Da un vincitore dello Strega mi aspettavo di meglio.
Sottolineo che questo è un romanzo storico, non lasciatevi fuorviare né dal titolo né dalla copertina di questa edizione.
La vicenda principale è ambientate nel marzo del 1848, durante le cinque giornate di Milano, ma viene rivissuta da uno dei suoi protagonisti, il senatore del Regno d’Italia Italo Morosini, solo nel 1885, quando lo stesso riceve un plico anonimo ove è narrato il tradimento ai suoi danni della moglie Aspasia col suo migliore amico, Jacopo.
Niente da dire sulla ricostruzione storica, né sulle licenze che l’autore si è concesso (e che ha espressamente elencato alla fine del volume). Lo stato d’animo del 1848, del popolo italiano (milanese) oppresso, della voglia di libertà e della confusione, morale e politica, di quei tempi, è reso molto bene.
Il linguaggio e lo stile ricalcano quelli delle opere dell’epoca. La ragione di questa capacità di resa storica è in parte dovuta al fatto che Scurati ha fatto largo uso di documenti originali con tanto di trascrizioni vere e proprie (minute di discorsi, lettere, libri, articoli di quotidiani…).
Bene si sente, dunque, la voglia di libertà e di martirio che si è impossessata dei milanesi di ogni ordine e grado davanti alle angherie del vecchio Radetzsky, e leggendo ci si infiamma per il tradimento del re Carlo Alberto, dopo che il popolo ha giocato il tutto per tutto sulla propria pelle.
Di più: leggendo, ci si chiede dove è finito il patriottismo di quegli anni, e che fine ha fatto l’amore per il suolo italiano che imbeve ogni parola dei personaggi. La dignità italiana, questa sconosciuta, dove è finita? (c’è mai stata? Italiana nell’insieme intendo, non piemontese o lombarda o veneta)
La debolezza del romanzo io la vedo nei protagonisti.
Forse il ricorso a documenti reali è una delle ragioni per cui i personaggi sono mossi da motivazioni deboli. I pensieri di Italo, Aspasia e Jacopo sono come segmentati, non sono ben legati tra loro; a volte perdo il nesso di causa ed effetto tra un pensiero e il successivo.
Già il fatto che Jacopo si innamori di Aspasia dopo averla vista pochi minuti (il tempo necessario per salvarla da uno stupro), è più romanticistico che verosimile. Però è il male minore: siamo nell’Ottocento, loro sono giovani, dai, ci può stare.
Ma guardiamo, ad esempio, agli spostamenti fisici dei personaggi: sembra che si muovano solo per andare in cerca dei luoghi in cui si svolgono le azioni principali e dove compaiono gli eroi più famosi.
Un altro esempio: Italo, ormai sessantenne, è appena venuto a conoscenza del tradimento giovanile della moglie. Che fa? Va al caffè a prendersi l’aperitivo e a leggere il giornale. Curati ci prova a giustificare questa ricerca dell’abitudine, ma il risultato è debole.
Oppure: un misterioso sconosciuto si siede vicino ad Italo al caffè e gli rivela che il suo amico Jacopo in realtà non è morto. E Italo che fa?
(…) profondamente scosso dopo aver sentito che quel tizio, anche se per errore, sosteneva di aver conosciuto Jacopo, era già pronto a rifugiarsi nuovamente nella lettura del giornale.
Insomma: ti hanno appena detto che il tuo migliore amico si è ciullato tua moglie; tu lo credevi morto, e invece uno ti dice che è ancora vivo. E tu che fai? Leggi il giornale. No. Mi dispiace: un romanziere dovrebbe rendere meglio la vicenda. Non dici che è “profondamente scosso” e subito dopo gli fai prendere il quotidiano in mano. Come minimo, devi fargli chiedere spiegazioni!
Insomma: la psicologia dei personaggi è sfalsata e frammentaria. Sembra un puzzle di emozioni raccolte alla rinfusa, ben descritte nella loro individualità ma collegate male.
Ho poi il dubbio, che nella foga di inserire testi originali, l’autore si sia lasciato trascinare la penna, e alcune parti, fossi io stata un’editor, le avrei bannate, considerando la sensibilità del lettore comune (se bisogna dar ascolto a tale sensibilità ai fini commerciali).
Però io non sono una editor e non ho neanche una cultura letteraria.
Qualcuno di voi lo ha letto? Che ne pensate?