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La guardarobiera, @pmcgrathnovels, @lanavediteseoed

Non dovete leggere questo romanzo aspettandovi la stessa morbosità di “Follia”, “Il morbo di Haggard” o di “Grottesco”. E’ qualcosa di diverso, molto più sottile, con meno accadimenti drammatici, meno macabri, (forse) meno passionalità. Eppure è un libro che merita di esser letto.

Joan, capo guardarobiera di teatro, è appena rimasta vedova del marito, famoso e affascinante attore. Siamo nella Londra del 1947, in un inverno freddissimo: è difficile trovare viveri e riuscire a scaldarsi, ci sono, qui e là, episodi di rinascente fascismo.

Joan è confusa: si convince che il marito non è morto, che il suo spirito c’è ancora. Lo sente dentro l’armadio, tra i suoi vestiti, e crede di rivederlo in Frank Stone, giovane attore con cui inizia una relazione.

Il romanzo è tutto un gioco di specchi tra realtà e immaginazione (malata): Joan prima sente la mancanza del marito, poi inizia ad odiarlo perché scopre che era un fascista (lei è ebrea); prima odia il genero, credendolo l’assassino del marito, poi ne abbraccia la causa; Frank Stone prima è il recipiente del defunto, poi è un contenitore vuoto (talmente vuoto che passa dalla madre alla figlia con “maschia” velocità).

Interessante la scelta di affidare la narrazione ad un presunto coro femminile, al corrente dei fatti e a volte materialmente presente, eppure non ben definito.

Ciò che sembra, non è; le rivelazioni non sono mai plateali, ma sfumate, si scivola dalla fantasia alla realtà senza fuochi d’artificio, ed è forse questo l’elemento più realistico del romanzo. Per questo non lo definirei “thriller psicologico”, come dicono tante recensioni giornalistiche. E’ un romanzo prima psicologico, e poi storico.

Notevole la capacità di McGrath di immedesimarsi nelle paturnie degli attori di teatro, nelle sfumature dei loro pensieri. Mentre leggevo mi chiedevo come faceva, e poi l’ho scoperto: è sposato con un’attrice…

Insomma, una lettura consigliata non a chi cerca fuoco e fiamme, passioni e tremori, ma sì a chi vuole immergersi in una mente ai… confini.

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Sulla storia del teatro

Roscio, un famosissimo attore ai tempi di Cesare, Cicerone e Catilina.

Tratto da “Cicerone voce di Roma” di Taylor Caldwell.

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Numero Primo di Marco Paolini: Aiuto!

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Quando ieri sera sono entrata al Teatro Pascutto di S. Stino di Livenza (VE), i biglietti erano già stati tutti venduti. Il bigliettaio: “Stiamo aspettando se la compagnia libera 3 posti”.

C’erano già altre quattro persone prima di me. Stavo per andarmene quando mi sento dire: “Aspetti, aspetti…”

Così mi sono ritrovata mezz’ora dopo sul palco, a due metri da Paolini, con in mano un quaderno dove scrivere quello che lo spettacolo mi suscitava. “E’ uno studio per me”, ci ha detto Paolini.

Studio? Adoro lo studio!

Purtroppo da quello che ho appuntato sul quaderno, Paolini non ricaverà un gran ché: sono uscita dal teatro ancora meditabonda, chiedendomi se l’autore del testo non fosse stato in trip psichedelico quando l’aveva scritto. Ma mi ero fatta la stessa domanda quando ero andata a vedere “Aspettando Godot”.

Fino all’illuminazione.

Nel caso di Paolini, l’illuminazione mi è venuta da un nome: Echné, la “madre” di Numero Primo.

Echnè: suona come Téchne

Dunque, ecco come interpreto io il significato di questo spettacolo: la tecnologia fa nascere i numeri primi (vedi la solitudine e l’intelligenza dei numeri primi di Giordano), e ce li affida perché li proteggiamo. Da cosa?

Bè, sono fragili, in questo mondo dove i Steve Jobs prendono il posto che una volta spettava ai nostri poeti. Per colpire un Numero Primo basta un gabbiano che conosce il tuo numero di targa, basta una fobia creata ad hoc dai media.

Significativo che Paolini inizi parlando degli occhi del figlio, e che alla fine il bambino di occhi ne abbia solo uno. L’altro gli è stato asportato chirurgicamente. Dunque, ci sono due occhi all’inizio e poi, dopo esser passati attraverso il mondo del Centro Commerciale, ce n’è uno solo, per di più chiuso dal coma.

Ettore non ha protetto il figlio dai pericoli della neve artificiale, dal ghiaccio della tecnologia. Figlio, faccio notare, di una siriana ma con un nome francese

Ci sarebbero tante altre cose da dire, perché niente del monologo era casuale, ogni visione era una metafora strettamente intrecciate alle altre. Ma io vado a teatro una volta ogni due anni: lascio questo lavoro a chi ne sa più di me.

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Bozza per teatro

LE FIGLIE DI SANTA GIUDITTA
Personaggi:
Giada, prostituta
Sig. Pinelli, tenutario
On. Montello, senatore
Morticia (Monica), prostituta
Lulù, prostituta
Don Ubaldo
Suor Karina
Ambientazione: un atrio lussuoso, musica new age in sottofondo, incenso, quadri e statue ovunque.

1.
Squilla il telefono sul bancone della reception.

Giada: (Smette di limarsi le unghie, risponde con voce sensuale) Atelier d’arte “Alle grazie”, sono Giada. Per… servirla. (pausa, poi, agitata) Onorevole Montello, quale piacere sentirla! Come? Tra un’ora? Per lei c’è sempre tempo, onorevole. E con chi… ma sì, certo, la nostra Morticia, ne sarà felice, guardi, proprio stamattina mi chiedeva “Ma quando torna il mio onorevole?”… allora la aspettiamo… a dopo! (si alza e corre ad affacciarsi sulla porta che dà sul retro) Signor Pinelli! Signor Pinelli!

Sig. Pinelli: (con fare svogliato) che c’è, che c’è? Giada, ti ho detto un milione di volte di controllare il tuo portamento.

Giada: ma signor Pinelli….

Sig. Pinelli: non c’è ma che tenga. Siamo in un atelier… di lusso. La nostra clientela è strettamente selezionata, non sta bene che tu mi starnazzi in giro per le stanze in questo modo.

Giada: ma signor Pinelli, lei non sa…

Sig. Pinelli: Io non so? Sono anni che faccio questo mestiere, posso dire di conoscere cosa piace e cosa non piace ai nostri clienti e di sicuro non gli piacciono le urla mentre si stanno rilassando.

Giada: insomma, signor Pinelli, sta arrivando l’onorevole Montello!

Sig. Pinelli: (sobbalzando) cosa? Dimmelo subito, no?
Giada: ci ho provato!

Sig. Pinelli: e quando arriva?

Giada: è già per strada, sarà qui tra mezz’ora.

Sig. Pinelli: (urlando) Morticia! Morticia! Presto, scendi! Morticia! (rivolto a Giada) ma perché non viene? Morticiaaaa!
Morticia: (si affaccia alla porta. Indossa un lungo vestito nero aderente, ha il viso bianco di borotalco) arrivo, sono qui, non serve urlare in questo modo.

Sig. Pinelli: ma quanto ti ci vuole per far due scalini?

Morticia. È questo nome. Non me lo sento addosso e se qualcuno mi chiama Morticia, mi sembra che chiamino un’altra, ecco. E poi io, queste mascherate non le sopporto, te l’ho già spiegato.

Sig. Pinelli: bando alle ciance, sta arrivando l’onorevole.
Morticia: ma chi, il panzone?

Giada (si mette le mani nei capelli): uh, la delicatina…
Sig. Pinelli: No, no, no, no! Non il panzone… l’onorevole Montello, colui che ci ha donato questa meraviglia (fa un ampio gesto con il braccio a indicare il palazzo), colui che ci lascia le mance in biglietti da cento, colui che è innamorato perso di te!

Morticia: questa… meraviglia che in restauri ti è costata più del Colosseo? Capirai…

Sig. pinelli: ci rifaremo di quelle spesucce. Preferivi la roulotte?

Morticia: roulotte? Ti ricordo che io ricevevo al Ritz, avevo due stanze a mia disposizione, altro che roulotte. Sono venuta qui perché mi avevi promesso mezzo parlamento… e invece fino adesso ho visto solo questo panzone… Ho sempre lavorato coi signori, sono una professionista, io. E se mi fate girare le scatole vi pianto tutti quanti siete. Voglio vedere come mangiate, dopo.

Sig. Pinelli: su non arrabbiarti, lo sai come sono gli affari e gli uomini. Non ci si può contare sempre. Piuttosto, vai a prepararti, lui arriverà tra poco. E come sei messa a voce?

Morticia: ottimamente come al solito. (inizia a ululare) Uuuu, uuuuu….

Sig. Pinelli: Ottimo, sé, davvero§! Mi raccomando, eh, lo sai che l’onorevole ci tiene: forte come un lupo!
Morticia: lo so, lo so… (a bassa voce) ma guarda cosa mi tocca fare… (esce)

(suona il campanello)
Giada: (agitata) o per tutte le bagasce del quartiere buono! È lui!

Sig. Pinelli: di già? Avevi detto mezz’ora…

Giada: e che ne so io?

Sig. Pinelli: (sistemandole lo scollo e i capelli) vieni qui, mettiti bene. Troppo procace, troppo volgare… questo è un signore… dai, vai ad aprire… lo intratterrò io mentre Morticia si prepara.

Giada (va ad aprire con un inchino e fa entrare l’onorevole) Onorevole Montello, è sempre un onore averla qui!

Onorevole: la nostra piccola Giada, buongiorno!

Sig. Pinelli: Onorevole, finalmente! (gli va incontro ossequioso)

Onorevole: carissimo Pinelli, tutto bene?

Sig. Pinelli: benissimo, sempre benissimo quando la vediamo tra noi. Ma (si affaccia fuori) niente guardi del corpo oggi?

Onorevole: oggi no, ho deciso di risparmiare i soldi dei cittadini…. (ride) no, sto scherzando, ormai non c’è più nulla da risparmiare…. Ma i gorilla attirano troppo gli occhi della gente e sa, nella mia posizione, la discrezione è preziosa come il platino. Soprattutto con una moglie a carico…

Sig. Pinelli: la discrezione è santa all’atelier “Alle grazie”… (rivolto a Giada) mi spiace, stavolta tu e Lulù fate vacanza. (all’onorevole) Ma si sieda, prego, Morticia si sta preparando per lei.

(Giada esce e torna con un vassoio di pasticcini e una bottiglie di liquore che inizia a versare nei bicchieri, poi torna alla reception a farsi le unghie)

Onorevole: (spaparanzandosi sul divano) che pace qui, caro Pinelli. Lei non ha idea di cosa ci fanno passare su al colle.

Sig. Pinelli: lei dovrebbe venire a trovarci più spesso, lo dico per la sua salute: in questo paradiso noi siamo a disposizione del suo relax, a qualunque ora del giorno o della notte, lei lo sa.

Onorevole: grazie caro Pinelli, se non vengo più spesso non dipende da me, mi creda.

Sig. Pinelli: io le credo. Avrete un gran daffare lassù. Si fa presto a lamentarsi di quello che fanno e non fanno i politici al governo, ma poi vorrei vederli io, quelli che fanno tanta confusione per le strade e sui giornali, se fossero al posto suo, cosa farebbero.

Onorevole: proprio così. Io mi strappo le ore al sonno per il popolo italiano. Per tirar fuori quattro soldi e pagargli le medicine, la scuola, la nettezza urbana… e mai un grazie. Nessuno ringrazia mai i politici, sono tutti prevenuti verso i governanti. Mai un grazie, mai.

Sig. Pinelli: (annuisce) lo sappiamo, noi apprezziamo, sai, apprezziamo molto quello che fa.

Onorevole: e poi, questa tassa sugli immobili, mi sta creando di quei grattacapi…

Sig. Pinelli: tassa sugli immobili? Quale, l’Ici?
Onorevole: No, quella l’hanno tolta, non ci prendevamo neanche i soldi della carta su cui stampavamo i bollettini. Ora si fa l’Imu.

Sig. pinelli: l’Imu?

Onorevole: l’Imu.

Sig. Pinelli: ma non era il nome di un animale?

Onorevole: quello è l’0emù.sig. Pinelli. Ah. E si pagherà tanto?

Onorevole: tanto… non direi. Il giusto.

Sig. pinelli: ah. E quanto sarebbe questo giusto?

Onorevole: il 4 per mille.

Sig. Pinelli: calcolato su?

Onorevole: sulla rendita catastale.

Sig. Pinelli: (trattenendo un infarto) argh… uff… sulla rendita catastale? Ma… anche noi? Anche noi che figuriamo come atelier d’arte? No, voglio dire, ci saranno certamente delle agevolazioni per le istituzioni culturali, no?
Onorevole: non nel vostro caso (mangia biscottini), è un atelier privato.

Sig. pinelli: ma… uff… la rendita catastale per questo palazzo del seicento in centro a Roma sarà un’enormità!

Onorevole: temo di sì.

Sig. Pinelli: oddio… e come facciamo adesso… dunque, il quattro per mille…. (conta con le dita poi si blocca)… aspetti un momento… non è che per caso lei, quando ci ha donato questo immobile con la scusa di venir a trovare la sua Morticia, già sapeva di questo emù?

Onorevole: Imu. E comunque no, non lo sapevo. Sono decisioni prese in commissione.

Sig. Pinelli (buttandosi sul divano) va bene. Siamo rovinati.

Onorevole (con la bocca piena): rovinati perché? E io che ci sto a fare qui?

Sig. Pinelli (risollevandosi): ma certo, ha ragione, scusi, come ho potuto dubitare, ovviamente si occuperà lei di questa imu…
Onorevole: no… bè, no… intendevo che ci sono escamotage per evitare di pagare l’Imu. Diciamo, una sorta di elusione fiscale.

Sig. pinelli: scusi sa, ma io con le lingue straniere…

Onorevole: elusione. Un modo legale per svicolare le tasse.
Sig. pinelli: e sarebbe?

Onorevole: sa, ci sono delle categorie che l’Imu non la devono pagare. Tipo…

Sig. pinelli: tipo le puttane!

Onorevole: no, mi lasci finire Pinelli. Tipo le opere religiose e i preti.

Sig. Pinelli: preti? Ecco, guardi, io credo in Dio, ma da qua a farmi prete, non so se…

Onorevole: ma no, che ha capito.

Sig. Pinelli: e allora che c’entriamo noi con le opere religiose?

Onorevole: c’entrate, c’entrate…

Sig. pinelli: (pensando) mah… che svolgiamo un’opera di pubblica utilità è riconosciuto, ma a livello fiscale?

Onorevole: ma non capisce? Se riuscite a mascherare l’attività sotto l’apparenza di un atelier d’arte, allora potete mascherarla anche sotto forma di un’opera religiosa, che so, un convento o roba del genere.

Sig. pinelli: un convento? Questo? (ride).

onorevole: non c’è niente da ridere, io dico sul serio.

Sig. Pinelli: un casino mascherato da convento?

Onorevole: è lei che mi ha sempre detto che questo non è un casino ma una raccolta di raffinati pezzi d’arte, no?

Sig. Pinelli: sì, effettivamente l’ho detto.

Onorevole: allora che ci vuole? Qualche crocifisso qua e là, qualche altarino, qualche quadro raffigurante sacre famiglie… ma quanto ci mette la mia Morticia?

Sig. pinelli: qualche altarino… ora sarà pronta, ve la chiamo (va alla porta sulle scale) Morticia! Morticia! Morticiaaaa! (sottovoce) Monica! Sei pronta?

Morticia (fuori scena): sono pronta, dov’è il mio Gomez? Uhhhh, uhhhh….

Onorevole (si alza in fretta): eccomi, sono qui, cherie… finiamo un’altra volta, Pinelli (esce).

Sig. Pinelli: Giada! Lulù! Venite qui (entra Lulù vestita in baby doll. Pinelli sta pensando con la mano sul mento. Quando le due si avvicinano, lui inizia a coprire le scollature, mette un centrino in testa a Giada, pulisce l’ombretto a Lulù sputandosi sulla manica) Un ritocchino qui… una pulitina di là… si potrebbe anche fare…

Lulù (masticando la gomma, con accento romano): fa’ che?
(fuori scena Morticia inizia a ululare)

Lulù: ma che c’è, l’onorevole? E il gorillone nun ce sta?

Giada: macché l’onorevole era in vena di risparmio, oggi.

Sig. pinelli: zitte. Ho trovato (va al bancone e inizia a scrivere, poi dà il foglietto a Giada) tieni, vai a comprare questa roba. Fai presto.

Giada: (scorrendo il foglietto) eh?

Sig. Pinelli (rivolto a Lulù) tu fai sparire i quadri, io penso alle statue.

Lulù: ma pecché? Erano così carucci…

Sig. pinelli: fate quello che vi dico, o qua per pagare l’emù ci tocca dichiarare bancarotta.

Lulù: l’emù? È una nuova?

Giada: ma no, è una tassa, fai come dice il sig. Pinelli (esce).
(Pinelli e Lulù buttano dalla porta statue e quadri, poi arriva Giada con due borse: da una tira fuori crocifissi e quadri a soggetto sacro e inizia a sistemarli in giro per la stanza; dall’altra borsa tira fuori qualche bibbia e le mette al posto delle riviste. Tira fuori anche due vestiti da suora e uno da prete).

Lulù: noooo, io volevo fare la domatrice di leoni, c’ho la frusta che non l’ho mai usata!

Sig. Pinelli: manca un vestito per Morticia.

Giada: per la Morticia non c’era la misura.

Sig. pinelli: pazienza, vorrà dire che la lasceremo in camera sua. Diremo che èuna monaca di clausura in visita col voto di silenzio… in borghese.
(si cambiano. Dopo gli ultimi ululati, l’onorevole scende soddisfatto).

Onorevole: era in forma oggi… ma… che è successo?

Sig. pinelli: Don pinelli, per servirla, onorevole!
Onorevole: (ride) caro, caro, carissimo Pinelli! Ha fatto prima di quanto supponessi!

Sig. Pinelli: e con questa, possono anche introdurre l’Emù, adesso (ridono).

2.
(suona il citofono)
Giada: (con voce sensuale) pronto, convento delle… (corregge il tono)… ehm, convento delle figlie di Santa Giuditta, che Dio la benedica. Pronto! Pronto? Ehi (alzando il tono), e allora facciamo ancora gli scherzetti per telefono? Pronto? (il citofono continua a suonare)

Sig. Pinelli: (entra): ancora ad urlare, Giada! Non vedi che è il citofono?

Giada: o sì, che sciocca. Pronto? Chi? Deve entrare, qui? Oh, voglio dire, sì, certo, ora le apro don Ubaldo!

Sig. pinelli: don Ubaldo? (Lulù si sistema sul divano)
Don Ubaldo (entra guardandosi estasiato intorno): buongiorno, piacere, don Ubaldo.

Sig. Pinelli. Piacere, don… Pinelli. E queste sono suor Giada e Suor Lucia. Benvenuto al convento delle figlie di Santa Giuditta.

Don Ubaldo: ma lei non immagina che fortuna ho avuto nel passare di qui! Stavo proprio cercando un posto come questo per la mia ricerca sugli ordini religiosi femminili. Non sapevo che ce ne fosse uno intitolato a santa Giuditta!

Sig. pinelli: ecco, siamo nuovi.

Don Ubaldo: e questo splendido palazzo!

Sig. pinelli: splendido, già. Ma…
(suona il citofono)

Don Ubaldo (va ad aprire): suor Karina, ho trovato la sistemazione per la notte. (suor Karina entra)

Sig. pinelli: notte?

Don ubaldo: questi sono don Pinelli, Suor Lucia e suor
Giada. Questa è suor Karina (in un orecchio a Pinelli), è tedesca.

Sig. pinelli: carina? (smorfia di disgusto)

Don Ubaldo: sono le figlie di Santa Giuditta.

Giada: bè, proprio figlie figlie…

Suor Karina (con accento tedesco): santa Giuditta? Non ho mai sentito di un ordine intitolato a santa Giuditta.
Don Ubaldo: appunto per questo è tutto così meraviglioso. La vita del signore ci ha portato qui affinché noi, con la nostra futura pubblicazione, portiamo a conoscenza del grande pubblico anche le piccole realtà religiose.

Sig. Pinelli: sicuramente una grande opera, la vostra, ma mi perdoni, mi pare di aver sentito che vi fermate per la notte?
(Suor Karina guarda con disprezzo l’abbigliamento delle altre due donne e saggia col dito quanta polvere c’è sul bancone)

Don Ubaldo: gran bontà divina! Più tardi scrivo una mail a Fra’ Santino e gli dico di portarci qui le valigie.

Sig. pinelli: aspetti un attimo…

Don Ubaldo: così potrò studiare sul campo, e voi mi deluciderete in merito alla vostra regola.

Sig. pinelli: don… don…

Don Ubaldo: Ubaldo.

Sig. Pinelli: don Ubaldo, qui siamo un po’ in stretto, sa, veniamo da fuori, purtroppo…. E Dio solo sa se vorrei non fosse così… purtroppo tutti i letti sono già occupati e, davvero, se potessimo…

Don Ubaldo: ma noi non vogliamo disturbare.

Suor Karina: nein, non vogliamo disturbare (guarda i tacchi di Lulù). Siamo molto discreti, noi.

Sig. pinelli: sono sicuro che il vostro fra’ Martino…
Don Ubaldo: Fra’ Santino. E comunque io potrò dormire qui, su questo divano, mentre suor Karina dormirà capo a piedi con una di loro.

Lulù: ah, con me non se ne parla proprio.

Sig. pinelli: (zittendo Lulù): ma che grande idea…

Don Ubaldo: ma che grande famiglia e la famiglia del signore. Da quanto siete qui?

Suor Karina: dov’è la cappella?

Don Ubaldo: dov’è il refettorio?

Suor Karina: con che prodotti pulite i paramenti sacri?

Sig. pinelli: un momento… vi prego. Ho capito. (cerca di calmare le ragazze che si stanno agitando). Suor Lucia, vuole prima di tutto accompagnare i nostri ospiti a fare un giro?

Lulù (guardando meglio don Ubaldo e prendendolo a braccetto): non aspettavo altro (escono con suor Karina).

Giada: ma che le salta in testa? Quelli là sono una suora e un prete veri! Veri!

Sig. pinelli: è tutto calcolato, tranquilla, lascia fare a me.

Giada: ma se si accorgono…

Sig. pinelli: devono star qui solo una notte, e poi se ne vanno, hai sentito, no?

Giada: sì, ma cosa gli racconta dell’ordine, poi?

Sig. Pinelli: qualcosa mi inventerò. E poi… non escluderei….
Giada: cosa?

Sig. pinelli: (Pensando) pret, suore…. Magari….

Giada: magari cosa?

Sig. Pinelli: magari ci facciamo pure qualche eruo extra.

Giada: sì, con le elemosine.

Sig. Pinelli: ma no, qualcosa di molto più raffinato. Sovvenzioni statali, sostentamento al clero…
Giada: Mmmh, ci stiamo allargando troppo signor Pinelli, lasci stare, io sento puzza di guai.
(suona il telefono)

Giada: (sensuale) convento…. (cambia tono) convento delle figlie di santa Giuditta. Che il signore sia con voi. Come? Onorevole Montello! S’, sono io, Giada… a sua disposizione… Morticia e tutto lo staff… quando? Stanotte? No! No, stanotte non si può!

Sig. Pinelli (prendendole il telefono di mano) certo onorevole, per lei siamo sempre aperti! Certissimo, siamo tutti qui ad aspettarla, a dopo allora, prepariamo tuto per farla sentire a suo agio, come sempre! (a Giada) sei pazza, rifiutare un appuntamento all’onorevole?

Giada: ma se stanotte quei due si fermano a dormire qui….
Sig. pinelli: in qualche modo faremo.
(scendono Lulù, suor Karina e Don Ubaldo chiacchierando)

Don Ubaldo: don Pinelli, la vista dalla terrazza toglie il fiato, si vede tutta Roma.

Suor Karina: però non abbiamo visto le celle.

Lulù: esagerata, mica semo in galera…

Sig. Pinelli: stiamo ancora ristrutturando, suor Lulù… lu… Lucia non voleva portarvi tra i calcinacci e la polvere.
Lulù: ambé, guarda, io a questo qui lo avrei portato lo so io dove…

Giada: Suor Lucia… venga con me a dir qualche rosario… (escono)

Suor Karina: non c’è neanche la biblioteca.

Sig. Pinelli: abbiamo sofferto alcuni furti negli ultimi mesi e siamo stati costretti a trasferire tutti i nostri preziosissimi volumi al monastero qui accanto.

Don Ubaldo: suor Karina, non ci servirà la biblioteca, se c’è qui don Pinelli. Non vedo l’ora di cominciare. Le farò perdere la voce, a suon di rispondere alle mie domande. Voglio sapere tutto di questo ordine. Lo schema che ho in mente per il mio libro è molto semplice, ma deve essere dettagliato. Ho già la casa editrice pronta per la pubblicazione.

Suor Karina: (avvicinandosi a un crocifisso) ma questo… non è ortodosso?

Sig. Pinelli: eh… quello è un regalo personale di un mio amico che… bè, siamo tutti una grande famiglia, no?

Don ubaldo: una grandissima famiglia! (appoggiail braccio sulle spalle di Pinelli)

3.
(Penombra. Sul divano russa forte don Ubaldo. Lulù entra di soppiatto, si sistema il baby doll e sta per gettarsi sul pretino quando Giada la blocca saltando fuori dal bancone)

Giada: (sottovoce) ferma là tu!

Lulù: che ce fai qui?

Giada: sta per arrivare l’onorevole. Pinelli mi ha detto di piazzarmi qui e di aprirgli la porta appena arriva per non fargli suonare il campanello, e poi di accompagnarlo direttamente da Morticia.

Lulù: viene pure il gorillone?

Giada: e che ne sono? Aspetta, ho visto dei fai, c’è un’auto (guarda fuori dalla finestre). È lui!

Lulù: e il gorillone?

Giada: non c’è.

Lulù: non importa, mo’ vado co’ questo (fa per andare da don Ubaldo ma Giada la blocca)

Giada: non svegliarlo!

Lulù: e chi lo vuol svegliare? Faccio pianino pianino!

Giada: No! Il prete domani se ne deve andare. Io ora vado a spiegare all’onorevole che deve far piano perché qui dentro abbiamo un vero membro del clero.

Lulù: e che membro…

Giada: basta! Vattene in camera tua e sta attenta che la tedesca non si svegli. È sul mio letto (Lulù esce sbuffando).
(Giada esce, e poi rientra in punta dei piedi con l’onorevole; poi entrambi spariscono su per le scale. Dopo un po’, iniziano gli ululati. Don Ubaldo si sveglia di colpo. Arrivano di corsa anche Suor Karina e don Pinelli).

Suor Karina: was ist das? Che succede?

Don Ubaldo: per tutti i santi del paradiso!

Sig. pinelli: calmi, per carità.

Suor Karina: vuole spiegare a tutti noi?

Sig. pinelli: don Ubaldo, suor Karina… non ve l’avevo detto… speravo… ma ormai è giusto che anche voi sappiate. Di sopra c’è… c’è… un’indemoniata.

Don Ubaldo: una posseduta?

Sig. Pinelli: guardi, non avrei saputo definirlo in modo migliore.

Suor Karina: signore benedetto (si fa il segno della croce).

Sig. Pinelli: non sapeva dove andare. La sua famiglia l’ha scacciata. Il nostro è stato un atto di carità cristiana.

Don Ubaldo: ma si capirebbe, ha fatto benissimo.

Suor Karina: vado a prenderla (esce).

Sig. Pinelli: a prendere chi? (cerca inutilmente di trattenerla)

Don Ubaldo (prendendo i paramenti dalla valigia e indossandoli dopo averli baciati): si dà il caso che io sia stato nominato esorcista giusto un anno fa.

Sig. pinelli: si dà il caso… ma che fortunati, davvero…
Don Ubaldo: (porgendo a Pinelli una bottiglietta vuota di succo di frutta) può riempirmi questa per favore?

Sig. Pinelli: questa? Ma se ha sete le prendo una lattina di Coca.

Don Ubaldo: vedo che anche col maligno sotto il suo tetto lei ha ancora voglia di scherzare. Fa bene. Non dobbiamo averne timore. Basta che la riempia a metà, non so dove tenete l’acqua santa, altrimenti lo farei da me.

Sig. Pinelli: certo, l’acqua santa (esce).
(entrano suor Karina che trascina Morticia e l’onorevole in mutandoni)

Suor Karina: mi sa che gli indemoniati erano due!
Sig. pinelli (entrando): uh, no… tenga l’acqua… questo non è un indemoniato.

Onorevole: glielo vuole dire lei a questa crucca chi sono io?

Sig. pinelli: lui è il… vescovo.

Tutti: il vescovo??

Sig. pinelli: sì, in visita pastorale.

Suor Karina: in mutande?

Sig. Pinelli: ora le spiego tutto.

Morticia: avete cambiato copione e non me lo avete detto?

Suor Karina: non vedo anelli, né crocifissi.

Sig. pinelli: Vede, il diavolo gli ruba tutti i simboli religiosi. Quando è entrato per quella porta aveva una tonaca nera elegantissima, vero signor vescovo? Vero che durante l’esorcismo lei toglie tutto?

Onorevole: esorcismo?

Sig. Pinelli (all’onorevole, sottovoce): poi le spiego. (a don Ubaldo) Lei padre, ora potrebbe affiancare il nostro vescovo nel sacro rito?

(arrivano Lulù e Giada): che succede? Perché siete tutti in piedi a quest’ora?

Don Ubaldo: con piacere, è un onore per me accingermi ad un esorcismo insieme ad un vescovo!

(i tre uomini iniziano a fare segni della croce nell’aria davanti a Morticia che li guarda stupefatta. Suor Karina guarda le spalle a don Ubaldo costantemente adocchiato e punzecchiato da Lulù. Don Ubaldo borbotta in latinorum e poi getta l’acqua in faccia a Morticia, che salta su e getta la parrucca a terra pestandoci sopra).

Morticia: ma siete tutti impazziti?

Sig. Pinelli: Morticia, ti prego!

Onorevole: oh, povera la mia cheri!

Morticia: cheri un corno! E smettila anche di chiamarmi Morticia.

Suor Karina: Morticia? Cheri?

Sig. pinelli: sono i nomi dei demoni che la posseggono. sa come dice il diavolo “Io ho molti nomi” ecc… Monica, ora il diavolo abbandonerà il tuo corpo e…

Morticia: ma vacci tu al diavolo!

Don Ubaldo: strano, l’acqua non l’ha ustionata….

Suor Karina: qui le stranezze si moltiplicano, boia Faust!

Sig. pinelli: Monica, aspetta! (cerca di trattenerla, ma lei esce mandando tutti a quel paese, seguita dal supplicante onorevole, da Suor Karina che non si rassegna a vederci chiaro, da Don Ubaldo che continua a brandire il crocifisso, da Lulù che segue don Ubaldo)

Giada: gliel’avevo detto che non era una bella idea!

Sig. pinelli: ma sì, possiamo fare anche senza sovvenzioni clericali.

Giada: ma… ma se ne è andata Monica (piagnucola), era quella che guadagnava più di tutte noi, col suo onorevole. No, lo sapevo che questa mascherata del convento non stava in piedi. Lo sapevo che finiva così.

Sig. pinelli: Mi sa che hai ragione. Meglio tornare alla copertura dell’atelier d’arte. E poi, con tutti questi crocifissi in giro, c’era pure il rischio che quei clienti che ci sono rimasti si lascino sopraffare da rimborsi o dalle vocazioni.

Giada: sì, meglio tornare all’atelier. Ma… e con l’Imu come si fa?

Sig. pinelli: già, come si fa? (inizia a camminare avanti e indietro con la mano sul mento, pensando intensamente. Ogni tanto si ferma, sembra che gli sia venuta un’idea, ma poi la perde. Giada lo segue nei suoi tormenti. Infine si ferma in mezzo alla stanza con l’indice alzato: ha trovato). Idea: la evadiamo.

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Le donne al parlamento, Aristofane

Ieri sera, dopo circa tre anni che non andavo al teatro, ho assistito a una commedia di Aristofane.
Sono andata a guardarmi nell’enciclopedia chi era, perché l’ho sempre sentito nominare ma collocarlo nel tempo e nello spazio è un’altra cosa. Ateniese nato nel quinto secolo a.C. (anche se si va così indietro nel tempo, non erano “barbari”!) è stato un commediografo prolifico fino al 404 a.C. quando il governo dei Trenta ha fatto fare armi e bagagli alla commedia, che dava un bel po’ di fastidio al potere costituito. Il motivo principale delle sue opere è il contrasto tra il vecchio e il nuovo: Aristofano era un tenace difensore dell’antico e dunque contrario a tutti quelli che rappresentavano le idee innovatrici del momento.

LE DONNE AL PARLAMENTO
Le donne si impadroniscono con un sotterfugio del potere ad Atene, prendendoselo proprio in un momento di crisi e guerra. Così mettono tutto in comune, uomini e donne compresi, con la regola che prima di fare l’amore con le belle e i belli, bisogna prima passare per i brutti e le brutte. Il che innesta la fase comica, perché c’è un rovesciamento delle aspettative dei personaggi (maschili… il problema delle donne costrette ad andarsene con gli uomini brutti è solo accennato).

Un appunto: la comicità crea sempre un salto di prospettiva e di consapevolezza. La risata è un rilascio immediato di energia, ma anche un modo per esercitare l’elasticità mentale.

La commedia cui ho assistito ieri sera era una versione attualizzata dalla regista Carla Manzon, per cui le scenografie e i costumi non erano ambientati nell’antica Grecia, ma in un mondo simil-contadino dei tempi nostri, proprio ad indicare che le tematiche di Aristofane sono sempre attualissime.

IL BAZAR DEGLI STRAMBI
Questa compagnia teatrale è un gruppo amatoriale nato nel 2008 dopo l’esperienza di unlaboratorio propedeutico iniziato l’anno precedente al termine del quale è stato presentato lo spettacolo “Meraviglia nel paese delle alici”. Nel 2009 è andato in scena con lo spettacolo “Visita di condoglianze”, atto unico di Achille Campanile, opera ambientata negli anni quaranta. Nel 2010 è stata proposta la commedia in tre anni “La palla al piede”, di Georges Feydeau scritta alla fine dell’Ottocento.

La prossima replica de “Le donne al parlamento” si terrà il 9 marzo a Cordenons (PN).

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