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Il museo del mondo (Melania Mazzucco)

Sono nel periodo di letture a tema artistico.

Ringraziamo il cielo che ci sono scrittori che scrivono di questo tema in modo comprensibile, come fa la Mazzucco, che ti fa venire la curiosità di entrare nei musei (o almeno di guardare le foto delle opere in internet), e mandiamo a quel paese tutti i critici che sporcano la carta con frasi incomprensibili al preciso scopo di allontanare le masse dall’arte.

In questo libro, la Mazzucco prende in considerazione solo di pittura che lei ha visto dal vivo e per la quale nutre il desiderio di rivederla.

Ecco, quando certe persone mi chiedono perché leggo tanto, non posso certo nominare la bellezza di un libro come questo, perché… beh, perché non ha uno scopo pratico. Non mi serve per applicare quello che imparo nel mio lavoro di tutti i giorni e non guadagnerò nulla dal sapere come si chiama un quadro di Bosch o di Georgia O’Keeffe, eppure, ogni tanto, ho bisogno di dedicarmi a qualcosa che non abbia applicazioni pratiche.

Non per denigrare le liste della spesa, per carità. Le liste della spesa sono utilissime quando devi andare al supermercato, ma nella vita di tutti i giorni, ormai, le conversazioni si riducono a un elenco di informazioni o di commenti che si fermano alla superficie delle cose.

Se passo davanti ad un bar e vedo delle persone sedute all’interno, non mi soffermo a pensarci. Fermarmi a pensare su quelle due persone potrebbe perfino essere controproducente nell’economia delle mie giornate.

Ma se guardo un quadro di Hopper in cui un uomo e una donna sono al bancone e non si parlano, allora mi faccio delle domande. Perché non si parlano? Perché si sono trovati là? Come se ne andranno? Insieme o separati? Siamo sicuri che tutte queste domande, un giorno, non possano tornarmi utili se applicate alla mia vita o a quelli che mi stanno vicini?

L’arte dovrebbe aiutarci a guardare sotto la superficie, e mai come oggi ce n’è bisogno.

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Nahui @PinoCacucci1 @feltrinellied

Credete di essere sfortunati/e in amore? Leggete questo libro.

Ritenete di essere originali in mezzo a una marmaglia di conformisti? Leggete questo libro.

Vi piacciono gli ambienti vivi, culturalmente e storicamente parlando? Leggete questo libro.

Vi piacciono i personaggi estremi? Leggete questo libro.

Volete la conferma che al mondo non esistono solo i voltagabbana? Leggete questo libro.

E ancora per tanti altri motivi: leggete questo libro.

Il Messico, nella prima metà del Novecento, era un crogiuolo culturale e politico che teneva testa alla Parigi del tempo.

Nahui è stata poetessa, pittrice, modella, compositrice, insegnante di disegno, barbona… era una donna bellissima, con gli occhi di un indescrivibile verde-azzurro, e ha fatto innamorare di sé mezza Città del Messico (perché l’altra mezza, più o meno, era composta da donne…).

Ha conosciuto Edward Weston, Diego Rivera, Frida Kahlo, e molti altri.

E’ stata un’anticonformista sin da piccola, per la disperazione della sua famiglia. Era la figlia del generale Mondragon, uno dei protagonisti del colpo di stato del 1913 – con tutte le contraddizioni che comportava avere un cognome del genere, vista la velocità con cui cambiavano i regimi in quegli anni.

Si è sposata con Manuel Rodríguez Lozano, a sua volta pittore, ma il matrimonio è stato un disastro perché lui era bisessuale e depresso. Si è messa insieme al doctor Atl (Gerardo Murillo) vulcanico vulcanologo dalla vita controversa e avventurosa: dopo un periodo di sesso sfrenato, il rapporto è degenerato in botte, tradimenti e tentati omicidi che hanno fatto parlare tutta Città del Messico.

E quando finalmente trova l’uomo della sua vita, un affascinante, intelligente, gentile capitano di navi da crociera… bè, mi fermo qui.

Per non parlare poi di tutti i personaggi che giravano in Messico in quegli anni: spie, muse, evasi, rivoluzionari, traditori. Qui è tutto un vorticare di omicidi, suicidi, amanti, tradimenti, botte, artisti, attori…

Mi sono innamorata della figura del presidente Madero, una brava persona, ma inadatta per dirigere un paese come il Messico di quegli anni. Aveva scritto un libro sulla Baghvad Gita e sapeva a memoria il Vangelo. Lo hanno tradito e ucciso con un colpo di pistola alla testa.

Mi è venuta voglia di andare in Messico.

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Picasso era una merda.

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SCHIAVA DI PICASSO, di Osvaldo Guerrieri

Meravigliosa sorpresa, questo Osvaldo Guerrieri. Bellissimo libro; similitudini azzeccatissime e poetiche; ottimo approfondimento psicologico; personaggi interessanti al limite del pettegolezzo, ma descritti senza mai scendere di tono; ricostruzione storica che ti fa dimenticare che il lavello è là, a un metro da te, che aspetta di esser svuotato e ripulito.

Ma il lavello può farsene una ragione: se leggi questo libro, tu sei Parigi, nel 1936, a guardare come Dora Maar si fa umiliare da quello stronzo di Picasso.

Un gran romanzo biografico perché ti fa riflettere, più in generale, sui certi rapporti uomo-donna. Come può una Dora Maar, fotografa bellissima e intelligente, lasciarsi mettere i piedi in testa da un egocentrico patologico che si autogiustifica sfruttando la sua arte e la sua nazionalità? Uno che le dice: molla le tue stupide attività e vieni qui? Uno che ha la sfrontataggine di riunire in uno stesso albergo due amanti, una moglie, un figlio adulto e una figlia di pochi anni, e di pretendere che interagiscano tra di loro in tutta cordialità? Uno che si diverte a vedere due delle sue donne che si graffiano e si strappano i capelli per lui, e che le lascia fare, perché, dice, non si è mai divertito così tanto?

Picasso, sarai anche defunto, sarai anche stato un innovatore in arte, sarai anche stato miliardario, e uno dei tuoi quadri potrebbe comprare me con tutta la casa e la mia discendenza… ma eri una merda. Sei una merda, pure da morto.

Quando deve essere interessante un uomo perché una donna accetti di trasformarsi in ombra? Ci deve essere un limite alla cultura, alle bravure a letto, al denaro, al glamour!

Ehi, aspettate un attimo: perché parlo di donne? Nell’ambiente in cui lavoro quanti pseudo-artisti ci sono che si ritengono dispensati dalle comuni regole di buona educazione se il bollino che ti hanno attaccato in fronte dopo la prima occhiata non ti colloca tra i primi posti nella loro personalissima scala di valori?

Si ricade nella questione che da anni mi infesta la mente sulla valenza dell’arte. A cosa serve essere bravi artisti se non si è brave persone?

Per fortuna Dora Maar, alla fine, l’ha capito; anche se questo scatto di consapevolezza le è costato un bel po’…

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