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Per chi “deve” dirigere un team

Tratto da “Perseverare e’ umano” di Pietro Trabucchi.

Consiglio banale ma troppe volte disatteso…

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Leader: how to feel

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You cannot find motivation around you; you cannot buy it on a supermarket nor in internet nor at the fair.

A leader, even a good one, cannot motivate you, if you aren’t interested in your job, if you are not fallen in love with your tasks. But for sure, a bad leader can destroy the emotional climate inside a team and jeopardize the goals.

Pietro Trabucchi (Persistency Is Human) is a psychologist who has worked with olimpic teams in 2006 and with the national Thriathlon teams. He is an expert on sport rsistance, a runner and an ultra athlet himself. Motivation (in sport, business or family) is one of the topics he has studied and experienced.

In his opinion, the team leader has 4 basic points to work on:

  • relationships among the team people
  • let people feel competent
  • give autonomy
  • pay attention to communication

First task: work on emotional climate! If just one person doesen’t integrate well or experiences bad feelings, the self-motivation of the other members can collapse. This can be rather riskful if the team is trying to get the Everest top while the snow storm is raging and you ran out of food and water, you know?! But this can also be the reason why some groups do not go high.

Daniel Goleman, in this short collection of articles (What Makes a Leader: Why Emotional Intelligente Matters) has something more to add about leadership. He focuses on leaders’ emotions and attitude.

A cruel or irritating leader builds an ill organisation. The aim of his subordinates to avoid the leader’s screams and all their efforts go wasted into emotional self-defense. Leader’s mood is contagious! Dont’ forget this. Fearful subordinates can get results in the short tems, but this usually doesn’t happen in the long run.

So far,  Goleman; but I really wonder if he ever visited an italian company.

More than ten years ago I worked for a other company. Each time that I walked around the boss’ office, I prayed that he was not in. And if I knew that he was in, I prayed that his door was closed. And if door was not closed, I prayed that he was looking elsewhere (well, I prayed alot in that period…). If I was not so lucky, if he was in the office, if the door was open and if he was looking in my direction, I just had to walk near his office to get a vigorous curse.

Why? Bad mood. He did the same with all his staff, with very few exceptions (mainly his family members). But the worst thing is that all the hierarchy had the same mood. And I was one of the last chain rings, you can imagine:-(

Well, Mr. Goleman, I am not sure what you mean when you say that such organizations have no success on the long run. My former employer is on the market since the Sixties. Yes, I admit: with up and downs; yes, with an high turnover, of course. But this is normal, in Italy, above all in the North East of Italy. Maybe such companies are not 100% efficient, because subordinates hide instead of being rich of new ideas and enthusiasm. But believe me, this doesn’t notch the boss’ richness. The goal is got.

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Leadership e gruppo (aziendale, sportivo, studentesco…)

imageUn leader deve essere dotato, più che di autorità, di autorevolezza. Mi spiego: l’autorità scende dall’alto, è quella che deriva dal ruolo ricoperto (un magistrato, un insegnante, un dirigente…). L’autorevolezza invece viene concessa dal basso, direttamente dal team che si deve dirigere. Se vogliamo chiamare in causa il vecchio Weber, anche se lui si riferiva prettamente all’ambito politico, il potere del leader non deve essere legale o tradizionale: può essere anche così, ma non può fare a meno dell’aspetto carismatico.

Non si nasce leader, ma lo si può diventare, lavorando su se stessi e sul gruppo. E’ importante che il leader sia:

  • ispirato: lui per primo deve credere in ciò che fa
  • aggiornato sulle novità (es. nuovi sistemi di allenamento per una squadra sportiva)
  • sincero: la comunicazione con i membri del gruppo non deve mai mancare né essere lacunosa o deviata
  • interessato (davvero) al benessere dei sottoposti
  • un esempio. Il vero leader non deve mai chiedere ai membri del team di fare qualcosa che lui non farebbe o non ha già fatto. Da questo punto di vista, sono rari i politici che sono investiti di autorevolezza:-(

E quali sono i compiti principali del leader?

Innanzitutto, mantenere un clima emozionale positivo. Se un membro del gruppo si sente escluso o deriso dagli altri, tutto il team ne risentirà. Secondo alcuni studi, il clima emozionale incide circa il 20-30% sui risultati della prestazione totale, senza contare tutti i malumori che saltano fuori e che, se non gestiti, rischiano di degenerare. Una delle modalità migliori per creare questa positività, è… frequentarsi. Creare delle occasioni di dialogo che siano anche (e, secondo me, meglio) al di fuori del contesto in cui il gruppo normalmente opera: cene per una squadra sportiva, partite di pallavolo per i membri di un ufficio, raduni, passeggiate collettive, visite a mostre o spettacoli… L’idea che mi son fatta è che più questi incontri organizzati sono lontani dal solito ambiente, più aumentano le probabilità di conoscere aspetti delle persone che in ufficio o sul campo di gioco non vengono mai tirati fuori. Tiro fuori Pirandello e le maschere? Ognuno usa una maschera diversa in base al contesto in cui si trova in quel momento.

La frequentazione frequente rende difficile la nascita dei fantasmi, ovverosia quelle percezioni errate delle intenzioni e delle personalità degli altri componenti del gruppo. Se non ci si parla, è facile arrivare alla conclusione che il giocatore X pensi che il giocatore Y sia una palla al piede: più la comunicazione è rarefatta e più aumentano le probabilità di paranoie all’interno del gruppo.

Ma cosa bisogna fare per aumentare la motivazione dei singoli membri del team? Beh, la motivazione è strettamente individuale, nasce da dentro. Non si può indirizzarla con uno stipendio a quattro zeri o con la promessa di una coppa. Però il leader può far leva sulle emozioni. Gli esseri umani sono disposti ai sacrifici per le emozioni. Non per un trofeo, non per 10.000 euro in banca, ma per le emozioni che sono legate a quel trofeo e a quei soldi in banca. Se è facile scaricare la motivazione di un membro del gruppo con un’occhiata storta o con una chiacchiera alle spalle, si può sempre cercare di risollevarla facendolo sentire capace, apprezzato, indispensabile, autonomo.

Un aumento di stipendio al giorno d’oggi è la maggior ambizione di chi ha un lavoro: ma non è per i soldi in sé, è perché questi soldi in più rappresentano l’apprezzamento del titolare/dirigente che non riesce/vuole dire: grazie, bravo, come sai fare le cose tu, non le sa fare nessuno.

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Perseverare è umano, Pietro Trabucchi

Parliamo di automotivazione. Non motivazione: ma automotivazione.

Il primo grande demotivatore è il mito del talento, sempre più diffuso nella nostra società. Credere ciecamente che il nostro destino sia determinato dalle predisposizioni naturali o dai geni conduce alla passività e alla rassegnazione.

L’automotivazione uno se la deve coltivare: inutile andare in cerca di motivatori esterni, che anzi possono essere controproducenti perché vengono vissuti “dalla maggior parte degli esseri umani come una perdita della propria autonomia”.
Anders Ericsson ha dimostrato che la maggior parte dei c.d. geni sono diventati tali per mezzo dell’applicazione, dell’impegno, non perché dotati di un particolare corredo genetico. Si parla delle 10.000 ore di pratica, il minimo per poter acquisire doti da maestro in un determinato campo. Ma la pratica deve essere intenzionale, cioè deve puntare sempre a qualcosa che non si sa fare bene, non adagiarsi sugli allori e indirizzarsi ad attività che si conoscono a menadito. E questo vale nello studio, nello sport, nel lavoro, ovunque.

Trabucchi ci porta ad esempio gli ultramaratoneti. Che mondo! Gente che corre, corre, corre sempre, per giorni, in piano, in montagna, al freddo, nei deserti, in cima alle montagne più alte del mondo, in mezzo alla giungla. La domanda che mi è sorta, e che sorgerà a chiunque leggerà questo libro, è: CHI GLIELO FA FARE?
Perché gli ultramaratoneti non entrano nell’Olimpo degli sportivi ultrapagati. Non li conosce nessuno, se non gli addetti ai lavori. Sono persone normali, che di giorno lavorano in ufficio, in fabbrica, sulle strade, ma che nei weekend si trasformano in iron men e iron women.
Trabucchi lavora con loro e spesso li accompagna nelle loro avventure. Ha studiato i loro meccanismi di automotivazione e ce li espone, non perché dobbiamo anche noi partire per un ultratrail ma perché l’automotivazione è necessaria in ogni campo: anche nel matrimonio, dico io (visti gli ultimi esempi che mi sono capitati davanti agli occhi… ma sorvoliamo).
E allora:
– no all’atteggiamento del bastone e della carota da parte dei dirigenti di un’azienda. L’atteggiamento prescrittivo produce buoni esecutori, non buoni lavoratori.
– sì alla manutenzione delle relazioni all’interno del gruppo (di lavoro o di sport).
– sì all’autonomia.

E ora, un estratto che troverei utile in molte delle aziende in cui ho lavorato:

Il primo accorgimento sta nell’essere disposti a investire tempo ed energie per stare insieme e conoscere a fondo i membri della squadra. Siamo governati dal falso assunto che le buone relazioni si trovano e non si costruiscono (…). Perciò tendiamo a sottovalutare l’importanza di investire nei rapporti. In realtà è molto più facile ed economico cambiare le relazioni piuttosto che le persone.
Entrare in sintonia con le motivazioni intrinseche altrui, fare sentire le persone capaci, riconoscere le loro competenze e i loro progressi: tutto ciò ha effetti molto più potenti sulla motivazione che non il ricorso agli incentivi o all’autoritarismo.

Però in un contesto quale è il Nordest industriale, la vedo dura. Quegli industriali che si sono fatti da sé, una volta raggiunto l’Olimpo dei benestanti tende a porre dei paletti con i dipendenti. C’è un punto limite oltre il quale la crescita dell’azienda impone questa divisione, credo. Trabucchi: ce lo vedi un Benetton che va a cena con gli operai della fabbrica e si fa raccontare i loro hobby? O che gira tra i cucitrici e chiede cosa cucineranno per cena?

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