ed espressione, Orwell sottolinea spesso quanto l’intellighenzia (o quella che vorrebbe farsi chiamare “intellighenzia”) ricorre all’autocensura:

L’immaginazione, come alcuni animali selvaggi, diventa sterile sotto cattività.

Il grande nemico di un linguaggio chiaro è l’insincerità. Quando esiste uno scarto tra lo scopo reale e quello dichiarato, ci si rivolge istintivamente ai paroloni e a vecchi luoghi comuni.

I buoni romanzi sono scritti da gente che non ha paura.

Alcune di queste riflessioni si sono rivelate profetiche.

Guardiamoci oggi: teoricamente godiamo dei diritto di libera stampa e riunione ma

Ciò che è realmente in questione è il diritto di riportare gli eventi contemporanei in maniera veridica, o almeno tanto veridicamente quanto lo consenta l’ignoranza, il pregiudizio e le autoconvinzioni di cui ogni osservatore necessariamente soffre.

Quanti giornalisti davvero liberi abbiamo in Italia oggi? E romanzieri? Abbiamo ancora intellettuali impegnati politicamente che non siano accecati da pregiudizi e autoconvinzioni? O, più semplicemente, romanzieri che tocchino, anche di striscio, la situazione politica italiana nelle loro opere?

Ogni scrittore e giornalista che voglia salvaguardare la propria integrità si trova impedito più dall’andamento generale della società che da un’attiva persecuzione.

Quando mi siedo a scrivere un libro, non mi dico: “Adesso farò un capolavoro”. Lo scrivo perché c’è qualche menzogna che voglio denunciare, qualche fatto sul quale voglio attirare l’attenzione (…).

Scrivere un libro è una lotta orribile ed estenuante, come un lungo periodo di dolorosa malattia. Nn bisognerebbe mai intraprendere un’attività del genere a meno di non essere guidato da un qualche demone incomprensibile al quale non si può resistere.

Non c’è altro da aggiungere.

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Angeli sulla punta di uno spillo, Jurij Druznikov

A Markacev, direttore di un’importante quotidiano di Mosca, viene un infarto. Così, all’improvviso. Nel letto dell’ospedale in cui fatica a riprendersi, Markacev ripercorre la sua ultima settimana cercando di capire cosa può aver fatto collassare il suo cuore, proprio a lui, che ha una vita invidiabile, che è ammirato, ha buone possibilità di far ulteriore carriera; a lui, a cui non manca nulla. A lui, che crede fermamente nel comunismo.

Nel ripercorrere i suoi ultimi giorni, però, qualcosa non torna (perlomeno secondo i canoni occidentali).

Intanto, la gente che gli sta attorno: è gente che, se non ha fatto carriera (alle spalle di chi non l’ha fatta), ha dovuto subire tutta una serie di angherie politiche ed umane.

E poi: Markacev era convinto di star bene. Sì, un po’ di pancetta addosso se la vedeva, ma tutto sommato… solo che nel corso del lungo flash-back, si scopre che prende un disastro di pillole per ogni tipo di malanno (guarda caso, pillole che si trovano solo all’estero).

Infine, il manoscritto: Markacev si è trovato un manoscritto sulla scrivania. Non sa chi glielo ha lasciato. E’ un testo il cui solo possesso potrebbe portarlo in galera, perché, pur scritto da un marchese francese un secolo prima, descrive le nefande condizioni in cui versa l’Urss. Se le spie di cui Markacev sa di essere circondato sapessero che ha tenuto nascosto un testo del genere…

L’assurdità fa capolino nel romanzo attraverso la figura del marchese stesso, che arriva a porta chiuse dopo esser passato per “il buco dell’ozono”.

Nelle righe della storia si capisce che l’assurdità crescerà pagina dopo pagina fino ad arrivare ad un epilogo ai limiti dello farsesco, ma io mi son fermata a pagina 156 (su 566).

Ho difficoltà con l’ironia troppo marcata.

Faccio presente però che questo romanzo è stato prescelto dall’Unesco come il migliore romanzo contemporaneo in traduzione.

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Libri in fuga, André Schiffrin @volandedizioni

Che bella vita, quella di Schiffrin.

Figlio di un intellettuale russo, ha continuato il mestiere del padre, quello di editore. Ma non un editore come quelli che abbiamo oggi in giro: padre e figlio credevano nella capacità dei libri di cambiare le idee della gente. O, almeno, di far sì che la gente si ponesse delle domande, o che mettesse in dubbio le versioni ufficiali fatte girare dal governo e dalla stampa di regime.

Allo scoppio della seconda guerra Mondiale, la famiglia Schiffrin riesce, dopo molti tentativi andati a vuoto, a scappare negli Stati Uniti. E’ qui che Andrè cresce, come uno studente americano, anche se sui generis: quando, a partire dai 13 anni, scopre quanto è interessante la politica di quel periodo, non smetterà più di occuparsene.

Vicino alle idee riformiste di sinistra, finirà spesso nel mirino dell’FBI e della CIA, soprattutto durante il maccartismo: è interessante l’analisi che fa della società in quel periodo e delle conseguenze che tale paura strisciante farà ricadere fino ai giorni nostri.

In questa autobiografia parla anche dell’antisemitismo e delle università americane ed inglesi (studierà due anni a Cambridge); ma parla soprattutto della sua attività di editore, prima presso la Pantheon e poi, quando la Pantheon viene fatta fuori dalle strategie del profitto, presso la New Press.

Nelle ultime pagine si sente tutta la sua nostalgia per i bei tempi andati in cui gli editori facevano il loro mestiere, quando le case editrici non erano parte di enormi e fagocitanti gruppi orientati al solo profitto (solo un dato: all’inizio degli anni Cinquanta a New York c’erano 350 libreria, dieci volte più di oggi).

E poi, cita una miriade di intellettuali che ha conosciuto di persona: non solo Gide, gran amico di suo padre, ma anche Chomsky, Sartre, De Beauvoir, Leonard Woolf, Hobsbawm, Amartya Sen e molti altri.

Non mancano le stoccate al “nostro” Berlusconi e a Bush:

L’indipendenza dell’editoria è stata duramente limitata quando è diventata proprietà di grandi gruppi. Ci sono voluti due anni prima che grandi case editrici iniziassero a pubblicare libri che denunciavano le menzogne dell’amministrazione Bush, e molti di questi titoli sono diventati dei best seller. Sono convinto che se la stampa e le case editrici lo avessero fatto da subito, Bush non avrebbe portato il paese alla disastrosa guerra irachena.

La libertà della stampa è importante. Non ce rendiamo conto, ma influenza le nostre vite: pensiamo al caso sopra riportato della guerra irachena…. ragazzi: una guerra! Si poteva evitare. Così come si potrebbero evitarne altre se l’opinione pubblica si informasse e leggesse vere informazioni e veri approfondimenti.

Invece siamo inondanti da riviste di gossip e cacche varie, da TG che parlano in tono pietoso di cani abbandonati e, subito dopo, di veline e calciatori; e, poi, da libri ad alta diffusione e basso prezzo che trattano di storielle a lieto fine e improbabili serial killer. Stiamo copiando il peggio dell’America.

 

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