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Il colibrì (Sandro Veronesi) @lanavediteseoed

Per me è raro leggere il vincitore dello Strega nello stesso anno in cui è stato nominato: di solito compro i libri ai mercatini dell’usato, ma questo mi è arrivato in regalo (finalmente qualcuno che mi regala libri).

A dispetto di quello che si può dire dei premi letterari, per quanto accusati di brogli e favoritismi, il vincitore dello Strega è comunque sempre un bel libro, curato, con una prosa ricercata. Non come i titoli che sono usciti durante il lockdown e che parlavano del lockdown mentre era in corso (ma si può scrivere un buon romanzo in un mese??).

Marco Carrera, oculista, fin dall’adolescenza è conosciuto come il Colibrì, perché è piccolo ma aggraziato. Il nomignolo gliel’ha dato la madre, ma anche quando il suo problema di statura sarà superato grazie ad una terapia a base di ormoni, il soprannome gli resterà attaccato e acquisterà un nuovo significato.

Un colibrì è un uccellino che sbatte le ali settanta volte al secondo in modo da riuscire a restare fermo in volo e non cedere alla forza di gravità. Questo è quello che fa Marco Carrera: subisce una serie di lutti pesanti, non riesce a unirsi alla donna che ama dall’adolescenza, la moglie ha perso la ragione, il fratello non gli parla da anni, eppure trova sempre la forza di andare avanti, non collassa, non cade.

Un romanzo sulla resilienza?

In realtà è un romanzo che parla a tutti noi: a chi non capitano lutti e disgrazie? Eppure ognuno a modo proprio trova in sé le ragioni per continuare a vivere, e, a volte, anche per godersela.

Il messaggio che più mi piace, però, è quello che Marco Carrera e quelli come lui hanno la propria dignità: anche se non correno a destra e sinistra, anche se non si pongono obiettivi grandiosi, anche se non sono costantemente in affanno per raggiungere un obiettivo prestigioso, anche se “stanno fermi”, loro sono dignitosi, loro… valgono.

E’ un messaggio in sordina, eppure potente, che mi richiama alla memoria lo Stoner di Williams.

E’ grazie a questi piccoli esseri coraggiosi se la generazione futura avrà la forza di opporsi a chi negherà la dignità a chi non può rivendicarla con la forza (i deboli, gli immigrati, le minoranze, i disabili…).

O per lo meno così ho interpretato io il libro.

Un breve commento sullo stile: i capitoli non sono in ordine cronologico, la narrazione va avanti e indietro negli anni, fino ad arrivare a un ipotetico 2030.

Non sono d’accordo con molti booktuber che sostengono che la prosa sia semplice e adatta a tutti, anche ai lettori non abituali: sebbene ogni capitolo sia a sé (messaggi telefonici, dialoghi, lettere, prosa “classica”, flusso di coscienza ecc…), il registro medio è piuttosto alto, soprattutto in quelle parti prive di punti per pagine e pagine.

Ma a me non ha disturbato.

L’unica pecca è che devi metterti a leggerlo quando sai che non hai altri impegni: non puoi mollare una frase infinita per andare a mescolare il risotto.

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Per dove parte questo treno allegro, S. Veronesi

Ops, la recensione su sololibri.net c’era già… vuol dire che posterò qui.
La vicenda che fa da spina dorsale al romanzo è presto detta: un padre chiede al figlio di andare in Svizzera per prelevare i soldi scampati a una procedura fallimentare e ora depositati in un conto cifrato. Se dunque il libro è degno di lettura, non è tanto per la storia centrale, quanto per tutte le sottostorie e i dettagli che impreziosiscono le psicologie dei personaggi, sia principali che secondari. Ai bravi scrittori a volte basta un solo aggettivo per catturare l’attenzione dei lettori:
“Il curatore era molto in confidenza con i proprietari del ristorante, il che ci fruttò il miglior tavolo con vista sulla sterpaglia e una serie di finte confidenze marinare ogniqualvolta uno dei gestori veniva a prendere un’ordinazione”.
Al di là della storia principale, le molteplici microstorie in cui Veronesi ci lascia ficcare il naso spesso rispecchiano situazioni che abbiamo vissuto tutti. La scenetta qui sopra l’abbiamo di sicuro vissuta anche noi, magari fieri di essere stati scelti come destinatari di quelle finte confidenze marinare, e consapevoli che dagli altri tavoli gli avventori allungavano l’orecchio per ascoltare ciò che veniva raccontato anche un po’ per loro. Ma Veronesi non dimentica mai di mostrare l’ambiguità delle situazioni (ecco la sua scrittura ironica!), e se il tavolo è il migliore perché ti permette di osservare le sterpaglie, allora le finte confidenze arrivano quando si devono raccogliere le ordinazioni: ci si imbuona il cliente con una chiacchiera in modo che quello aggiunga aaltre pietanze alla lista senza quasi accorgersene. In poche righe è stata descritta la psicologia della figura del ristoratore medio italiano. Dopo aver letto una frase del genere, la prossima volta che andremo a mangiare in trattoria, saremo più consapevoli di queste ambiguità, e se il ristoratore verrà ad allietarci con qualche sua arguzia, lo accoglieremo forse con meno orgoglio, ma anche con più benevola ironia.
Questo libro è disseminato di immagini brevi ma ultra-evocative: lo si legge nutrendo la voglia di diventare anche noi, sulla scia di Veronesi, un po’ più osservatori e più ascoltatori.

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Per dove parte questo treno allegro, di Sandro Veronesi

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Io voglio conoscere Sandro Veronesi. Ho già scritto la recensione di questo libro e quando torno a casa (ora sono in autostrada, stiamo andando a Parma per una visita al bimbo) la pubblico su sololibri.net (sempre che non sia già stato recensito). Il fatto è che questo scrittore, come uomo, deve essere un’osservatore di prima categoria. Potrei dire un osservatore di “prima” e basta, nel senso che gente che osserva altra gente come fa lui, ce n’è poca. Uno che osserva le fossette sulle facce delle persone comuni e che le mette a confronto con quelle degli attori famosi. Deve essere un essere umano interessante. Ma forse mi fa anche un po’ paura, perché osserva troppo. Potrebbe scoprire qualcosa di me di cui altre persone con cui vivo fianco a fianco da anni non si sono accorte. O qualcosa che anche io cerco di tenermi sotto pelle, perchè non sta bene mostrarlo in giro. Perché, voi non ne avete, di queste cose? Sentite questa descrizione, che spero non mi si addica. Sta parlando del marito della ex fidanzata del protagonista: “Guardai il marito di Rita, dunque, in faccia per la prima volta, ed era davvero un bel ragazzo: riccioluto, muscoloso, alto, fotogenico. Ebbi anche l’impressione di averlo visto in televisione, in qualche sceneggiato. Tuttavia nel suo volto scavato, nel suo sguardo fiero e in quel sorriso realmente troppo largo, era contenuto qualcosa di sgradevole, che rendeva il suo aspetto vagamente feroce. C’era qualcosa, in lui, che spingeva a immaginarlo furente, rabbioso, come tutti i suoi tratti spingessero costantemente per risolversi nell’ira.”

Mi fermo qui. Immaginate come si può scrivere su un notebook tenuto sulle ginocchia, con i sobbalzi dell’auto che ti spostano la tastiera ad ogni lettera, col libro di Veronesi bloccato sullo schermo con le pagine che si girano. Per fortuna che conosco la scrittura a tastiera coperta, altrimenti non sarei qui. Sarebbe un male?

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