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I leoni di Sicilia (Stefania Auci) @EditriceNord

Ne avevo sentito parlare bene e questo romanzo merita la sua fama. Ben scritto, ben documentato. Molto piacevole e consigliatissimo.👍🏾🧨😍

E’ un romanzo storico incentrato sulla famiglia Florio.

Nel 1799, Paolo Florio, in seguito a un terremoto, decide di lasciare Bagnare in Calabria e di trasferirsi a Palermo per dedicarsi al negozio di spezie di cui è comproprietario col cognato. Porta con sé la moglie Giuseppina, il piccolo figlio Vincenzo e il fratello minore Ignazio.

Giuseppina si trasferisce di malavoglia: non le va di abbandonare la casa di famiglia (che è comunque passata al marito in dote) né la cognata Mattia, che è l’unica che le ha offerto una spalla su cui piangere: perché Giuseppina non ama il marito Paolo. Il matrimonio è stato organizzato dai genitori per motivi economici, come succedeva a quei tempi.

I fratelli Florio, Paolo e Ignazio, arrivano a Palermo e si tirano subito su le maniche: affrontando il malanimo dei commercianti locali e senza farsi scoraggiare dalle prime difficoltà, riescono a tirar su un’azienda che crescerà e crescerà fino a diventare, con il figlio e nipote Vincenzo, un impero.

Dalle spezie, passeranno al tonno, all’olio d’oliva, al vino, al caffè, allo zucchero, al cotone; si allargheranno al settore assicurativo e bancario (passando probabilmente attraverso qualche prestito ad usura), arriveranno a possedere una flotta. Firmeranno contratti con commercianti e politici di mezzo mondo. Spetta a loro l’invenzione del tonno sott’olio.

Eppure, nonostante la loro crescita economica, soffriranno sempre di ansia da prestazione nei confronti dei nobili locali: per quanto riescano a passare da una catapecchia a un palazzo degno di un re, saranno sempre considerati dei facchini venuti da fuori. Sarà il cruccio più grande dei Florio, soprattutto di Vincenzo, che rincorrerà il titolo nobiliare per tutta la vita.

Lo rincorrerà anche attraverso il matrimonio.

Innamoratosi della figlia di un commerciante di Milano, Giulia, fin da subito mette in chiaro che non la sposerà. Ne farà la sua mantenuta ufficiale, sempre ricordandole che lui sta cercando una moglie di sangue nobile (anzi, in realtà ha lasciato alla madre il compito di trovargli una compagna adatta).

Da questa relazione nasce una figlia. Poi una seconda. E Vincenzo continua a rifiutare di sposare Giulia. A meno che… non gli faccia un maschio. Un erede per il patrimonio dei Florio.

E il maschio arriva. Lo chiamano Ignazio, in onore dello zio. E col maschio, Vincenzo decide finalmente di mettere in regola la situazione di Giulia (“E tanto ci voleva?” dice il prete che gli farà firmare l’atto di matrimonio).

Oltre alle imprese commerciali e ai problemi familiari, il romanzo ben racconta anche il clima di quegli anni: nell’Ottocento è tutto un susseguirsi di rivolte e restaurazioni, e i Florio riescono ad attraversare questo mare in burrasca come fanno le loro navi che si spingono fino nell’America latina. Vincenzo non si tira indietro se l’opportunismo può servire alla sua causa: arriva a comprare un carico di armi in Inghilterra per i rivoltosi, ma anche a lasciare che i Borboni e il nuovo regno “piemontese” si servano delle sue ricchezze per pagare i costi militari.

Gli eventi sono molti, non si possono riassumere senza togliere bellezza al romanzo.

Solo una riflessione sul ruolo delle donne: erano poco più che merci di scambio.

Giuseppina è costretta a sposare Paolo (e per tutta la vita rimpiangerà di non aver sposato Ignazio, neanche dopo esser rimasta vedova): dovrà seguire marito dove e quando lo deciderà lui e questo le avvelenerà la vita.

Una pensa: beh, questa esperienza le avrà insegnato qualcosa sulla posizione delle donne. E invece, quando c’è da cercare una moglie per il figlio Vincenzo, la sua unica preoccupazione (oltre al blasone) è che la futura moglie sia giovane e flessibile per piegarsi meglio ai desideri del marito.

E che dire delle figlie di Vincenzo? Se non fosse nato il maschio, sarebbero rimaste figlie illegittime, e Giulia stessa sarebbe rimasta per sempre la poco di buono del paese. Le figlie lo sanno, ma alla fine decidono di sposarsi alla meno peggio, pur di allontanarsi da un padre che sanno preferire il figlio maschio.

Per anni Giulia ha lottato contro la paura di essere abbandonata, perché Vincenzo poteva prometterle di occuparsi di lei anche dopo il matrimonio con una nobile, ma si sa come vanno queste cose…

Ma Giulia non solo era determinata a dare un futuro alle figlie: era anche davvero innamorata di Vincenzo. Deve essere stato difficile. Perché al di là dei soldi, dei gioielli, dei tappeti persiani, dei palazzi, delle industrie, lei viveva con uno che pensava costantemente alla Casa Florio, agli affari, agli accordi commerciali, alle persone con cui doveva firmare un contratto o litigare per un permesso.

Fino all’ultimo dei suoi giorni, lui non è mai stato capace di rivolgerle una parola d’amore. Era normale, a quei tempi. Ma la normalità quanto poteva aiutare una donna che si è trovata a gestire la responsabilità di apparire sempre irreprensibile per sé e per il marito?

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Belle Greene (Alexandra Lapierre) @EdizioniEO

Vincitore del Premio Comisso 2022 sezione Biografia

Un libro bellissimo: bella storia, ben scritto, ben documentato.

Tratta della vita di Belle Greene, bibliotecaria del finanziere miliardario J. P. Morgan, la donna più pagata all’epoca. E’ la storia di una passione, quella dei libri.

Belle Da Costa Greene in realtà era nata Belle Greener e proveniva da una famiglia di colore. Suo padre era stato il primo studente nero a laurearsi ad Harvard e il primo avvocato nero a cui fosse stato permesso di esercitare. Divenne anche il primo console di colore in missione all’estero (Vladivostok).

Un grande uomo, dunque, no?

Beh, anche io sono affascinata dagli uomini che si fanno avanti nel mondo a forza di studio e resilienza, ma si dà il fatto che il padre di Belle Greene nella vita privata fosse quel che si dice un farabutto. Lasciò la moglie per dedicarsi alla causa dei neri (nonché alle sue numerose amanti) e rifiutò categoricamente di aiutare la famiglia.

Geneviève, la moglie, si trovò a gestire da sola i figli. Come fare per garantire loro un futuro decente, senza dover lottare quotidianamente contro la povertà e le ingiustizie? Facendosi passare per bianca, approfittando del colore chiaro della pelle della sua famiglia (alcune figlie erano proprio bionde).

Si inventarono un lignaggio nobile di ascendenza portoghese, i Da Costa, e si trasferirono in un quartiere bianco, tagliando del tutto i ponti con la famiglia di Georgetown, che pure amavano. I figli giurarono solennemente che non avrebbero mai avuto una discendenza, per evitare che il colore scuro degli antenati potesse palesarsi in una delle generazioni successive.

Belle fin da piccola ha un sogno: lavorare con i libri e tra i libri.

Studia, raccoglie informazioni, osserva, fino ad arrivare a lavorare per il magnate J. P. Morgan, famoso tanto per la sua collezione di libri rari quanto per le sue sfuriate. Il rapporto è complesso: il miliardario è sospettoso di natura, deve esserlo, con tutti gli avvoltoi che gli volano attorno solo per i suoi soldi; ma si accorge subito della competenza e dell’energia di Belle, che, pian piano, diventa la donna più pagata d’America.

Si fida di lei: ad un certo punto, Belle ha carta bianca alle aste, può comprare senza limiti di spesa, eppure lei si comporterà sempre con attenzione e rispetto (guai a parlar male del signor Morgan in sua presenza!). Molto spesso rischierà grosso, soprattutto per trasportare opere d’arte e libri dall’Inghilterra all’America frodando le autorità doganali.

Morgan la inserirà nel testamento per un cospicuo legato, ma sarà, per tutta la durata del loro rapporto, un padrone esigente e tiranneggiante: arriverà al punto di dirle che non deve sposarsi!

Lei a sposarci non ci pensa. Non le mancheranno gli amanti, tutti di un certo livello: tra questi bisogna nominare Bernhard Berenson, famosissimo e richiestissimo critico d’arte, dal quale Belle assorbirà quanto più possibile della sua conoscenza, ma che farà anche il finto tonto quando lei, incinta, andrà ad abortire clandestinamente.

Il divieto di avere bambini sarà bellamente ignorato dalla sorella più giovane, Teddy. Il primo figlio nascerà senza conoscere il padre, che muore in Europa durante la prima guerra mondiale, e viene adottato da Belle, che stravede per lui.

Ma il segreto della famiglia è sempre in pericolo, soprattutto a causa del padre di Belle, che sarà una costante ombra minacciosa e che li ricatterà per motivi economici.

Io l’ho trovato un libro bellissimo e vorrei consigliarlo a tutti.

Ognuno di noi ha una paura che lo tiene incatenato dove si trova. Belle rischiava grosso facendosi passare per bianca: se l’avessero scoperta avrebbe perso il lavoro (con il quale aveva garantito un alto tenore di vita a tutta la famiglia) e sarebbe potuta andare in prigione. Eppure lei non si è fatta legare le mani: si è data da fare e ha esaudito il suo sogno.

Inspiring.

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True (Mike Tyson) @EdizPiemme

Ecco un tipo che non potrei mai frequentare. E non perché mi faccia paura: semplicemente perché non è una bella persona (con tutte le giustificazioni che può tirare in ballo per via della sua infanzia da povero).

Il padre è sparito dall’orizzonte familiare fin da subito. La madre è scesa sempre più in basso, finendo con l’abitare in edifici destinate alla demolizione e passando da una relazione disfunzionale all’altra.

Tyson ha iniziato a frequentare brutte compagnie fin da subito e a sette anni già accompagnava gli amici a fare furtarelli per gli appartamenti. A dieci anni il primo arresto. E’ semianalfabeta e non capisce niente a scuola, così iniziano a dargli medicinali per curare presunte disfunzioni mentali/emotive.

La sua vita prende una via diversa quando va a vivere da Cus, un settantenne che si è improvvisato allenatore di box e che lo prende sotto la sua ala protettiva: gli infonde fiducia, gli dà uno scopo. Peccato, però, che, per far questo, nutre talmente tanto il suo Io che aumenta la sua già ben avviata predisposizione alla sbruffonaggine.

Tyson affronta il suo primo match da dilettante a 14 anni e si fa subito notare: da là in poi, è una sfilza di vittorie, fino a diventare il più giovane campione del mondo dei pesi massimi a vent’anni.

Se da un lato è pazzo per la boxe, si allena senza risparmiarsi, legge libri e guarda video di pugili del passato, dall’altro non sa stare al mondo.

Le donne sono un problema: le tratta come strumenti da sesso. Le palpeggia, fa commenti spregevoli, va a letto con tre o quattro donne a notte e poi le manda via a male parole. Questa è la sua modalità di comportamento, non riesce a farne a meno.

Senza parlare della sua ammirazione per uomini che lui considera “forti”, e che invece vivono solo di furti, spaccio, sfruttamento della prostituzione. Vorrebbe avere il loro carattere, cerca di imitarli.

Grazie alla boxe accumula milioni e milioni di dollari, che spende senza alcun controllo: gioielli per sé e per gli amici (a volte anche per i barboni che incontra per strada), ville stratosferiche sparse per tutti gli stati uniti (dove tutto è firmato Versace: ma proprio tutto), cocaina, stranezze varie (tra le quali, non si possono dimenticare i cuccioli di tigri e leoni), auto di lusso.

Finisce in galera per lo stupro di Desiree Washington, anche se si dichiarerà sempre innocente.

Ma sapete una cosa?

Innocente o no, gli sta bene. Prima o poi doveva trovare quella che gliela faceva pagare anche per tutte quelle che sono state maltrattate.

In prigione diventa musulmano, e dopo centinaia di pagine di parolacce e apologia di vari reati, il passaggio a parole tipo “amore universale” e “veganesimo” sa tanto di “ho finito i soldi e devo rendermi interessante per vendere il libro”.

Sì, perché nonostante i milioni guadagnati con la boxe, alla fine lui è diventato “povero”. O almeno così si definisce. Ma non so quanto obiettivo sia uno che dice

“Ero a corto di soldi, quindi vendetti sessantadue macchine”.

Tyson è insomma una persona che nasconde la sua insicurezza dietro un muro di aggressività. E’ uno che è capace di staccare un orecchio a morsi ma che non è capace di controllarsi e dire no a una bottiglia di alcool, a una notte di bagordi con sette donne o a una striscia di coca; e quando ci riesce, le ricadute sono dietro l’angolo.

Ha una sfilza di figli avuti quasi tutte da donne diverse: se non mi son persa passaggi, a volte compare il nome di un figlio e prima non ha neanche mai nominato la madre, come se fosse irrilevante…

Con tutte le giustificazioni del mondo, come faccio a farmi piacere un tipo del genere?

Ho letto la biografia perché, non avendo la TV, l’ho sempre sentito nominare, ma ne sapevo poco. E ora che l’ho letta, mi innervosisco perché…

… Non sono i soldi che mancano nel mondo. Sono solo mal distribuiti. Ma tanto, ma tanto male.

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Invidia il prossimo tuo (John Niven)

Romanzo molto godibile.

Alan è un critico gastronomico famoso; sposato con una giornalista di ricchi natali, vive la vita invidiabile dell’alta borghesia, col giardiniere, la colf e la baby sitter; è iscritto a un club di lusso e si concede golf e vacanze ai tropici senza rimorsi.

Un giorno si imbatte in un barbone che lo saluta chiamandolo per nome e scopre che è il suo ex compagno di classe Craig: dopo un debutto fragoroso nel mondo della musica, Craig era uscito di scena e i due si erano persi di vista quasi trent’anni prima.

Alan è combattuto: da un lato inizia ad aiutare l’amico ospitandolo a casa sua ed informandosi da un avvocato circa i diritti che gli spettano per i dischi venduti; dall’altro, continua a provare verso di lui un’antica invidia per la sua scioltezza, il suo corpo ancora tonico, e, in generale, per la sua capacità di attirare la simpatia altrui.

Quando sono insieme, Alan e Craig tornano sedicenni: si ubriacano, ricominciano a parlare col vecchio accento scozzese, fanno le ore piccole.

Ma qualcosa va storto…

Mi fermo qui.

Romanzo ben costruito, sia dal punto di vista psicologico che della creazione dell’aspettativa, che poi viene premiata.

Interessante e ben dettagliato anche l’ambiente alto-borghese in cui Alan vive, senza dimenticare alcune scene comiche che sono piaciute pure a me (che di solito preferisco il drammatico).

Insomma: da leggere.

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Schliemann (Emil Ludwig)

Schliemann è diventato universalmente famoso perché ha scoperto Troia, ma dovete sapere che quest’uomo, nato nel 1822 in Germania (Meclenburgo), non era un uomo qualunque (e non faceva neanche l’archeologo di professione).

Figlio di un pastore evangelico, non ha avuto un’infanzia felice, a causa del padre, dedito all’alcool e alle donne. Il ragazzo era sveglio e sarebbe stato un buon alunno, ma il padre lo manda a fare il garzone in un negozio.

Si innamora di una ragazzina, ma il padre di lei non vuole uno spiantato per genero.

Allora Schliemann giura a se stesso che riuscirà a emergere, a fare i soldi e a tornare per sposare Minna. Impara la partita doppia e cerca di andare negli Stati Uniti a far fortuna, ma una tempesta lo sbalza fuori dalla nave. Sopravvive a stento e finisce in Olanda pieno di lividi e con due denti in meno, ma questa, senza che lui lo capisca subito, è la sua fortuna.

In Olanda Schliemann lavora come segretario di un commerciante, ma è così in gamba che non ci vuole tanto per diventare il braccio destro del padrone.

In questo è aiutato dalla sua prodigiosa memoria e dal fatto che a 24 anni parla e scrive correttamente sette lingue.

Attenzione: la memoria non è un dono del cielo. Schliemann ha sviluppato un metodo di studio delle lingue basato sul mandare a memoria pagine e pagine di libri in lingua straniera.

Sfrutta il poliglottismo per farsi mandare in Russia come rappresentante e ben presto… diventa ricco.

Negli anni diventa miliardario e continua a studiare nuove lingue: greco antico e moderno, inglese, olandese, spagnolo, italiano, russo, polacco, norvegese, sloveno, danese, svedese, persiano, arabo, turco…

Le lingue gli servono per sfruttare ogni minimo accadimento nel mondo: sul giornale legge che c’è stato un incendio nel tal posto? Allora è il momento di acquistare legname per poterlo rivendere dove poi sarà richiesto. Una nave piena di indaco è colata a picco? Inutile aggiungere che investirà nell’acquisto di un’enorme quantità del colorante.

A 42 anni è così ricco che può ritirarsi dal commercio e dedicarsi alla sua più grande passione: Omero e il mondo classico. Conosce a memoria quasi tutta l’Iliade e inizia a far scavi sul suolo greco (che, allora, era sotto il dominio turco).

Non vi dico altro sulla sua vita, ma credo sia interessante sapere qualcosa di più sul suo metodo di studio delle lingue:

Questo metodo semplice consiste nel leggere molto ad alta voce, far brevi traduzioni, prendere una lezione al giorno e scrivere i propri pensieri su temi di interesse personale, per correggerli sotto la direzione del maestro, e poi studiare a memoria per la lezione seguente ciò che si è corretto il giorno prima.

Il figlio del pastore evangelico aveva anche l’abitudine di andare, due volte ogni domenica, alla chiesa anglicana. Perché? Perché le lezioni erano care, e là si poteva apprendere a parlare un buon inglese senza spendere un soldo.

Ogni volta che uscivo di casa portavo con me un libro nel quale studiavo brani a memoria; ogni volta che mi facevano aspettare alla posta, occupavo il mio tempo leggendo. (…) In questo modo imparai a memoria tutto il Vicario di Wakefield e l’Ivanhoe.

Ecco in poche righe condensata la teoria dei compellent e comprehensible input di Stephen Krashen.

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Mildred Pierce (James M. Cain)

Siamo negli Stati Uniti durante la depressione. Mildred Pierce è una vedova bianca, una donna che deve occuparsi di due figlie da sola, perché ha buttato fuori di casa il marito che non lavora e ha un’amante.

La prima soluzione che le viene in mente è di sostituire il compagno con un altro uomo. Ha un’avventura con un ex collega del marito, ma si accorge che non è la strada giusta.

Decide allora di trovarsi un lavoro, ma l’unica cosa che sa fare è far torte e badare a una famiglia, dunque le offrono solo lavori da cameriera o da governante e lei è troppo orgogliosa per accettarli, la sola idea di indossare un grembiule la fa star male. Lo fa solo quando è agli sgoccioli coi soldi e la rata del mutuo della casa incombe.

Inizia dunque a lavorare come cameriera in un caffè e ben presto si accorge di cavarsela molto bene. Il guaio è che deve tener nascosto il suo lavoro alla figlia Veda di undici anni: è una ragazzina snob che disprezza i lavori umili e che ben presto scopre come la madre porta a casa i soldi.

Nel romanzo si affrontano queste due donne: entrambe sanno cosa fare per raggiungere i propri obiettivi, ma Veda lo farà a spese della madre, senza risparmiarle il suo disprezzo e senza alcuna riconoscenza per suoi gli sforzi che la donna compie per non farle mancare niente. E’ una ragazzina manipolatrice che si approfitta della madre, che stravede per lei, e che offende come una figlia non dovrebbe permettersi di fare.

Insomma, Veda è proprio una stronza, e ogni volta che tira fuori la sua natura, ti chiedi come fa Mildred a non buttarla fuori a calci. Viste le premesse, pensavo che Veda si sarebbe rovinata, e invece il romanzo ti sorprende…

Mildred è un bel personaggio: ha i suoi lati oscuri e non disdegna di infrangere alcune regole sociali pur di sollevarsi economicamente (se si deve andare a letto con uno, si fa…); quello che più mi ha sorpreso è che butta fuori di casa il marito pur amandolo, e che ha dei sentimenti molto diversi nei confronti delle due figlie (quasi al limite dello shock, per chi legge).

Ma le ambiguità di Mildred non sono mai buttate là, si mescolano bene con gli altri aspetti del suo carattere, e alla fine ne viene fuori un personaggio credibile a cui ti affezioni: prendi le sue parti, perché, molto orgogliosa, si accorge subito se qualcuno la considera inferiore, e la sua determinazione a ridurre le distanze economiche è seconda solo alla volontà di compiacere Veda.

Veda è insopportabile, ma non diventa mai una macchietta: non è facile creare un personaggio così ma l’autore ci è riuscito molto bene.

Un bel romanzo, scritto in terza persona dal punto di vista di Mildred: ci fa ragionare sui sentimenti, sulla cecità dell’amore, sulle distanze sociali ed emotive.

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Appigionasi – John Galsworthy

Londra, 1920.

Soames Forsyte ha una figlia che adora, Fleur. Fleur si innamora di un lontano cugino, Jon, ma la loro storia è impossibile: la madre di Jon vent’anni prima è stata sposata, senza amore, con Soames Forsyte, e dopo pochi anni lo ha abbandonato per andarsene con un altro.

I due giovani non sanno di questa storia ma intuiscono che qualcosa non va nei rapporti tra le rispettive famiglie.

Sarà il passato a decidere del loro rapporto, perché certi scandali non si perdonano neanche a decenni di distanza.

A noi, oggi, un impedimento del genere fa sorridere: Jon rinuncia a Fleur solo perché il padre di lei, molto tempo prima, ha posseduto la madre di lui come fosse stata una proprietà? Perché non ha voluto concederle il divorzio? Perché l’ha costretta a tradirlo? Ma dai…!

Credo che il nocciolo di tutto stia proprio nel concetto di proprietà, che, per la famiglia Forsyte, si applica sia alle case che alle persone.

In questo romanzo non ho trovato nessun personaggio che sia davvero positivo: non Soames, che brama ricchezze e persone; non Fleur, che – forse – porta in sé l’avidità del padre; non Irene, che alla fine lascia che il figlio rinunci a Fleur pur di non riallacciare i rapporti con l’ex marito; non Jon, che cede alla forza “maggiore”. E nessuno degli altri parenti e amici che gravitano attorno alla famiglia, tutti tesi nel silenzio, quando sarebbe stato molto più semplice informare i giovani fin dall’inizio per evitare complicazioni.

Perché dico che Fleur forse porta in sé l’avidità del padre? Perché c’è una parte del romanzo in cui so parla dell’idea fissa:

L’idea fissa, che più di ogni altra forma degenerativa dell’umana natura ha dato luogo a disordini e delitti, non è mai tanto temibile come quando assume la maschera della frenesia amorosa. L’idea fissa dell’amore non fa caso a nulla, né a cancelli, né a porte, né a fossati, né agli esseri posseduti da altre idee fisse, né a coloro che soffrono del medesimo male. (…) Fleur era diventata indifferente a ogni cosa. Non desiderava che l’inafferrabile.

Questo suo volere Jon, soprattutto dopo aver scoperto che era meglio lasciarlo stare, è uno specchio del comportamento del padre, che anni prima si era affannato a volere la madre di lui sebbene Irene non lo amasse. Non si vede amore incondizionato, qui, solo voglia di possedere qualcosa (qualcuno) che non si può possedere.

E’ un romanzo molto radicato nella società dell’alta borghesia inglese del Novecento, eppure, questa insistenza sulla falsità di certi sentimenti è ancora attuale. Non ci deve essere necessariamente malafede: Fleur non è consapevole dei suoi sentimenti come poteva esserlo suo padre davanti al netto rifiuto di Irene.

Tuttavia, alla base degli errori di questi personaggi (errori che si ripercuotono negli anni) c’è una generale incomprensione dei sentimenti più nobili.

Autocensura o mancanza di autoconsapevolezza?

La risposta ha un valore relativo, se la cerchiamo per i personaggi del romanzo.

Assume invece un’importanza vitale se la cerchiamo per noi stessi.

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Maria Callas e Onassis

Certi libri non dovrei leggerli. Perché mi incazzo.

Onassis l’ho sempre sentito nominare, come armatore e libertino. Questa biografia della Callas me lo descrive più nei dettagli.

Di donne ne aveva avute molte. Soprattutto in gioventù, non si è fatto remore a portarsi a letto donne più vecchie e più potenti di lui per sfruttarne le conoscenze influenti. E’ un uomo che per alcuni può essere un modello, perché metteva al primo posto (e li otteneva) due obiettivi principali: soldi e potere.

Maria Callas lo ha incontrato in un momento in cui era molto fragile: aveva appena scoperto che suo marito Battista Meneghini le svuotava il conto corrente per investire i soldi e distribuirli tra i suoi parenti, ma da anni la coppia si stava allontanando.

E Maria non è capace di stare sola; soffre di una insicurezza cronica, alla quale contribuisce anche il ruolo di Divina che ha raggiunto: ogni minima défaillance le viene fatta pagare a colpi di titoli di giornali e sarcasmo velenoso.

Quando arriva questo multimiliardario che dà filo da torcere a capi di stato (il principato di Monaco era ai ferri corti con lui) e che la riempie di attenzioni, lei ci casca come una pera cotta.

Ma la cosa che mi ha fatto incazzare, non è questo atteggiamento da tombeur de femme che cerca di appropriarsi dell’aura di una donna fragile e famosissima.

Quello che mi ha fatto montare il sangue alla testa, è stato il suo yatch, il Christina.

Posso soffrire d’invidia quando leggo che aveva una sala cinematografica, pareti ricoperte di opere d’arte e una biblioteca di 3000 volumi tra cui molti classici e libri antichi (che magari lui non leggeva mai, perché era sempre occupato a far soldi).

Mi fa rabbia, perché lui poteva chiacchierare con Winston Churchill e personaggi del ghota culturale di tutto il mondo.

Resto indifferente leggendo di rubinetti in oro e di caminetti tempestati di pietre preziose.

Ma vado fuori di testa quando leggo di pomelli delle porte in avorio e di sgabelli in pelle di prepuzio di balena bianca…

No, davvero.

L’essere (non lo chiamo neanche “uomo”), che smaniava per accerchiarsi di personaggi famosi e di classe, è passato nella storia anche per aver fatto la seguente battuta a Greta Garbo: Signora, lei è seduta sul più grande pene che si possa trovare al mondo.

Un signore, non c’è che dire.

Ma al di là della cafonaggine da arricchito…

Come ti permetti, tu, solo perché non sai dove buttare i soldi, di defraudare l’ecosistema mondiale di balene ed elefanti? Specie che da decenni sono a rischio di estinzione??????????

CHE SCHIFO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Sì, lo so, non serve a niente prendersela, il mondo è pieno di gentaglia del genere.

Ma lasciatemi sfogare.

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I piedi della concubina, Kathryn Harrison

(English version: below)

Che bello questo libro! Strano che nella rete se ne parli così poco.

La storia è raccontata su diversi livelli temporali con molti flash-back e sebbene ci sia una protagonista principale, la cinese May, attorno a lei ruotano molti altri personaggi, di quelli che piacciono a me, strani, diversi, ma mai macchiettistici.

May appartiene a una famiglia cinese facoltosa e come di consueto, a cinque anni incominciano a fasciarle i piedi. Lo fa sua nonna, perché sua madre non ne ha il coraggio. E’ una procedura dolorosa, che causa piaghe, rottura delle ossa, calli, infezioni continue, e che le condizionerà tutta la vita, in tutti i suoi aspetti.

Grazie (!??) ai suoi piedini di loto, May va in sposa a un ricco mercante. Il matrimonio, fin dalle nozze, si rivela molto diverso da come se lo aspettava: intanto, scopre di essere solo la quarta moglie, e poi il mercante, oltre a non consumare il matrimonio, la picchia perché lei si ribella. I tentativi di suicidio vanno a vuoto, e allora May scappa.

Ma lo fa in modo intelligente: va a lavorare in un bordello ma si concede solo agli occidentali, e, rinnegando tutta quella che è stata la sua vita precedente, impara benissimo l’inglese e il francese.

Finché Arthur, un australiano ricco ma inconcludente, si innamora di lei e la sposa. Così May entra a far parte della famiglia Cohen-Benedict. Si attaccherà moltissimo alla nipote Alice, alla quale trasmetterà a sua insofferenza per le regole. I soldi non mancano perché il cognato Dick specula sulla guerra.

Nel passato di May c’è una figlia che lei non ha più visto, e che ad un certo punto si mette a cercare. La troverà, zoppa, e la causa della sua infermità ci fa capire quanto May sia una donna ferita che, nonostante le apparenze, la bellezza e la cultura, non riesce a guarire.

Drammi ne abbiamo?

In abbondanza.

La storia si snoda tra Shanghai, la Transiberiana e Nizza.

Potete immaginare com’era Shanghai durante l’epidemia di spagnola, quando le fabbriche di chiodi chiudevano per mancanza di operai e non si potevano serrare le bare?

Potete immaginare come reagiscono i clienti di una rinomata pasticceria inglese quando una cinese entra con una portantina sostenuta da due semi-schiavi?

Avete un’idea di come erano le protesi dentarie negli Stati Uniti agli inizi del Novecento?

Questo romanzo è stupendo: la storia, la scrittura, la ricerca che c’è sotto. Assolutamente consigliato.

Se proprio devo trovare un difetto, lo vedo nel titolo: non c’è nessuna concubina, qui. May fa la moglie, la prostituta, la moglie e poi la vedova. Qui ci si è messa di mezzo la pruderie italiana. Guarda a cosa ci si è ridotti per tentare di vendere un libro in più.


What a wonderful book! Strange, that you find so few reviews in internet.

The story rolls among several temporary levels with a lot of flash-backs; although there is a main carachter, May, there are also many other carachters who are strange (the kind I like most), but never silly.

May belongs to a rich Chinese family and at 5 years old she got her feet swaddled. The operation is cause of broken bones, infections, callus, sores, and will limit her walk and her Whole life.

Thanks (?!?) to her lotus feet, May get married to a rich merchant, but the union is very different from the idea she had in her mind. First of all, she finds out that she is only the 4th bride. Secondly, her husband is violent and will not give her a child. May is rebel, and often got humiliated and beated. She tries several times to kill herself, but at the end she decides to escape.

She lands in a brothel, where she accepts only occidental clients and learn English and French. An inconclusive but rich australian man falls in love with her and marries her. As a result, she enters his family, where she binds herself to the nephew Alice, who is nearly as rebel as her.

May’s life hides a secret: a daughter, whom she “lost” when she was Young and whom she manages to meet again 24 year later. She is lame: why? When you find out the reason of this handicap, you will understand how May is a wounded woman who cannot heal.

Yes, I like tragedies books, and here you find many of them. For instance: Shanghai during the spanish influence, when the nail industries had not enough workers, because they were falling like flies, and therefore there was no way to close coffins…

There is a defect, in this book: the title. “The feet of the concubine” is the italian title, whereas there is no concubine in the story… the English title is “The binding chair”, recalling May’s difficulties in walking.

A great pity that Italian publishers must mangle titles in this way, because, without pruderie, italian readers don’t read…

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Fuoriclasse – storia naturale del successo (Malcom Gladwell)

E’ interessante vedere come vengono tradotti i titoli nelle varie lingue. In tedesco, il titolo è Ueberflieger, che vuol dire sì fuoriclasse, ma indica più precisamente qualcuno che vola più in alto. E in tedesco è più significativo anche il sottotitolo: Perché alcune persone hanno successo e altre no (mentre in italiano leggiamo “Storia naturale del successo”: dove quel “naturale” è un’aggiunta arbitraria rispetto alla versione originale in inglese).

Ad ogni modo, questo libro non è un saggio di self-help. Anzi, ammetto che ti smonta un po’. Siamo lontani dalle visioni di Tony Robbins, che ti dice che puoi fare tutto ciò che vuoi se ti applichi.

No, Gladwell è molto più realistico: i fuoriclasse sono arrivati dove sono non solo grazie al loro talento e alla loro determinazione (leggi: capacità innate e buona volontà), ma anche, se non soprattutto, grazie a una concomitanza di… possibilità e vantaggi.

Non usa la parola “fortuna“, né tantomeno “culo“, ma il concetto è questo…

Facciamo un confronto con il tormentone dei manuali di autoaiuto che si leggono in giro, e prendiamo l’esempio delle 10.000 ore: ti dicono che puoi diventare un virtuoso di violino, un eccelso giocatore di pallacanestro, un famosissimo scrittore se ti applichi con costanza all’attività che hai scelto. Diecimila ore è la quantità di tempo indicativo che ti serve per arrivare ovunque nella vita.

Dicono.

Ma Gladwell ci fa notare: ok 10.000 ore. Ma per avercele, queste 10.000 ore, devi trovarti nella situazione adatta. Come ci arrivi ad avere tutto questo tempo a disposizione se non sei di buona famiglia, se non hai chi ti aiuta, se devi lavorare dodici ore al giorno per guadagnarti la pagnotta?

Oppure, prendiamo l’esempio dei geni matematici. Gladwell ci fa fare conoscenza con un ragazzo americano, Langan, le cui competenze di calcolo sono eccezionali: un quoziente intellettivo che fa vergognare Einstein, superiore anche a quello di Oppenheimer; Langan si è fatto conoscere al pubblico americano grazie a un quiz televisivo. Eppure questo ragazzo svolge un lavoro umile, uno di quelli con cui hai difficoltà a pagarti il dottore quando serve. Non ha saputo mettere a frutto le sue abilità.

Perché? Perché venendo da un ambiente svantaggiato, non possedeva le competenze sociali necessarie per farsi strada nel mondo universitario. E non è colpa sua se è nato in una certa famiglia e in un certo ceto.

Altri esempio di “condizioni favorevoli” sono l’anno di nascita (a volte anche il mese, per la scelta dei ragazzi nelle squadre di hockey), il ceto di appartenenza, il periodo in cui si frequenta l’università o si apre una certa attività, ecc…

Gladwell porta esempi molto dettagliati, mini-biografie, alla maniera americana.

Non so però se è un libro che può aver… successo. Credo di no, perché questo saggio è uscito in un momento in cui vanno alla grande i libri di self-help che ti dicono che puoi fare tutto quello che vuoi se lo vuoi (addirittura alcuni ti dicono che puoi fare quello che vuoi solo pensandoci), libri scritti da guru che danno speranza, che ti galvanizzano, che ti fanno uscire di casa per andare a correre e perdere quei trenta chili di sovrappeso che ti hanno chiuso le possibilità di trovare la bonazza di turno.

Gladwell è più equilibrato. Più realista.

La massa non vuole realismo, vuole reazioni di pancia, estremismo.

Ecco, in questo io facevo parte della massa.

A me piace la speranza.

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