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Visto per Shanghai (Qiu Xiaolong)

Il mio PC è ancora fuori uso, ma vi lascio poche righe sull’ultimo libro letto.

Qiu Xiaolong vive negli Stati Uniti dove insegna letteratura Cinese alla Washington universty.

Questa sua formazione letteraria si sente nei libri in cui ci racconta le indagini dell’ispettore Chen, un poliziotto che fa parte del circolo degli scrittori cinesi e che scrive poesie.

Questa storia è ambientata in Cina.

La moglie di un malavitoso scappato negli Stati Uniti è scomparsa. È un problema di rilevanza politica, perché la donna doveva ricongiungersi al marito, che doveva cooperare con la polizia statunitense.

Sul caso lavora l’ispettore Chen, che è stato affiancato da una poliziotta americana appassionata della Cina.

Il testo è infarcito di modi di dire orientali e di poesie, e Xiaolong non manca mai di farci notare quanto ogni atto dei personaggi abbia un’importanza politica.

L’atmosfera orientale ci viene proprio dalle numerose citazioni, ma anche dalle descrizioni dell’ambiente.

Questo rallenta un po’ l’azione, ma un romanzo troppo movimentato sarebbe stato poco credibile vista l’ambientazione.

È ben resa anche la differenza di caratteri e di vedute cinesi e americani. I dialoghi in particolare esprimono bene quanto un orientale si preoccupi delle buone maniere.

Un giallo diverso.

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Sotto cieli rossi – Karoline Kan

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Karoline Kan è nata nel 1989 pochi mesi prima del massacro di Tienanmen.

Massacro? Quale massacro?

Karoline non ne sa nulla fino a che, da adulta, non si mette attivamente alla ricerca di informazioni sull’evento del 4 giugno, un evento di cui in Cina non si può parlare né scrivere.

Fino ad allora, la sua vita è incentrata sulla sua famiglia e sulla scuola, e la sua famiglia è tutta dedita al miglioramento sociale, alla ricerca di condizioni di vita migliori, possibilmente in città, lontano dalla campagna che offre poche opportunità di guadagno e di divertimento.

Quella che ogni cinese sognava di vincere era la corsa alla metropoli.

Karoline è la seconda figlia, e questo la segna fin dalla nascita.

Nel 1989 infatti in Cina vigeva ancora la politica del figlio unico (rimasta in vigore fino al 2015): non si poteva avere un secondo figlio, a meno che il primo non fosse una femmina.

Sua madre nascose la gravidanza fin quasi al parto: la nascose agli stessi suoceri, coi quali lei e suo marito vivevano.

Un secondo figlio, vietato, comportava una serie di difficoltà: innanzitutto, per i trasgressori, c’era una pesantissima sanzione da pagare (causa di indebitamenti che duravano anni) ed era perfino possibile che al bambino non venisse dato l’hankou, una specie di carta di identità. In pratica, era un cittadino fantasma.

Senza hankou non si può fare niente, né andare a scuola, né trovare un lavoro, né prendere l’autobus. Nel 2010 in Cina vivevano ancora milioni di “bambini in nero”, non riconosciuti perché nati “illegalmente”.

Quando la famiglia riesce ad abbandonare il paesino e a trasferirsi in una cittadina più grande, le difficoltà non finiscono. Chi viene dalla campagna è comunque considerato un “immigrato”, uno “straniero”, e questo comporta una serie di conseguenze che accompagneranno Karoline fino a quando inizierà a lavorare.

Ma l’estraneità cinese ci viene descritta anche in altri campi.

Ad esempio: il nonno di Karoline, che era stato un fervente sostenitore del governo, ad un certo punto perse la fiducia nel socialismo, e si diede al Falun Gong, un movimento spirituale che in Cina assunse un’amplissima portata.

Era un movimento pacifico, ma il governo cinese non poteva lasciar sopravvivere al proprio interno un’organizzazione così ampia, e da un giorno all’altro lo rese illegale. E con l’illegalità, arrivarono anche gli arresti e le torture per gli adepti che si rifiutavano di rinunciare al loro credo: siamo alla fine degli anni Novanta, non nell’Ottocento.

E che dire dell’addestramento militare a cui Karoline e i suoi coetanei devono sottostare quando si iscrivono all’università nel 2008?

La Cina è un paese pieno di contraddizioni.

Karoline Kan, però, come altri scrittori cinesi, non rinnega il suo paese.

Certo, ne mette in risalto gli aspetti negativi, ma alla base c’è sempre una speranza di redenzione e una fiducia di fondo nei cittadini cinesi, anche se a volte persino lei si lascia prendere dalla rabbia davanti a un’amica che non si interessa dei diritti delle donne e del silenzio imposto sui fatti di Tienanmen, o rabbia davanti a usanze sociali difficili da estirpare:

I ragazzi avevano il permesso di conoscersi solo dopo uno scambio reciproco di informazioni di base che comprendevano età, altezza, livello di istruzione, ma anche età dei genitori o presenza di eventuali fratelli o sorelle da mantenere.

I cinesi non sono molto diversi da noi.

Anche loro si danno da fare per vivere meglio secondo gli standard di vita imposti dalla TV e dai social media. E anche i loro giovani sono in costante lotta contro le generazioni precedenti: è un aspetto che accomuna tutte le latitudini e tutte le epoche.

Anche se ci avevano inculcato l’idea del lavoro come strumento per “servire la nazione”, a conti fatti nessuno di noi la pensava così. Quello a cui aspiravamo davvero era il successo individuale, e tanti saluti alla patria.

Mi piacerebbe che questo libro venisse letto da tutti quelli che credono che i cinesi siano formichine pronte a lavorare anche di sabato e di domenica, ma un po’ tonte, disposte a farsi mettere i piedi in testa dallo Xinping di turno affinché la Cina diventi il primo paese al mondo.

Ci sono anche cinesi così, certo. Cinesi che credono alla propaganda ufficiale, che non si fanno domande, che supportano la repressione a Hong Kong, che odiano gli Stati Uniti perché nei libri di scuola è scritto che sono il loro nemico peggiore.

Ma ci sono anche italiani che credono che il Covid sia stato creato in laboratorio per distruggere i paesi nemici.

E niente, il mondo è vario.

PS: ho chiesto alla scrittrice: questo libro non è ancora stato pubblicato in Cina.

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Sono stato imperatore (Pu Yi) @LibriBompiani

Non sono riuscita a leggere questa autobiografia senza fare il confronto, episodio per episodio, col film “L’ultimo imperatore” di Bernardo Bertolucci.

Per capire le numerose differenze, bisogna tenere a mente che l’autobiografia di Pu Yi è stata scritta in piena epoca Mao (la pubblicazione è avvenuta nel 1964).

Pu Yi non era una grande personalità: era debole di carattere, e i lussi in cui è vissuto gran parte della sua vita non hanno fatto altro che indebolirlo ulteriormente e incancrenire altri suoi difetti, tra i quali la crudeltà aveva un ruolo importante.

Nella biografia, Pu Yi parla del suo vecchio sè con rammarico e vergogna ma ci resterà sempre il dubbio di cosa pensasse davvero: di quanto fosse all’oscuro delle mire giapponesi durante l’occupazione del Manchukuo, dello sfruttamento bestiale del popolo cinese e della situazione internazionale.

La parte più interessante dell’autobiografia a mio parere inizia dopo la costituzione del Manchukuo, lo stato fantoccio: si vede un Pu Yi che pensa continuamente alla sua restaurazione come imperatore, si illude e poi cade, più volte, nella disperazione e nel terrore di venire ucciso, e allora si dà alla pratica del buddhismo e alle superstizioni (arrivando al punto di vietare ai servi di uccidere le mosche).

Quando il Giappone perde la guerra e il Manchukuo cade, Pu Yi finisce per cinque anni in un carcere russo, e, infine, in uno cinese.

Era pronto ad essere maltrattato, deriso, torturato e ucciso e invece… oh! Miracolo! Il comunismo è magnanimo!

E qui lo sbrodolamento inzuppa le pagine: tutti, anche i sopravvissuti a terribili massacri, lo perdonano; tutti si preoccupano solo della sua reintroduzione nella nuova società; la nuova società non è interessata ai suoi numerosi gioielli, e in carcere diventa un vero uomo. Così dice.

Negli ultimi anni avevo appreso qualcosa circa il mio effettivo valore dai miei tentativi di lavarmi gli abiti e fabbricare astucci per matite.

All’inizio avevo detestato il partito comunista, il governo del popolo e le autorità carcerarie, mentre ora non avevo motivo di avercela con loro, e più che mai sentivo che, se le cose stavano a quel modo, era per colpa mia.

La magnanimità dei contadini che avevo ritenuto rozzi, ignoranti e pronti a trar vendetta senza curarsi affatto della politica di clemenza e rieducazione. Adesso erano padroni del proprio destino, e dietro di loro stavano un potente governo e un esercito guidato dal partito comunista.

Una cosa era chiarissima nella mia mente: il partito comunista si serviva della ragione per conquistare la gente.

Mi fermo qui, ma avete colto il senso.

Impossibile sapere quanto Pu Yi fosse davvero convinto di queste lodi e quanto forte fosse la paura, ma anche se si resta col dubbio sulla sua sincerità (quanto ha esagerato i suoi crimini? Quanto ha esagerato la magnanimità del comunismo? Quanto ha taciuto?), questo è un libro che ho letto con piacere.

Voto: 3 su 5.

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Foglie cadute – Adeline Yen Mah

Questa è l’autobiografia di Adeline nata nel 1937 a Tianjin, Cina.

Due settimane dopo la nascita, sua madre muore di infezione puerpuerale. Il padre si risposta con una donna bellissima, mezza cinese e mezza francese: in quegli anni, tutto ciò che è occidentale viene considerato superiore, e avere una moglie per metà europea è motivo di grande orgoglio.

La matrigna dà alla luce altri due figli, un maschio e una femmina.

Le differenze di trattamento tra i figli della prima e della seconda moglie sono subito evidentissimi: quello che mi ha lasciato perplessa durante la lettura è l’atteggiamento del padre di Adeline, totalmente sottomesso, obbediente come una scimmia ammaestrata.

Non si tratta solo di diverse dosi di affetto familiare: i figli di Jeanne sono vestiti in modo elegante, alla moda, mentre i figli della prima moglie sono costretti a indossare le divise della scuola. Gli amici della coppia se ne accorgono e chiedono le ragioni di questa disparità: purtroppo però nell’autobiografia non viene riportata la risposta del padre (era un uomo ricco, molto in vista nell’alta società del tempo).

Disparità ci sono anche nel cibo, nei giocattoli, nelle stanze dei bambini.

Leggendo delle ingiustizie di cui Adeline è fatta vittima (ma non solo lei), leggiamo anche la storia della Cina e di Hong Kong del Novecento, una storia che influenza la famiglia sia nelle ricchezze che negli spostamenti.

Adeline, nonostante le differenze di trattamento, riesce a diventare medico negli Stati Uniti e finisce anche per aiutare Lydia, la sorella maggiore, che l’aveva sempre maltrattata, e il di lei figlio, che studia al conservatorio grazie alla zia.

E’ un libro che ho letto in due giorni (314 pagine): mi sono appassionata a questo scontro di forze del bene e del male (per quanto si debba sempre ricordare che è un’autobiografia, dunque la visione può essere parziale), e non vedevo l’ora di arrivare alla fine per capire se alla fine Adeline sarebbe venuta in possesso della sua parte di eredità.

Sebbene il libro mi sia piaciuto, l’impressione generale che ti lascia in bocca è che non puoi fidarti di nessuno. I rapporti di forza e le insidie insite nella famiglia di Adeline sono così subdoli e ripetuti che fanno scricchiolare la tua fiducia nel genere umano: insomma, se fratelli e genitori si comportano così, cosa possono fare a chi non è della famiglia?

Amaro in bocca.

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Jade, di Lisa Huang

Gli scrittori cinesi sono facilitati nel compito di trovare ambientazioni interessanti per le loro storie: le trovano nel proprio paese, nell’arco di un solo secolo, il Novecento. Hanno tutto lì!

Gliene sono capitate di tutti i colori, ai cinesi.

La storia di Lisa Huang si incentra su Jade, una bambina di buona famiglia che perde il padre in tenera età: con esso, se ne va tutta la ricchezza e la sicurezza della famiglia. Per permettere al fratello di entrare nell’esercito con un buon grado, sposa il rampollo di una famiglia nobile: peccato che poco dopo il matrimonio si accorge che il maritino è dedito all’oppio e che i suoi genitori si sono venduti tutti pur di assecondarlo.

Siamo in Cina all’inizio del Novecento: Jade rimane col marito e lo accudisce fino alla morte, fare diversamente avrebbe significato lo stigma. Dopo esser rimasta vedova, rimane addirittura coi suoceri, che la odiano e cercano di avvelenarla, ma lei non se la sente di abbandonarli finché non è costretta (anzi: anche dopo essersene andata ad abitare da un’altra parte, ogni mattina porterà ai vecchi una porzione di cibo per la giornata).

Inizia a insegnare (vergogna: una donna che lavora!), ma attorno a lei infuriano invasioni giapponesi e guerre civili.

Si sposa con un funzionario del Kuomintang, ha due figlie, ma non riesce a dargli il maschio. Decidono di adottarne uno: non è difficile, in un’epoca di battaglie e macellazioni umane. Il problema si pone quando il bambino, ormai cresciuto, scopre di non essere davvero il loro figlio…

Ho iniziato il libro a novembre 2018 e l’ho finito solo ieri, ma la lentezza era dovuta alla lingua tedesca, non al libro, che, ripeto, è affascinante per ambientazione, storia e descrizioni di luoghi e sentimenti.

Jade è una donna che rispetta le tradizioni ma che non può far nulla contro i cambiamenti che stanno travolgendo lei, la sua famiglia e tutto il suo paese. La sua stessa migliore amica, che si è dedicata al comunismo con anima e corpo, nonostante tutti i suoi sforzi resta travolta dalla storia: ne viene fuori un’immagine desolata, di esseri umani che non possono nulla contro le grandi forze che li avviluppano.

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La porta proibita, Tiziano Terzani @illibraio

Nel 1984 Tiziano Terzani, che viveva in Cina con la famiglia già da quattro anni, è stato arrestato, interrogato, costretto a fare autocritica e infine espulso dal paese, con l’accusa di offesa al presidente Mao e di contrabbando di tesori nazionali.

Questo succede quando si dà fastidio a certi poteri, dicendo come stanno le cose: inventare accuse non è mai stato difficile, per certi poteri.

Leggendo il libro, mi sarei meravigliata se un governo autoritario non lo avesse espulso!

Il leit motiv di Terzani è che il comunismo, nella sua ansia di rinnovare l’uomo, ha distrutto il patrimonio culturale della Cina. Templi di immenso valore e bellezza, statue, lingue, minoranze…

Negli ultimi anni in cui il giornalista si trovava nel paese, sotto la direzione di Deng Xiaoping, il vento stava cambiando: ex guardie rosse che si accorgevano dello scempio si dichiaravano pentite, e si ricominciavano a ricostruire templi e palazzi in foggia antica; ma ormai mancavano sia i materiali originali (utilizzati per costruire palazzoni per gli operai) sia le abilità manuali.

Neanche il tempio Shaolin, culla delle arti marziali, era stato risparmiato ai tempi della rivoluzione culturale, e i monaci combattenti, di cui si tramandavano leggende e bravura, si erano lasciati disperdere dalle guardie rosse ed erano finiti a lavorare in qualche fabbrica di Pechino o Shanghai.

La successiva svolta di Xiaoping mirava a salvare la faccia e a far assomigliare la Cina a un paese che tiene alle proprie minoranze e… al turismo!

Questo libro dovrebbe diventare un testo scolastico sulla storia della Cina (anche perché tutti i testi scolastici sulla storia cinese sono stati distrutti…) ma è una lettura piacevolissima, anche se spesso ci fa indignare.

Leggendolo, ho scoperto che l’acqua a Lhasa, in Tibet, bolle a 86 gradi, con la conseguenza che non distrugge i batteri. Gli indigeni, i tibetani, ci sono abituati, ma non lo sono i cinesi (gli Han) che vengono inviati in loco per governare il paese. Se alle malattie intestinali aggiungiamo le difficoltà respiratorie (nonostante gli han abbiano piantato migliaia di alberi per rendere più respirabile l’aria a 4000 metri di altezza), si capisce perché Pechino debba pagare i suoi funzionari il 30% in più per convincerli a rimanere da quelle parti!

Ma il libro è pieno di informazioni a carattere storico e personale (non manca un capitolo scritto dai figli di Terzani sulla scuola cinese).

Leggerlo ti fa capire come una popolazione di un miliardo di esseri umani possa lasciarsi portar via la propria storia (anzi, spesso partecipando alla distruzione).

E mi convince ancora di più dell’importanza dello studio del passato: e se la scuola ce lo rende noioso, bisogna arrangiarsi.

Così come una persona che perdesse completamente la propria memoria perderebbe la propria identità, così succede ai popoli.

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