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Memorie di un dittatore (Paolo Zardi) #GiulioPerroneEditore

Questo libro mi è piaciuto fin dalla prima pagina, sono entrata subito in sintonia con lo stile della voce narrante. E attenzione: il protagonista non è per niente una bella persona. Si tratta di un ex dittatore italiano di un presente distopico che è stato relegato in un’isola tropicale, neanche lui sa esattamente dove.

Come unica compagnia, dispone di un ragazzino di colore che non parla la sua lingua che gli fa da servetto.

L’uomo vaga tra le stanze dell’immensa villa che ha a disposizione e pensa al suo passato, a come tutta la sua vita fosse destinata a farlo diventare il dittatore del nostro paese. Attraverso le sue memorie, cadiamo in una disamina del potere molto cinica, che tuttavia deve farci riflettere.

La verità è una caratteristica irrilevante, in politica.

Uno dei punti interessanti, è la sfiducia che il protagonista nutre nei confronti dei c.d. intellettuali: costoro, o se ne stanno rintanati riflettendo sui massimi sistemi che non hanno alcuna ricaduta nel mondo reale, oppure…

Finiscono sempre per elaborare una teoria per dimostrare che il potere spetterebbe, guarda caso, proprio a loro.

Ma l’ex dittatore non si ferma qui. Uno che arriva a fare quello che ha fatto lui, deve nutrire una forte sfiducia anche nei confronti di coloro che ha governato. Eccola qua:

La verità, signori miei, è che la maggior parte delle persone non ha alcun progetto, non ha alcun fine da perseguire. Di tutta quella libertà non sa che farsene. La gente si innamora di una vicina di casa, o di una che ha conosciuto in paninoteca una sera (…), trova un lavoro come contabile in un’azienda di tubi, fa uno o due figli e guarda la televisione. Di cos’altro può avere ancora bisogno, la gente comune, se non di qualcosa che tiene in ordine questa vita in cui non succede nulla? (…)

Per apprezzare la propria libertà di parola bisogna avere qualcosa da dire.

Insomma, leggendo queste memorie ti ritrovi inevitabilmente a dar ragione a uno che, per arrivare a quel ruolo, ha ammazzato e torturato sulla scia dei peggiori dittatori sudamericani.

Questo è un libro che, mentre lo leggi, mette in discussione le nostre certezze e ti ritrovi a dire: “Ma che cosa sto facendo?”.

Il tutto, senza mai abbandonare il plot, perché l’ex dittatore, oltre a ricordare, sogna di tornare ai fasti del passato, e approfitta di un manipolo di avventurieri che vogliono di nuovo rovesciare l’ordine costituito in Italia. E poi c’è il sub-plot del servetto di colore, che sarà il personaggio risolutivo.

A me è piaciuto molto, lo consiglio vivamente.

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Troppi paradisi (Walter Siti)

Ho iniziato a leggerlo perché suggerito da Emanuele Trevi in vista del corso di scrittura creativa Pordenone Scrive 2022.

Il romanzo è scritto in prima persona, ma subito, dalle prime pagine, l’autore/protagonista ci mette in guardia: i personaggi famosi che vengono nominati, non hanno fatto quello che viene descritto, le loro azioni possono essere state compiute da altri, o da nessuno, o da loro ma in circostante diverse, o con scopi diversi.

Ci viene così il dubbio che la voce narrante, Walter Siti, non sia l’autore Walter Siti. E la parola “autofiction” entra prepotentemente in scena (infatti è il tema che tratterà Trevi al corso)…

Il protagonista, Walter Siti, è un professore universitario di sessant’anni. Il suo compagno, Sergio, lavora come autore in TV, ma, a causa di una serie di instabili equilibri e, soprattutto, di un sistema lavorativo che si affida al pettegolezzo per attribuire ruoli e stipendi, cade in disgrazia e perde il posto.

Va in depressione e inizia a tradire Walter con altri uomini, spesso senza nascondere nulla al compagno. Quando la fortuna gli sorride di nuovo, il rapporto tra i due è ormai compromesso.

Walter inizia allora a cercare altri uomini su riviste, locali gay e siti porno, prediligendo i culturisti. Dopo una sfilza di storie di breve durata, incontra Marcello, borgataro, grezzo, drogato, fragile, è quanto più lontano ci sia dall’ambiente e dalla vita di Siti, eppure per lui assume il ruolo di Dio.

Si tratta di una vera passione-ossessione.

La trama è infarcita di riflessioni sul mondo consumistico, sul ruolo della televisione e delle immagini, sull’ingerenza della politica sui mass media, sul sesso, sull’amore, sulla mediocrità del protagonista.

Mi è piaciuto?

Ho dovuto riconosce l’altissimo livello stilistico della scrittura e la profondità con cui vengono trattati alcuni temi (televisione, amore omosessuale ecc…).

Tuttavia, l’ambiente che ritrae è troppo lontano dalla mia piccola esperienza di vita. E’ molto esplicito quando parla di rapporti omosessuali e degli ambienti gay, ci gira attorno sviscerando ogni dettaglio, gira e gira senza far avanzare la trama per molte pagine.

Ogni minima possibilità di immedesimazione, dunque, per me è scartata.

E’ sicuramente un libro che Siti ha scritto sulla sua esperienza (omosessuale, attratto dai culturisti, professore universitario studioso di Pasolini…), quasi una riflessione intima, ma forse è stato più pensato per se stesso che per un ampio pubblico (di sicuro non è un libro per tutti).

A mio gusto personale, poi, non mi piacciono i personaggi che parlano troppo dialetto (e Marcello parla sempre in romanaccio), né quelle trame in cui si fa troppo uso di droghe (son fatta così, per motivi miei, mi danno fastidio film e libri che parlano di dipendenze da sostanze).

Da pagina duecento in poi, dunque, ho cominciato a saltare diversi passaggi, con enormi sensi di colpa, ma anche consapevole che se un libro mi provoca rigetto, è inutile continuare a leggerlo perché non ne assimilo alcun insegnamento.

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Il corpo del capo, Marco Belpoliti

Parliamo di Berlusconi e di come si sia creato un’immagine che è diventata potere. Parliamo di Mussolini e di come si sia creato un’immagine che è diventata potere.

Aggiungiamo le riflessioni di Edgar Morin, Baudrillard, Pasolini, Levi, Susan Sontag… sulle maschere, sui segni, sulla pubblicità, sulla morte.

(…) la politica senza rituali o cerimonie, senza icone o simboli, è una scatola vuota, incapace di muovere le passioni e i desideri degli uomini.

Diciamolo: Berlusconi può starci sulle scatole, ma è riuscito a creare i suoi propri rituali in politica e in TV (stessa cosa?) e a muovere molto bene le passioni e i desideri degli uomini per sfruttarne poi il risultato. Berlusconi come manipolatore di segni, ma, anche e soprattutto, del proprio corpo, prima nelle immagini e poi col bisturi.

Mi chiedo quanto di queste sua capacità sia dovuto a uno studio finalizzato e quanto a una capacità intrinseca alla sua persona.

La pubblicità è efficace perché si nutre si irrealtà.

Questa affermazione è fantastica: mancano i punti di riferimento, gli estremi a cui appigliarsi per far confronti, dunque anche la realtà diventa indefinibile, come la luce che non può definirsi in assenza di oscurità. Il Tycoon come creatore di irrealtà.

Berlusconi

introduce nella sua politica l’immagine dei propri figli, vera novità nella politica italiana. (…) Il primo politico a presentarsi con uno stile casual nelle fotografie pubbliche è stato John F. Kennedy.

Capito?

Neppure Benito Mussolini ha usato la famiglia come momento della propria comunicazione fotografica.

Dal saggio di Belpoliti salta fuori un Berlusconi attentissimo al proprio corpo e alla sua presentazione, nonché un imprenditore con un’intelligenza scaltra, che per certi verti è spesso stata in anticipo sui tempi.

Attenzione, però:

Prima o poi, il tempo della verità di sé arriva per tutti, governati e governanti, umili e potenti, gregari e capi.

Non è per augurare male a qualcuno, ma… insomma: Berlusconi quand’è che se ne va fuori dalle scatole?

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