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La croce e il nulla, Sergio Quinzio

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Cosa mi resterà dei tanti punti trattati in quest’opera? Di certo non le parti, incomprensibili per me, in latino, greco, ebraico… e a volte perfino in italiano. Sono le riflessioni di uno che, ad un certo punto della sua vita, molla il lavoro nella guardia di finanza, e si mette a studiare la bibbia, diventa teologo perché ha bisogno di capire, di mettere ordine.

Gli argomenti sono tanti, legati tra loro come gli anelli di una catena. Nomina le differenze tra la teologia del patto e quella della promessa, tra la concezione di S. Benedetto e quella di S. Francesco (dunque tra monaci e frati), tra la salvezza sul piano storico e quella sul piano personale, tra un tempo lineare e uno circolare. Si interroga sul senso della preghiera, sull’angelismo degli eremiti che sottoponevano il corpo alle esigenze dello spirito, sul fallimento delle promesse, sull’escatologia, sulla parusia…

Di tutto questo, cosa mi rimarrà? La curiosità. Continuerò a chiedermi perché uno come Quinzio continua a vivere sotto le ali della religione dopo averla studiata così a fondo e averne scarnificato i miti. Lui si risponde da solo: “La mia adesione alla chiesa è, piuttosto che ostacolata, aiutata dall’evidenza del suo squallore: mi rispecchio in essa, mi riconosco in essa”. Rimango con la curiosità su di un uomo che posto davanti alla scelta tra due supplizi, la croce o il nulla, sceglie la croce. Poiché il titolo del libro è “La croce E il nulla” e non “La croce O il nulla”, rimango con il dubbio che i due termini siano sinonimi. Insomma, è ambiguo. Come l’Essere Umano.

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Cristianesimo dell’inizio e della Fine, Sergio Quinzio

Due premesse: che Dio stramaledica non gli inglesi, ma il latino (non l’ho studiatoooooo!) e la parola Nulla, che ritorna spesso in questo libro. Detto questo, iniziamo.

Il benessere è la nuova categoria assoluta di riferimento nella vita di ognuno, al posto della felicità di antica memoria. Una categoria statica, perchè è (meglio: dovrebbe essere) un punto di arrivo, verso la felicità, che forse è una forma mentis. Questa situazione è sintomo dell’inizio di un’epoca nuova o della fine di un’epoca vecchia? E’ un nuovo tipo di cristianesimo che cerca di infilarsi nelle maglie della società del benessere o è la fine del cristianesimo tout court? Certo, questo è un ragionamento che si basa su una concezione occidentale della storia, una storia intesa come avanzamento, una linea retta con una direzione ben definita (in altre culture la storia è un decadimento, in altre ancora è un ciclo, ma viviamo qui, dunque adattiamoci!). Forse è una domanda che richiede un approccio sia diacronico che sincronico, perchè il senso non può autofondarsi sulla storia stessa, bisogna cercarlo al di fuori. Comunque, è certo che il Cristianesimo attualmente in crisi non è quello iniziale, ma un Cristianesimo costruito proprio nel corso della storia, e non ci basta la scienza per studiarlo, perchè la scienza settorializza, mentre la caduta del senso del Sacro va studiata nel completto, non a settori isolati; lo studio di questa crisi non si può proprio fare in termini solamente scientifici, perchè, secondo Quinzio, “non è possibile comprensione senza partecipazione” (domanda mia: ma qui si sconfina nella fede?)

In cosa differisce il cristianesimo attualmente in crisi da quello dei primi cristiani? Che cosa non è stato tramandato e si è perso nei secoli?

– l’importanza della critica verso le vecchie tradizioni religiose e l’accusa di formalismo. Questo aspetto è stato messo in sordina perchè il ritualismo è una “pecca” anche del cattolicesimo attuale.

– la violenza;

– i fallimento della promessa circa la venuta del Regno. Questo Regno, per attutire la delusione, è stato interpretato ufficialmente in senso spirituale, non alla maniera degli ebrei dell’epoca, che si aspettavano proprio un regno temporale sull’esempio di quello di Davide (pensiamo anche agli zeloti). Gesù credeva davvero che mancasse poco all’avvento del Regno.

– La morte di Gesù non è un atto di espiazione per i peccati del mondo, ma un’accettazione totale del dolore, perchè solo attraverso questa porta si può rinascere.

– Il discorso escatologico è stato messo da aprte. Eppure la speranza rinasce sempre là dove meno te lo aspetti (v. la componente millenaristica del comunismo!), anche se poi l’istituzionalizzazione rovina gli entusiasmi iniziali (è il processo di Stato nascente di Alberoni, no?)

Insomma, la crisi è dettata dal passaggio dalla religione (unica verità/fede) alla cultura (si fa avanti il dubbio, la ricerca, la discussione su argomenti che prima si davanto per scontati). Il problema è che la discussione sulla verità finisce col prendere il posto della Verità stessa, che si diluisce e alla fine perde di concretezza. L’unico criterio regolatore della realtà resta allora proprio il benessere, che deve essere IMMEDIATO, perchè gli uomini si sono stufati di aspettare un regno che non viene.

Solo una frase per mettere in luce un punto di contatto con Maggi (sebbene Maggi sia più cauto su alcuni punti rispetto a Quinzio): “La morte di Gesù è la nascita del cristianesimo, perchè la religione nasce quando muore Dio”.

Quinzio non è acqua fresca, per me che non ho un linguaggio filosofico è pure difficile, ma mi pare di aver colto il senso di questo libro: il Regno non è arrivato, ma abbiamo ancora bisogno di sperare nella sua venuta perchè percepiamo la precarietà di questo mondo: “Poichè il regno non è venuto, la vera religione è ancora la speranza”.

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