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The underground railroad (Colson Whitehead)

Devo ricordarmi di non leggere questi libri pieni di ingiustizie legalizzate, perché mi indigno troppo😓 e rischio l’ulcera.

Tutto inizia con la nonna Ajarry, rapita ancora poco più che bambina in Africa. La storia continua con sua figlia, nata in una piantagione, che a una notte scappa abbandonando la piccola figlia Cora, e di lei non si sa più nulla.

Ma questa è soprattutto la storia di Cora, che è una reietta perché è stata abbandonata dalla madre e non ha nessuno a proteggerla e perché si fa valere a colpi di ascia se qualche altro nero cerca di prenderle ciò che è suo – quel poco che può essere suo. Cora cerca insomma di sopravvivere nonostante la durezza dell’ambiente.

Finché un giorno decide di seguire Caesar, di scappare e di cercare di raggiungere la ferrovia sotterranea, un sistema di tunnel che, punteggiati da luoghi di sosta capeggiati da bianchi, arriva fino al Nord: la libertà.

La prima tappa di Cora e Caesar è il South Carolina. Sembra un paradiso: entrambi trovano un lavoretto, dormono in letti dentro a enormi stanzoni con altri scampati alla schiavitù, e sono seguiti da dei responsabili bianchi che sembrano dediti alla loro salute.

Sembrano. Perché qualcosa non torna.🩺💉👨‍⚕️

Costretta a scappare di nuovo, perde le tracce di Caesar e deve viaggiare da sola fino in Carolina del Nord. Ma qui, essendosi presentata senza appoggi, nessuno la sta aspettando, e trova una situazione molto diversa da quello che credeva. Le leggi sono state modificate di recente, e la gente è sempre alla ricerca di un capro espiatorio o, semplicemente, di un’impiccagione per impiegare il venerdì sera.

Cora rimane nascosta in una soffitta di una coppia bianca, attentissima a non far rumore quando la donna delle pulizie è in casa. Ogni venerdì c’è un’esecuzione sulla piazza del paese su cui si affaccia la piccola finestra della soffitta.

Sulle sue tracce c’è un cacciatore di fuggitivi: ha già subito uno smacco a causa della madre di Cora, che non è mai riuscito a trovare, e spera di rifarsi con la figlia.

Non vado oltre.

La schiavitù è uno dei quei casi plateali in cui la legge è ingiusta. Ma la legge gode di un’autorità (di una forza, anche armata) che è difficile mettere in discussione. Molti si adagiano sulla legalità per giustificare la propria inedia, la propria pigrizia, o – forse – la propria paura di agire.

Le leggi ingiuste ci sono ovunque, in tutti i tempi.

Spetta a noi fare due cose:

  • Riconoscerle.
  • combatterle.

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Open (Andre Agassi) @LibriEinaudi

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Ho deciso di dedicarmi a questa biografia, solo dopo aver letto molte recensioni positive: non mi interessa il tennis e quasi non mi ricordavo di Agassi, perché avrei dovuto perdere tempo con 496 pagine di sport?

Per fortuna, qui di tennis non si parla molto.

Inoltre, il testo in sé è stato scritto da Moehringer, un premio Pulitzer: e si sente.

Ben fatto! Senza fingere che il nome in copertina sia anche quello dell’autore, Agassi ha deciso di svelare nell’ultimo paragrafo il nome di chi si è occupato della stesura. E’ una sincerità che mi piace: odio le bio di personaggi che si spacciano per scrittori.

Le parti più sconvolgenti, sono quelle che parlano del padre di Agassi. Armeno-iraniano, è immigrato negli Stati Uniti con documenti falsi. Già in Iran era famoso come pugile (aveva partecipato anche alle olimpiadi). Arrivato negli Stati Uniti, decide che i figli devono diventare ricchi e famosi col tennis.

Li fa morire!

Allenamenti estenuanti, spara-palle costruito da lui, monotematicità dei discorsi, pillole, spinte, scuola-prigione, urli e umiliazioni: tutto per cercare di farli sfondare.

Ci riesce solo con Andre, anche se, per anni e anni, Andre odierà il tennis.

Incapace di accettare le sconfitte, Andre sarà spesso tentato di mollare tutto: una volta regalerà racchette da centinaia di dollari ai barboni, una volta darà fuoco a fogli e foglietti in una camera d’albergo…

Incredibile come le persone ricche e famose siano insicure di sé, incredibile quante paure le tormentino.

Andre Agassi sarà sempre incompreso dai giornalisti, che criticavano il suo look simil-punk, e lui sarà sempre incapace di passare incolume sopra certi articoli.

Un’altra fisima saranno i suoi capelli: li perdeva. Era arrivato al punto di indossare un parrucchino, con tutta l’ansia che poteva provocargli il rischio che cadesse durante un match.

E poi… la sua amicizia con Barbra Streisand, i suoi matrimoni con Brook Shields e Steffi Graf… i suoi amici, importantissimi…

Inquieto, insoddisfatto, lunatico: sono tanti gli aggettivi che gli si addicono. Si sente davvero felice solo quando aiuta qualcuno: la figlia di un amico ferita in un incidente, il cameriere di un ristorante che non ha soldi per l’università dei figli… E la sua fondazione per l’educazione in un quartiere degradato.

Lui, che ha mollato la scuola in terza media, raccoglie milioni di dollari per mandare avanti una scuola modello.

E su tutto, su ogni vicenda, personale o pubblica, incombe il tennis, l’odiato tennis.

Quanta gente conoscete che fa un lavoro che odia eppure lo fa bene?

Il fatto è che una volta intrapresa una strada, bella o brutta, cambiare è difficilissimo.

Una volta che il tuo curriculum mostra un certo ruolo professionale, continuano a cercarti per quel ruolo professionale. Non ti schiodi più.

Scusate, sto divagando…

 

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Tra loro (Richard Ford) @feltrinellied

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Lo scrittore americano Richard Ford racconta i suoi genitori.

Il libro è diviso in due parti, la prima dedicata a suo padre e la seconda a sua madre.

Entrambi erano persone semplici.

Suo padre veniva dalla campagna, era un tipo di poche parole, ultimo figlio di una vedova di marito suicida. Per tutta la sua vita lavorò come commesso viaggiatore in un’azienda produttrice di amido per bucato.

Sua madre lavorò in un negozietto, poi, dopo il matrimonio, viaggiò insieme al marito negli stati del Sud. Una volta nato Richard, divenne una casalinga a tutti gli effetti: era quello che facevano le donne in quegli anni.

Richard Ford non sa molto della vita dei suoi genitori prima della sua nascita: loro non parlavano molto. Non erano portati alla descrizione, al racconto, un po’ per pudore, un po’ per mancanza di preparazione.

Ho così tentato, meglio che potevo, di scrivere solo di ciò che fattualmente sapevo e non sapevo. I miei genitori, dopo tutto, non erano fatti di parole. Non erano strumenti letterari utilizzabili per evocare qualcosa di più grande.

Eppure Ford, scrittore, che di parole vive, ribadisce più volte di aver avuto un’infanzia felice.

E’ un libro di 132 pagine in cui succede molto poco, eppure quel poco è tutto quello che conta: un po’ come la vita di tutti noi.

Il mondo spesso non ci nota. La comprensione di questa realtà è stata un impulso cruciale per quasi tutto ciò che ho scritto in cinquant’anni.

Le vite dei nostri genitori, anche quelle avvolte dall’oscurità, sono per noi la prima, forte assicurazione che gli eventi umani contano.

Un libro sull’accettazione della vita. Quasi un suggerimento.

L’unica cosa che conta, quasi sempre, è quello che facciamo.

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