Kitty appartiene alla media borghesia inglese. E’ giovane e carina e finisce per sposare un medico che la porta in Cina. La storia è ambientata all’inizio del secolo scorso (credo… i riferimenti temporali non sono molti), quando gli stranieri non erano ancora ben visti dai locali. Kitty, dopo un po’, si accorge di non amare il marito Walter, che, nonostante le sue buone qualità, è un tipo piuttosto chiuso e di interessi diametralmente opposti a quelli della moglie. Lei finisce così per trovarsi un amante.
Solo che Walter lo scopre… per evitare scandali, lui la costringe a trasferirsi nell’interno del paese, dove imperversa il colera. Lei è dapprima terrorizzata, ma poi, grazie anche all’incontro con alcune suore missionarie francesi, comincia a riflettere sul suo comportamento e sul senso della vita in generale.
Punti a favore del romanzo: l’introspezione psicologia è molto buona. Maugham delinea bene le differenze di carattere tra marito e moglie, e, rifuggendo da un lieto fine o da un’illuminazione improvvisa, la vicenda si snoda in modo realistico.
Punto a sfavore: perché ambientare la vicenda in Cina? Questo immenso paese viene descritto solo nei suoi paesaggi, visti attraverso lo schermo emotivo di Kitty, ma in realtà manca del tutto lo spirito “cinese”. Le Amah e i portatori e tutti i personaggi locali che compaiono nel romanzo sono mere comparse che non parlano se non per stereotipi. Nessun accenno alla storia recente o contemporanea alla vicenda, né alla millenaria cultura del paese. Insomma, se Maugham ha scelto la Cina, deve averlo fatto solo per coniugare l’introspezione psicologica (che qui è profonda) con un vago bisogno di esotico che, una volta finita la lettura, lascia un senso di superfluo.