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Potere e sopravvivenza (Elias Canetti)

Di Canetti spero di leggere presto “Massa e potere”, che è la summa del suo pensiero sulla materia, ma già questo libretto ne contiene alcuni punti.

Si tratta di una raccolta di saggi che non sono omogenei tra loro ma sono legati dai due temi del titolo, appunto il potere e la sopravvivenza.

Sembra incredibile, ma questi due argomenti li ritroviamo in tutti i saggi, sia quando parla del suo ex idolo Karl Kraus, il cui potere si incarnava nelle accuse che gettava intorno a sè, quando parla del diario, di HItler e del suo architetto Speer, di Confucio e di Tolstoj.

Data la varietà dei soggetti, è inutile neanche provare a fare un riassunto, ma vi lascio solo un paio di estratti che riguardano la scrittura dei diari, visto che io ne tengo uno da quando avevo sette anni (7!).

Nel diario non si parla soltanto con se stessi: si parla anche con gli altri. Tutti i colloqui che nella realtà non si possono portare fino in fondo poiché finirebbero in atti di brutalità, tutte le parole assolute, irriguardose, spietate, che spesso sentiamo di dover dire agli altri, tutto questo si deposita nel diario.

Le astuzie e le misure precauzionali per tenere segreto un diario non saranno mai troppe. Delle serrature non c’è da fidarsi. Molto meglio le scritture cifrate. Io uso una stenografia modificata che nessuno sarebbe in grado di decifrare senza un lavoro di settimane.

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Le intermittenze della morte, José Saramago @feltrinellied

Non mi aspettavo di trovare un Saramago così ironico, dopo la lettura di Cecità, ma, si sa, i grandi sanno giocare con lo stile; e ho l’impressione che qui il premio Nobel si sia divertito un sacco.

TRAMA

La morte decide di non lavorare per un po’, solo per far capire agli uomini di un certo paese (che non viene mai nominato) quanto lei, in realtà, sia necessaria. Infatti quando nessuno muore più cominciano i problemi. Nella prima parte Saramago passa in rassegna una serie di istituzioni che vanno letteralmente nel pallone: la Chiesa, le case di riposo, le assicurazioni, le pompe funebri…

Ma il problema tocca subito il privato, le famiglie in cui ci sono dei malati che non muoiono, indipendentemente dalle condizioni in cui si trovano. Perché nel paese si continua a invecchiare, con tutti gli svantaggi del caso. Per “aiutare” un po’, ci si mette anche la mafia (“maphia”, col ph), che si incarica, dietro compenso, di trasferire i malati terminali al di là dei confini per rendere possibile il trapasso, con conseguenze internazionali che mettono in pericolo anche i rapporti coi paesi confinanti.

Ad un certo punto, dopo aver dato questa dimostrazione, la morte ricomincia a operare, ma decide di farlo mandando delle lettere di avviso, in modo da dare una settimana ai predestinati per sistemare le proprie cose.

Sembra che tutto sia ristabilito, con le dovute modifiche della procedura, quando la morte si accorge che un tipo, un violoncellista, non muore.

Un romanzo dissacratore, che si prende gioco della Chiesa, del re, della filosofia, del lettore e di tutte le velleità umane; ma che si prende il gioco anche delle morte: insomma, non si salva nessuno, tranne il violoncellista (o quello che lui rappresenta).

Prendete fiato (perché di punti e di paragrafi ce ne sono pochi), dateci una letta e ditemi cosa ne pensate. A causa della mia idiosincrasia verso l’ironia, ho preferito Cecità, però devo ammettere che Saramago è stato bravissimo a rendere la tragicità delle conseguenze di un evento assurdo: e il rovesciamento della prospettiva è sempre un indice di genialità.

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