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Il grande bugiardo (Günter Wallraff)

“Due bambini si sono sparati con un fucile di piccolo calibro.”

“Fantastico, eccezionale. Morti?

“No, solo feriti gravemente.”

Ecco il livello dei discorsi che Gunter Wallraff, giornalista infiltrato nella Bild Zeitung di Hannover, sente quotidianamente. E’ stato assunto promettendo al caporedattore che sa manipolare la verità e creare le notizie attirando l’attenzione come si fa in pubblicità.

La Bild Zeitung è proprietà dell’editore Springer, che negli anni Settanta ha quasi il monopolio della stampa nella repubblica Federale Tedesca, monopolio creato facendo leva sugli istinti più bassi dei lettori, ma anche inventando notizie e controllando economicamente le tipografie.

Il nome Bild apre porte che non si aprono per altri giornalisti, anche le zone militari. Il giornale si propone come “il giornale dei lettori”, che aiuta chi non è aiutato, basta scrivere alla Bild e si trova la soluzione. Se poi si crea un caso, la vittima si vede sbattuta sul giornale con frasi non sue, e le vendite salgono ancora meglio.

Non si disdegnano le bustarelle alla polizia per avere le informazioni più succose sugli omicidi, e neanche le finte telefonate dei lettori, inscenate da redattori rifugiati nell’altra stanza.

Un esempio di notizia inventata: a Majorca c’è un’ondata eccezionale di freddo. Non importa che Wallraff, all’aeroporto, incontri solo gente abbronzata che dice di aver sopportato a fatica il calore: se la Bild decide che sull’isola c’è il freddo polare, così deve essere.

Un altra notizia inventata riguarda una vigilessa così dedita al lavoro che mette la multa al proprio marito. Non è vero, questa vigilessa non esiste. Eppure basta il nome Bild, e il comando dei vigili la trova…

Si riattualizzano notizie di anni prima, o si fa, di un operaio sottopagato, un barbone felice che vive nei sotterranei della città. Le notizie, insomma, si creano da zero se non ci sono, e si esagerano i fatti se la realtà non è abbastanza sanguinosa o commovente o sentimentale.

E’ esemplare il caso della morte di un bambino per un fulmine: un giornalista è stato spedito a casa dei genitori in lutto per recuperare la fotografia. Al rifiuto opposto da padre e madre, il giornalista minaccia di pubblicare una foto scattata all’obitorio.

Insomma, il più bieco giornalismo.

Tutto ruota attorno ai sentimenti estremi, spadellati con una prova priva di frasi secondarie e conditi con decine di esagerazioni e slogan, l’importante è non disturbare la coscienza dei lettori facendo loro pensare alla crisi economica, alla mancanza di alloggi, allo strapotere degli industriali sugli operai.

Si possono fomentare gli odi razziali e individuare terroristi anche dove non ci sono, basta mantenere lo status quo, individualizzare i casi che hanno cause sociali e creare paura.

Wallraff si accorge che nei quattro mesi in cui rimane alla Bild da infiltrato, anche il suo atteggiamento cambia: è meno interessato ai rapporti interpersonali e analizza ogni evento alla ricerca di una possibile notizia adatta al giornale.

I suoi colleghi, la metà dei quali lavorano senza contratto, non legano tra loro. Girano barzellette sull’analfabetismo dei lettori, e con quei ritmi di lavoro (non ci sono pause né giorni liberi fissi) è impossibile frequentarsi fuori dell’ufficio.

Questo reportage, uscito in Germania nel 1977, è ancora attuale perché anche in Italia molti mass media lavorano così: notizie sensazionalistiche, omicidi, suicidi, gattini abbandonati, previsioni del tempo, donne nude o seminude… tutto quello che non ti fa riflettere sul sistema più ampio, ma che vende.

I giornali formano (o dovrebbero formare) la società trasmettendo la verità e analisi sincere.

Wallraff ci crede ancora.

Questo giornalista è famoso per il suo modo di fare i reportage. Non è la prima volta che lavora in incognito (lo ha fatto in un ospedale psichiatrico e in una fabbrica di armi proibite), né è la prima volta che finisce davanti al giudice per ciò in cui crede. E, solo per farvi capire chi è, sappiate che è stato imprigionato e torturato per diversi mesi dal governo fascista greco negli anni Settanta.

Dopo l’uscita di questo saggio, che è stato manipolato e sottoposto a censura, la sua famiglia e i suoi amici sono stati pedinati e importunati da reporter in cerca di marcio che lo hanno definito comunista e terrorista, e che si sono presentati a casa di sua madre spacciandosi per giornalisti dello Spiegel.

Ai vicini di casa dei genitori, hanno addirittura chiesto se Wallraff da piccolo rubava le mele o se era uno da zuffe.

Siamo così abituati alle nostre comodità: la spesa al supermercato, il tragitto per andare in ufficio, il panettone a Natale, e ci dimentichiamo che le libertà di cui godiamo non sono date una volta per tutte.

Per questo ringrazio Wallraff e chi, come lui, rischia di suo per salvaguardare ciò in cui crede.

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