Tag Archives: Scrittori

Tecniche di seduzione (Andrea De Carlo) @LibriBompiani

Non sono una grande fan di Andrea De Carlo, ma questo libro me lo ha consigliato il mio amico Riccardo Perosa, musicista e scrittore (anche se non ancora pubblicato). E in effetti, a differenza degli altri libri di De Carlo, sono riuscita ad arrivare alla fine, cosa che non faccio se il romanzo non mi piace proprio.

Roberto Bata lavora in un settimanale milanese: è insoddisfatto di quello che scrive sul giornale e sta lavorando a un suo romanzo che parla di questa frustrazione. E’ sposato da sette anni con Caterina e il loro matrimonio è fatto di abitudini e rispetto reciproco.

Quando Roberto incontra Polidori, acclamatissimo scrittore conosciuto in Italia e all’estero, la sua vita cambia. Polidori gli trova un posticino in un giornale romano: Roberto molla il lavoro e si trasferisce lasciando la moglie a Milano; si accorge subito che il lavoro è solo fittizio: la redazione vive sui soldi pubblici e ogni collega, in ufficio, si dedica agli affari propri.

Questa inattività è però redditizia e gli permette di dedicarsi alla revisione del suo romanzo, che Polidori insiste per pubblicare il prima possibile.

Pensavo che non avevo fatto nessun lavoro per essere pagato; pensavo a quanti altri soldi pubblici dovevano passare di mano nello stesso modo in quel momento.

Roberto si è innamorato perdutamente di Maria Blini, una bella attricetta che gli si concede fisicamente ma che non gli dice quasi nulla della sua vita.

Polidori intanto lo inizia alla vita altolocata romana: gli presenta rappresentanti dell’editoria, del mondo politico e televisivo, e rappresenta ognuno di questi personaggi nella peggior luce possibile, svelandone i lati più meschini, ma sempre ammettendo, col suo comportamento più che a parole, che la loro frequentazione è necessaria.

Roberto si lascia trascinare da Maria e Polidori senza quasi aver volontà propria, tranne quella di far sesso con la ragazza: è una persona che non riflette sulle intenzioni altrui, e infatti ne pagherà le conseguenze.

Ma il protagonista vero del libro non è lui: piuttosto, è l’ambiente in cui è andato a vivere, pieno di doppiogiochisti e ciarlatani e approfittatori, tutti considerati come mali necessari e oramai dati per scontati.

Non credo sia un caso che Roberto inizia la sua storia a Milano, poi scende a Roma, e finisce a Palermo: parallelamente, c’è una discesa negli inferi della sua vicenda.

A Roma si accorge di quanti vivano alle spalle del popolo italiano, ma in città si può ancora vivere senza paura. Questo non accade a Palermo, dove la paura è quasi un dato costante ogni volta che si esce in strada. Ed è a Palermo che scopre cosa sta succedendo alle sue spalle.

Nel romanzo ci sono alcune piccole verità che condivido: come l’opinione di Polidori sull’aria accademica che tira nel mondo letterario italiano, dove più scrivi aria fritta e più ti stimano come grande autore, meno ti si capisce, più grande diventa l’alone di letterarietà che ti aleggia sulla testa.

Certi atteggiamenti dei personaggi, però, li trovo troppo fasulli.

Maria Blini ci prova con Roberto Bata la seconda volta che lo incontra: la bellissima attrice che finisce a letto con uno sconosciuto spiantato? Poco credibile.

Quando la loro relazione inizia, poi, Roberto Bata non insiste per conoscere le ragioni della ritrosia intermittente di Maria Blini. Il comportamento della ragazza è così bizzarro che avrebbe richiesto una spiegazione, ma lui non la pretende, la contempla in adorazione e vive in attesa delle sue telefonate, ma non insiste per ottenere risposte. Poco credibile.

Infine: sicuramente il mondo letterario italiano ha i suoi difetti, i suoi furbastri e i suoi incapaci. Però se ci limitiamo al cerchio di conoscenze romane di Roberto Bata, sembra che sia tutto qui, che non ci sia nessuno che scriva bene, che scriva contenuti, che scriva o che pubblichi perché ci crede. E’ sicuramente una visione distorta perché tutte le conoscenze di Bata sono guidate da Polidori, che ha i suoi interessi, però la visione d’insieme è così cupa e oppressiva che, chiusa l’ultima pagina, ti chiedi dove andremo a finire.

Polidori è un bel personaggio: ha le sue idee sulla gente che frequenta e su come ci si deve comportare, sa argomentare, sa sedurti. La seduzione di cui parla il titolo, è la sua, non quella di Roberto Bata con Maria Blini, ed è un mix di attenzione e assenza ben dosate tra loro. E’ una forma di arte.

Leave a comment

Filed under Libri & C.

Il bordo vertiginoso delle cose (Gianrico Carofiglio) @GianricoCarof

Il titolo, preso da un verso di Browning, è perfetto per questo romanzo: il bordo delle cose è quello su cui si trova il protagonista, Enrico Vallesi, che ripercorre la sua vita nel presente e nel passato, quando andava alle superiori.

La sua gioventù è stata segnata da mille paure: quelle che, una volta arrivato sul bordo di qualcosa, una volta provata la vertigine di guardare in basso, lo bloccavano.

Ha fatto così con la sua vita professionale: ha scritto un libro che ha avuto successo, ha provato l’ebbrezza di diventare uno scrittore che vive delle sue opere e poi non è più riuscito a scrivere.

Ha fatto così con l’amico Salvatore, che lo ha iniziato all’ambiente della sinistra estrema e violenta.

Ha fatto così con Celeste, la supplente di filosofia di cui si era innamorato e che a più di vent’anni di distanza gli resta ancora in testa.

Ma quando, adulto, solo, bloccato, legge sul giornale di una rapina finita male a Bari, sua città di nascita, il bordo delle cose si inclina, e lui scivola verso il destino che non ha mai avuto il coraggio di guardare in faccia.

Molla tutto e parte senza sapere bene perché.

Quando, ragazzo, Vallesi è entrato nel mondo della sinistra estrema, non si era reso conto di cosa lo aspettava.

Si trovò là, in un palazzo fatiscente, in mezzo a giovani che si allenavano alle lotta e all’uso delle armi, senza aver ben chiaro in mente quale era lo scopo finale di tutte quelle attività.

Lui non è andato fino in fondo, si è fermato prima, ma credo che in questo romanzo si spieghi bene come avveniva l’adesione di alcuni estremisti: per amicizia, più che per convinzione politica. La convinzione politica, a volte, arrivava dopo.

E’ un fatto importante, questo, perché si applica a tantissimi ambiti, non sono violenti.

Tu sei là, che leggi, e mentalmente dici a Vallesi: ma che fai, ma non ti rendi conto di cosa può succedere? Però l’essere umano funziona così, a volte anche da adulto.

Lettura piacevole che ti diverte e ti fa pensare.

1 Comment

Filed under Libri & C.

Jeffery Deaver a San Donà di Piave

“Sono un imprenditore e non lo nascondo”, ha detto ieri sera alla libreria Moderna Jeffery Deaver.

Se deve creare un personaggio che faccia meno paura per attirare quei lettori che non amano troppo spaventarsi, lo fa.

Perché una frase così, nella mia testolina bacata suona male quando è pronunciata da uno scrittore?

Eppure è vero, Deaver è sincero, lo fa per vendere più libri. Non lo fa per un senso elevato dell’arte. Dopotutto l’arte è nata come artigianato, come mestiere per scopi pratici.

E cosa c’è di più pratico dei soldi?

Ci sono stati dei tentativi di andare al di là dell’intrattenimento. L’intervistatore aveva toccato temi di contemporaneità, Trump, elezioni truccate, privacy… Io gli avevo chiesto cosa gli faceva paura sperando che si togliesse un attimo la maschera da imprenditore e ci mostrasse quella dell’essere umano.

Ma Deaver svicolava, tagliava corto, tornava sempre al suo compito manageriale: spaventare la gente (per vendere di più).

No, non ci sto.

Anche se scrivi thriller, devi dimostrarmi che sai andare oltre l’intrattenimento e la battutina. Che Wikipedia non è la tua fonte principale. Che ragioni sull’uomo e che le conclusioni a cui arrivi possono essere discusse con un pubblico venuto per ascoltarti. Che…

Eh niente, sono io quella sbagliata.

PS: non l’ho comprato il suo ultimo romanzo. Gli ho fatto firmare una copia di un suo libro del 2017 che ho comprato usato per 2,50€😅😅😅

1 Comment

Filed under Libri & C.

Beauvoir in Love, Irène Frain @Librimondadori

Biografia romanzata (o romanzo biografico) della storia tra Simone de Beauvoir e lo scrittore Nelson Algren.

Non ho messo alcun aggettivo al sostantivo “storia”. Non la considererei una vera e propria storia d’amore. Piuttosto, una storia di passione, una forte attrazione sessuale.

La Frain si è basata su un’enorme massa di documenti per scrivere questo romanzo; tuttavia, la storia che ho letto (volentieri e fino alla fine) mi è sembrata un altro pianeta rispetto a quello che sapevo della De Beauvoir. Facendo il confronto con alcuni passaggi di “La forza delle cose”, che è la sua autobiografia di quel periodo, ne vengono fuori due donne diverse. Nell’autobiografia, vediamo un’intellettuale famosa tutta infervorata nelle discussioni politiche e filosofiche che si innamora di un uomo pur restando legata a Sartre. Nel romanzo vediamo una donna che ha perso la testa per un uomo ma che resta legata a Sartre: manca tutta, e dico tutta, la sua parte intellettuale.

Nel romanzo non si fa cenno alla filosofia e alla politica: la De Beauvoir viene rappresentata a volte come una seduttrice, a volte come una bimbetta, a volte come un’isterica, a volte come una donna completamente perduta per l’amante, ma non c’è traccia della sua personalità pubblica; è come se non esistesse; e non si fa il minimo accenno neanche all’altra passione dell’intellettuale: i viaggi. Esistono solo i due amanti.

Sicuramente questo è l’effetto voluto dalla Frain: rendere l’intensità del rapporto a due, finchè è durato. E ha ben reso anche lo sdoppiamento della De Beauvoir quando spiegava che in lei c’erano due donne che di raro si trovavano d’accordo: Simone, la donna innamorata di Algren, e Il Castoro, dal soprannome che indicava il suo ruolo all’interno dell’originario gruppo di amici ed intellettuali di Parigi.

Leggendo in parallelo il romanzo e l’autobiografia, è interessante vedere come il rapporto venga fuori sotto due lenti completamente differenti. Ovviamente, su queste vicende è più interessante il romanzo, soprattutto perché ben evidenzia l’andamento della relazione, dall’apice al lento declino, fino all’odio finale.

Ma sono arrivati davvero ad odiarsi? Certo, in vecchiaia, quando venivano intervistati e le domande cadevano sulla loro relazione, entrambi si scaldavano parecchio. Ma la De Beauvoir ha portato per tutta la vita l’anellino d’argento che Algren le aveva regalato (anzi, ha voluto essere seppellita con quello), e ha conservato accanto al letto tutte le lettere che lui le ha scritto (a differenza di tutto il resto del suo archivio, di cui lei non ha mai avuto molta cura). Mentre Algren si teneva in casa un collage fatto con tutti i ricordi che aveva raccolto nei loro incontri.

Perché la loro storia è finita? Dal romanzo, sembrerebbe che la De Beauvoir non abbia mai voluto abbandonare Sartre. A lui era legata dal loro patto: loro due formavano l’amore necessario, altre persone potevano intrufolarsi nel rapporto solo come amori “contingenti“. Ma Algren non ci stava (neanche gli altri amanti, se è per questo, né da parte della De Beauvoir, né da parte di Sartre).

Ecco cosa dice la De Beauvoir in “La forza delle cose”:

(…) è vero che la mia intesa con Sartre resiste da più di trent’anni, ma non sempre questo è avvenuto senza perdite e complicazioni di cui gli “altri” hanno pagato le spese.


Devo dire la mia? Questo patto tra Sartre e la De Beauvoir mi sembra tanto un accordo di comodo. Cioè: scopiamo con chi ci pare, ma restiamoci intellettualmente fedeli raccontandoci tutto. Già nel romanzo si capisce che i due non si dicevano davvero tutto: sembra che la De Beauvoir non abbia mai confessato a Sartre quando fosse gelosa di Dolores, la donna che lui “amava” mentre lei era innamorata di Algren. Ma anche Sartre si teneva certe cose per sé.

Prima di leggere questo romanzo pensavo che l’essere umano fosse un animale con tendenze poligame. Ora propendo per una via meno estrema: la poligamia crea casini. E poi, diciamolo: senza fatica, senza commitment, come dicono gli americani, non si crea nulla, né a livello personale, né a livello di coppia.

 

3 Comments

Filed under biographies, book, Libri & C., Scrittori francesi

Sull’autrice di Piccole Donne

image
Leggendo “Louisa May Alcott” di Susan Cheever (figlia dell’autore americano John Cheever), mi sono resa conto di quanto sia stata interessante la vita della scrittrice di Piccole Donne (che non ho ancora letto).

Controverso il suo rapporto con l’ingombrante padre Bronson: era un uomo con idee molto all’avanguardia sull’insegnamento. Le metteva in pratica in scuole che fondava con pochi accoliti, ma le praticava anche in casa, facendo degli esperimenti sulla forza di volontà delle figlie, ad esempio mettendo loro davanti una mela e invitandole a non mangiarla (poi se ne andava, lasciava Louisa da sola e quando tornava la mela non c’era più…).

Bronson era un vegetariano convinto e boicottava la schiavitù, tanto da arrivare ad ospitare fuggitivi di colore in casa, con tutti i rischi che ne conseguivano. Ma nonostante la sua brillantezza mentale, era incapace di guadagnare i soldi necessari per mantenere la famiglia, che spesso fu al limite dell’indigenza. Spesso ricorrevano all’aiuto finanziario degli amici (Emerson in prima linea).

Arrivò perfino a fondare una comune, a cui affluì un po’ di tutto: da aspiranti nudisti (che col clima di quelle parti rimasero “aspiranti”) e mentalmente instabili. Ma Louisa gli voleva molto bene. Non ho letto da nessuna parte in questo libro una riga in cui rinfacciasse al padre la sua incapacità pratica.

La Alcott fin da piccola aveva desiderato diventare famosa, o come scrittrice o come attrice. E infatti cominciò presto a mantenere la famiglia con la sua scrittura, solo che, scrivendo romanzetti, si vergognava, e preferiva pubblicare sotto pseudonimo (A. M. Barnard). Quando le proposero di scrivere un libro per ragazze, quello che poi diventò Piccole Donne, si rifiutò di farlo col suo vero nome.

Era fissata che doveva scrivere Grandi Idee. Cosa che non sorprende, visto l’ambiente intellettuale in cui viveva. Solo quando abbandonò questa fissazione riuscì a scrivere un romanzo che divenne un classico.

Questa biografia non è uscita in italiano. Peccato.

2 Comments

Filed under biographies, book, Libri & C., Scrittori americani

La verità sul caso Harry Quebert – Joel Dicker

imageAttenzione, non leggete questo post, perché potrebbero scapparmi fatti importanti per la rivelazione del mistero. Fatti che magari a qualcuno piace scoprire da solo…

Premetto che l’ho letto in sei giorni (770 pagine, nonostante 4 ore di lavoro al giorno, un bambino da seguire, un marito da sopportare, una casa da pulire – poco -, gli amici con cui uscire), dunque sì, se cercate un libro che vi tenga incollati e curiosi fino alla fine, questo va bene.

Tuttavia, non posso sorvolare sui difettucci.

Intanto, un paio di volte ho notato delle cadute sull’alternarsi del punto di vista: piccole confusioni, sguardi che passavano da un personaggio all’altro in modo troppo veloce..

Poi: dai, il solito scrittore con il blocco da pagina bianca… che noia. Non solo: uno scrittore che risolve un caso dove nessun poliziotto è riuscito a vederci chiaro. Questi poliziotti americani (sì, perché nonostante lo scrittore sia svizzero, il libro è ambientato negli States) sono proprio degli inetti!

Poi: la gente non si comporta così. La gente parla. La gente non sa mantenere i segreti come questi qua. Tutti i Non Detti della storia sono davvero poco plausibili. Un accusato che non racconta tutta la storia al suo avvocato… un paese intero che non dice allo scrittore che la madre di Nola prima della figlia…  e tutti reticenti perché tutti hanno altarini da nascondere… tutti. Non c’è uno normale in questi libri, non c’è uno che abbia una vita monotona come la mia. Caspita, mi devo trasferire negli USA per divertirmi un poco.

Altra inverosimiglianza: uno che lascia sempre la casa aperta. Sempre. E lascia i foglietti in giro dove scrive a una minorenne quanto la ama… Mah.

Incredibile poi come in trent’anni di circolazione del libro (quello scritto da Harry Quebert, che lo ha reso famoso e riverito nel mondo accademico), nessuno si sia interrogato sul titolo. “Le origini del male”: un titolo alquanto strano per un romanzo d’amore, eppure si sorvola sul suo significato finché il protagonista si pone il problema perché gli serve per scoprire cosa è successo. Insomma: se un titolo non è chiaro, la prima domanda che ti fanno alle presentazioni, è: “Cosa voleva dire con questo titolo?”

Poi, ultima mia incredulità: Nola.

Ragazzi: che lagna!!! E mi prendo cura di te, e ti amo tanto, e portami via, e che belli i gabbiani, e ti faccio un sandwich, e ti lavo i piedi… no, decisamente, non si può reggere. Una quindicenne con il quoziente intellettivo di una castagna cruda. Ogni volta che leggevo quello che diceva, mi venivano i brividi e mi mettevo il cappottino. Insopportabile.

Leave a comment

Filed under Libri & C.

Memoirs of a Muse – Lara Vapnyar

imageTanja’s dream is to become a muse, like Polina for Dostoevskij. When she goes in the United States she thinks that she has found his artist in Mark Schneider, a writer with beard and luxury flat.
But, strangely, Mark doesn’t write all the time. He doesn’t talk a lot about books and – very odd! – he doesn’t read a lot either. But Tanja is patient, because she knows that artists cannot be forced to create.

She needs several years before noticing that her Mark isn’t Dostoevskij, and that his artistic aspiration are bigger than his talent. Not only he reads Writerscom’ biographies to check what he has in common with famous Writers, but he is also very envious of other Writers whom he knows.

At the end of the novel, Tanja has almost forgotten her first dreams, she has married (not the writer) and got a child, when, suddently, she finds out that she has been the muse of someone…

Nice novel, because I – too – would have loved to become the muse of a writer, but gave up when I saw that there was no Canetti nor Veronesi nearby
But very deep are also the parts where Tanja conceals to herself that Mark is just an egoistic looser. Just another point of view on women who love men not because of their personalities, but because of dreams.

Dreams are important, but if you want to live, you must be awake.

Leave a comment

Filed under Libri & C.

Falsi miti sugli scrittori

image“Gli scrittori diventano ricchi.” La verità è che la maggioranza degli scrittori non riesce neanche a guadagnare il minimo per vivere con la sua scrittura. Diverse ricerche dimostrano che la metà degli scrittori che pubblicano guadagnano meno di 3000 € all‘anno (!), e si stima che meno di cento autori in Germania riescano a vivere solo della propria scrittura. E questo, considerando che la Germania, insieme all’Austria e alla Svizzera tedesca sono il terzo mercato librario al mondo; nei mercati linguistici più piccoli, le cose vanno ancora peggio.
Chi vuol diventare ricco farebbe meglio a fondare una compagnia, piuttosto che scrivere. Si diventa davvero ricchi (come gli invidiatissimi top manager) solo da imprenditori (di successo).

“Gli scrittori diventano famosi.” La verità, che riguarda perfino gli autori di bestsellers, le c.d. promesse die media, è questa: meritano una citazione solo quando si devono riempire degli spazi vuoti nelle trasmissioni – a volte la morte dell’autore stesso fa notizia. Ci sono eccezioni (Premi Nobel e alcuni autori particolarmente legati a certi scandali oppure scrittrici particolarmente attraenti), ma lo scrittore normale appare di raro nei media. E per strada non lo riconoscono.
Chi vuol diventare famoso farebbe meglio a far televisione, invece di scrivere.

“Gli scrittori conducono una vita eccitante.”
La verità è che gli scrittori conducono quasi sempre una vita solitaria. Si trascorre la maggior parte del tempo in una stanza silenziosa e si scrive. (…)
Chi vuol condurre una vita eccitante, farebbe meglio a fare qualunque altra cosa, invece di scrivere. Non importa cosa.

“Chi scrive, vive per sempre.” La verità è che la maggior parte delle nuove pubblicazioni dura lo spazio di un giorno. Un tascabile che non si vende bene fin dall’inizio, spesso già dopo due o tre mesi viene già eliminato dagli scaffali, un hardcover ha una vita media di sei mesi. Ci sono poi tantissimi autori di ex bestseller di cui oggi non si vende neppure una copia. Il numero delle opere che si leggono ancora dopo cento anni è limitatissimo. (E comunque ce ne sono. Alcuni autori latini, Seneca, Flavio ecc… – vendono bene ancora oggi, dopo duemila anni).

(Andreas Eschbach) (Traduzione mia)

2 Comments

Filed under Libri & C.