CANDIDATO PREMIO CAMPIELLO 1977
Incredibile come cambi lo stile di scrittura in pochi decenni. In questo libro ho trovato alcuni termini che sarebbe un eufemismo chiamare desueti, oggi: “mongoloide” ad esempio, o l’uso del diminutivo con i nomi dei bambini (“Carlino”… pensavo parlasse del cane di uno dei protagonisti).
Ho guardato in giro le recensioni su questo romanzo, e ho spesso trovato tentativi di leggerlo in senso femminista, solo perché la protagonista, Angela, è una donna che fa delle scelte coraggiose. Dunque ogni romanzo di formazione con un uomo come protagonista dovrebbe essere definito “maschilista”??
Ma iniziamo con la trama…
Angela vive col nonno in una casa sulla spiaggia ligure. La madre lavora lontano e il padre, pittore rinnegato dalla famiglia di origine, è morto.
Da bambina e da adolescente si distingue dal gruppo dei suoi coetanei per la trasparenza e l’ingenuità con cui vede il mondo. Il suo ambiente ovattato viene messo in subbuglio quando incontra Vladi e diventa la sua amante a 19 anni.
Peccato che Vladi sia già sposato, addirittura con una donna che appartiene alla famiglia del padre di Angela.
Angela resta incinta e decide di tenere il bambino, nonostante Vladi non sia molto deciso sulla strada da prendere. Quando la ragazza si sposta a Milano per studiare arte, Vladi le procura un appartamento in cui trovarsi a quattr’occhi, ma il loro rapporto è spesso rannuvolato dalle difficoltà dell’uomo, che deve dirigere una fabbrica in tempi (la fine degli anni Sessanta) a dir poco turbolenti.
Le cose precipitano quando scoppia una bomba in fabbrica e Vladi rimane ferito.
Angela si ritrova a dover riflettere su cosa fare della sua vita e, pur con molti dubbi, decide di continuare a vivere da sola.
Nasce il figlio (il “Carlino”!) ed Angela inizia una storia con un suo maestro, ma non riesce a viverla con l’intensità che aveva vissuto con Vladi.
Non vi dico il finale, preferisco approfondire alcuni passaggi, magari scrivendone li chiarisco anche a me stessa.
Innanzitutto, ho l’impressione che le motivazioni di Angela siano un po’ fumose.
Ad esempio: perché molla Vladi?
Vladi è sempre indeciso tra lei e la moglie; Vladi non prende neanche in considerazione il fatto che lei possa avere delle idee politiche; Vladi vorrebbe che lei rimanesse a casa per fare la madre e la moglie.
Queste sarebbero già motivazioni sufficienti a mollare un uomo, ma lei aspetta. E non lo fa perché ha bisogno dei soldi per quando nascerà il bambino (è sempre stata chiara su questo punto, vuole essere indipendente), né perché non può vivere senza di lui (o almeno a me non ha dato l’impressione di essere pazza di lui quando è a Milano).
Ho l’impressione che resti con lui perché anche lei non sa come comportarsi, e allora lascia passare il tempo continuando a fare quello che faceva prima.
A parte questo, per il resto, Angela non ha difetti. Se fa degli sbagli, vengono giustificati da tanta verbosità che, alla fine, non sono più sbagli, e se fa la musona e non parla, è perché pensa profondamente.
E poi, tutta la sua vita sembra ruotare attorno agli uomini. Ne ha avuti solo due, è vero (il romanzo copre forse una trentina d’anni della sua vita), ma si parla quasi solo di questo. Ci sono accenni alla situazione politica, e ogni tanto pensa al figlio e agli esami, ma tutto resta molto più fumoso, l’autrice mi sembra più preoccupata ad esercitare la sua capacità verbale che a dire chiaro e tondo come stanno i settori della vita di Angela non legati all’universo maschile.
Ad esempio, Angela decide di studiare arte: da dove viene questa passione? Perché di passione dovrebbe trattarsi. Però nel romanzo ci viene descritto solo uno dei suoi quadri, tutto il resto della sua attività artistica resta sullo sfondo, come si trattasse di pratiche burocratiche anonime.
Diciamo che non mi è tanto simpatica, Angela…
Ma non possono essermi simpatici neanche i due uomini: Vladi tiene i piedi in due scarpe e perde più tempo a giustificarsi che a pensare al figlio che deve nascere; Pezzarocchi parla e parla di come lui vede Angela ma alla fine si ha il dubbio che non la guardi sul serio per come è.
Infine, ma qui il libro è il frutto degli anni in cui è scritto, i dialoghi… i personaggi parlano come “libri stampati”, come professori di filosofia e sociologia. La gente non parla così.
insomma… Lo ho letto fino alla fine “solo” perché la Lagorio sta mettere le parole sulla pagina in uno stile davvero curato.
Voto: 3+ (su 5)