Dunque, dunque, dunque…
Se dovessi limitarmi alla trama, sarebbe questa: Yoel, che lavora nei servizi segreti, perde la moglie per un incidente, e fatica a riprendersi.
253 pagine così.
In realtà il mestiere di Amoz Oz va sempre al di là degli accadimenti esteriori. Il suo è un continuo scandaglio interiore, in questo caso, sui dubbi (lievi) di Yoel circa il rapporto tra la moglie e il vicino di casa che è morto nello stesso incidente, e sui suoi tentennamenti per avvicinarsi alla figlia Neta, che soffre di epilessia (forse).
Tutto è sfumato: i sentimenti, i dialoghi, il lavoro, il rapporto coi vicini.
I dialoghi non hanno né capo né coda: non seguono un filo logico di domande e risposte, si interrompono, svicolano, sbandano con argomenti che non c’entrano nulla con la questione iniziale. E alla fine, il nodo centrale resta intatto: sono dialoghi che non “risolvono” né consolano.
Il lavoro di Yoel – che lui abbandona per seguire meglio la figlia, dice (ma è vero? La segue, la figlia, in queste 253 pagine?) – ci resta oscuro: non ha nulla a che fare con l’idea cinematografica della spia israeliana. Ci scappa un morto, è vero, ma le circostanze non vengono mai chiarite.
Il rapporto coi vicini americani è quello più frustrante: sono fratello e sorella. Il fratello mette praticamente Yoel nel letto della sorella, e a volte, forse, assiste. La cosa non viene commentata, e se ci si chiede se c’è qualche amore o qualche tipo di sentimento tra lui e la donna, la questione viene buttata là, quasi fosse senza importanza, quasi come se la donna fosse una figura di carta, senza spessore. Yoel non si pone alcuna remora morale.
In tutta questa nebbia, Yoel si accorge che manca qualcosa. La cerca, a volte gli sembra di avvicinarsi, ma gli fanno “male gli occhi” per lo sforzo. Eppure lui è un agente dei servizi israeliani, dovrebbe intendersene di segreti e dei modi per farli venire a galla.
Niente, non ci riesce.
Verso la fine del libro, sembra abbandonare la sua inattività (per tutto il romanzo non fa altro che dedicarsi al giardinaggio e ai lavoretti casalinghi) per darsi al volontariato in un ospedale; ma anche qui, non si capisce se lo fa per rientrare nel mondo, per provarci con le colleghe o per reale interesse nei valori del volontariato.
Insomma: non solo non si può conoscere una donna ma neanche se stessi, e neanche il resto del mondo.
Non si può conoscere niente.
A meno che, il messaggio non sia: accettiamo quello che ci arriva.
In tal caso, l’epopea passiva di Yoel potrebbe avere un senso.
Certo è che un messaggio del genere si poteva far passare con un romanzo più appassionante.