E’ considerato da molti il suo miglior romanzo: dovevo leggerlo, per rendermi conto delle ragioni per cui la De Beauvoir afferma così spesso, nella sua autobiografia, di essere una Scrittrice.
La prima impressione che ne ho avuta è che la De Beauvoir è sì una grande filosofa e grande saggista, ma non la definirei grande scrittrice. Lei non crea mondi: ne riferisce. Questo volume è in grandissima parte tratto dalla sua vita reale, ne ruba personaggi, temi e ambientazioni. Se alla fine mi sono appassionata nella lettura, non è certo per la prosa, che è secca e descrittiva; piuttosto, per la stimolante atmosfera intellettuale che riporta in vita.
Non c’è una trama specifica: il libro narra di un gruppo di intellettuali alla fine della seconda guerra mondiale e ne riporta le discussioni e i crucci. Si spazia dal ruolo della letteratura (serve ancora?), alla vecchiaia e alla morte; dalla scelta, se scelta ci deve essere, tra l’Urss e gli USA, alla crisi dei giovani che mancano di figure con cui identificarsi; dall’impegno in politica alla possibilità di darsi a una vita estetizzante; dall’amore alla libertà, a molti altri temi.
I personaggi sono ricalcati sui caratteri delle persone che la De Beauvoir davvero frequentava. Sembra che Henri Perron sia l’alter ego di Camus, così lacerato tra la voglia di fare qualcosa per le ingiustizie del mondo e la tentazione di tirarsi a scrivere in un angolino sperduto del pianeta. Dubreuilh è Sartre, e sua moglie Anne è la Beauvoir stessa. L’americano Lewis è Nelson Algren, lo scrittore con cui la scrittrice ha davvero avuto un’appassionante storia d’amore (finita in modo piuttosto squallido, devo dire). Sezenak dovrebbe essere Koestler con la sua furia verso l’Urss. E chissà chi sono gli altri.
Fatti eclatanti ce ne sono (omicidi di ex informatori della Gestapo, falsa testimonianza per salvare un’amante, scenate e pianti…) ma il grosso del libro, e sono 764 pagine, è dato dalle conversazioni tra intellettuali, dai dubbi di schieramento, dalle riviste culturali, dai dibattiti in merito agli eccidi in Madagascar, dall’opportunità di pubblicare o meno un articolo sui campi di lavoro sovietici ecc…
Insomma, la De Beauvoir ha mantenuto vivo un mondo.
Infine, ci sono frasette qua e là che, pur nella loro perentorietà, ti danno l’idea della sua capacità di analisi delle persone; in particolare, della gente che scrive:
(…) non s’indovina così, a prima vista, se qualcuno ha o no del talento, ma si fa presto a capire se abbia delle vere ragioni di scrivere: tutti quei figurini da salotto scrivevano solo perché, quando si vuol fare la vita letteraria, è necessario in generale scrivere qualcosa; ma nessuno di loro amava il tete-à-tete con la carta bianca; desideravano il successo nella sua forma più astratta.