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Pubblicità per il creativo che non vuole farsi pubblicità

Il libro per il creativo che non ama farsi pubblicità.

O almeno, pubblicità nel senso tradizionale del termine.

Kleon parte dall’assunto che il genio (ma anche la più normale creatività) non nasce nel vuoto assoluto, ma in un contesto fatto di persone, e sono queste persone la chiave per farsi pubblicità senza… farsela.

Quando sei appassionato di qualcosa, anche se non hai scopi professionali, ti metti a studiare quel qualcosa per conto tuo. Puoi fare errori, prendere strade sbagliate, ma proprio la passione ti rimetterà in senso.

Il consiglio di Kleon è di mostrarti come veramente sei: un appassionato, non un professionista. Mostra pure il tuo processo e i tuoi errori: c’è sempre qualcuno là fuori che è in cerca di esperienze altrui e che non vede l’ora di immedesimarsi nei tuoi successi e nelle tue difficoltà.

La gente vuole essere partecipe del processo, non si accontenta di vedere l’opera finita.

Il proprio lavoro si può mostrare in molti modi, tenendo conto che oggigiorno se non sei online, per il pubblico non esisti. Dunque ben vengano i diario online, gli scrapbook online, i forum online, i documentari online.

Oggi giorno il creativo deve condividere qualcosa, anche una piccola cosa, magari solo un dettaglio di ciò che ha fatto durante il giorno (attenzione: il lavoro deve sempre avere la precedenza, non si deve mai dare la precedenza alla pubblicazione del lavoro).

Bisogna lavorare ogni giorno: poi non tutti sarà condivisibile, ma tutto è utile per il processo.

Si possono condividere, ad esempio, le fonti di ispirazione (libri, film, altri creativi simili): l’importante è creare un legame con chi ha interessi simili.

Insomma, bisogna far quel che piace e poi parlarne, restare un amateur curioso e cercare chi è come te.

Mai lavorare per i soldi: i soldi, se il lavoro è ben fatto e se il processo piace, arriveranno.

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Termine di un viaggio di servizio – Heinrich Boell

Siamo in Germania, nel 1962.

Il processo Gruhl deve svolgersi in fretta e in sordina. I Gruhl padre e figlio hanno dato fuoco a una jeep americana: niente di grave, nessuno si è fatto male, sembra, ma qualcuno vuole che non venga data rilevanza al fatto.

Perché lo hanno fatto?

C’è stata premeditazione, su questo non c’è dubbio, e i due imputati sono sani di mente, ci sono le perizie. E allora?

Mentre seguiamo il processo, presieduto da un giudice che è al suo ultimo incarico e che è famoso per la benevolenza nei confronti degli imputati in generale (tanto più in questo caso, visto che in provincia tutti si conoscono fin da bambini), vediamo tutti i casi umani che girano attorno ai due Gruhl.

Ne salta fuori un pezzo di storia tedesca: non di gerarchi, non di fuehrer, ma di piccola manovalanza, piccoli artigiani, casalinghe, prostitute, piccola e media borghesia.

Non so come va a finire, ho esercitato il mio diritto di sospendere la lettura (a pag. 102 su 231): la scrittura è troppo ironica. Forse un giorno lo riprenderò, ogni libro ha il suo momento.

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Come un fucile carico, Lyndall Gordon @FaziEditore

Questa non è una biografia come ce ne sono tante: il suo scopo non è quello di proporci una lista dei fatti della vita di una poetessa, quanto di farci riflettere sulla difficoltà di capire CHI c’è dietro un nome famoso e, a volte, riverito. In questo caso, parliamo di Emily Dickinson.

Si parte, certo, dai fatti. Almeno da quelli che si possono appurare, coi dovuti limiti posti dal tempo.

Emily Dickinson ha avuto una vita ritiratissima, forse ciò ha contribuito in parte a creare la sua leggenda. Per motivi che la Gordon cerca di appurare, la poetessa non usciva mai dalla sua stanza: comunicava con pochi amici e parenti selezionati tramite pizzini, cartine, brevi messaggi annotati su qualunque tipo di supporto cartaceo le capitasse in mano. Ma era una poetessa: in questi stralci di carta non ci troviamo liste della spesa o elenchi di cose da fare: tutto è transunstanziato in immagini, a volte oscure.

Poi c’erano le lettere, e le poesie a tutto tondo: ad un certo punto, la poetessa ha iniziato a raccoglierle in libricini fatti a mano da lei stessa.

Ma quando è morta, sono cominciate le difficoltà.

Chi era Emily Dickinson? Chi ne ha tramandato la figura?

Dopo la sua morte, è iniziata una faida all’interno della sua famiglia per accaparrarsi il diritto di trasmettere ai posteri la verità sulla poetessa. Da un lato, sua cognata Sue, moglie dell’amato (ma anche criticabile) fratello Austin: Sue aveva costruito con Emily un rapporto molto forte, ma tale rapporto non è sempre giunto fino a noi, perché messo in ombra tramite omissioni e bugie, dall’amante di Austin, Mabel.

Attenzione: Mabel non era quella cacciatrice di dote che si potrebbe pensare. Voleva sì elevarsi socialmente, ma nonostante fosse una fedifraga, è a lei che si deve l’enorme lavoro di raccolta e sistemazione delle carte di Emily Dickinson (e solo se costretta ammetteva di non averla mai vista in viso).

Poi c’era la vera sorella di Emily, Lavinia, che nonostante volesse davvero bene alla poetessa, si è lasciata trascinare un po’ dalle due parti in lizza.

Nonostante tutto quello che le parti in causa hanno scritto su Emily Dickinson, molti sono stati i silenzi. Secondo la teoria di Lyndall Gordon, il primo importantissimo silenzio riguardava il motivo per cui la Dickinson non usciva mai di casa: soffriva di epilessia. Nella seconda metà dell’Ottocento, questa era una malattia vergognosa, soprattutto per le donne, che si doveva nascondere a tutti i costi. Si è spesso certato di travisare la verità scrivendo che la poetessa rimaneva segregata per via di un amore deluso…

Si è anche trasmessa un’idea della poetessa come donna eterea, senza bisogni fisici, quasi. Cosa che non era vera, e la Gordon ce lo spiega.

Altro grande silenzio, era la relazione tra Mabel e Austin Dickinson: chi ne ha fatto le spese, però, è stata solo Mabel, perché Austin era un avvocato importante di una famiglia importante (insomma: era un uomo); è interessante seguire pagina per pagina come si evolve un processo tra la famiglia Dickinson e Mabel senza che l’adulterio (doppio) venga mai pronunciato.

La faida è continuata anche nella seconda generazione. Le persone, gli esseri umani, si lasciano accecare dalle emozioni. Per decenni le debolezze umane hanno dato un’immagine della Dickinson poco veritiera.

Io non leggo poesia. Le poche che ho letto in questa biografia non le avrei capite se non ci fosse stata una spiegazione della Gordon.

Mai come in questa biografia mi sono trovata davanti alle prove dell’inconoscibilità dell’essere umano.

Non mi lamenterò se finalmente

quelli che ho amato qui

avranno il beneficio di capire

il motivo per cui li evitai tanto –

Svelarlo allevierebbe questo cuore

ma strazierebbe il loro –

 

 

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