Siamo in Germania, nel 1962.
Il processo Gruhl deve svolgersi in fretta e in sordina. I Gruhl padre e figlio hanno dato fuoco a una jeep americana: niente di grave, nessuno si è fatto male, sembra, ma qualcuno vuole che non venga data rilevanza al fatto.
Perché lo hanno fatto?
C’è stata premeditazione, su questo non c’è dubbio, e i due imputati sono sani di mente, ci sono le perizie. E allora?
Mentre seguiamo il processo, presieduto da un giudice che è al suo ultimo incarico e che è famoso per la benevolenza nei confronti degli imputati in generale (tanto più in questo caso, visto che in provincia tutti si conoscono fin da bambini), vediamo tutti i casi umani che girano attorno ai due Gruhl.
Ne salta fuori un pezzo di storia tedesca: non di gerarchi, non di fuehrer, ma di piccola manovalanza, piccoli artigiani, casalinghe, prostitute, piccola e media borghesia.
Non so come va a finire, ho esercitato il mio diritto di sospendere la lettura (a pag. 102 su 231): la scrittura è troppo ironica. Forse un giorno lo riprenderò, ogni libro ha il suo momento.