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Dopo la fuga (Ilija Trojanow)

Glottologia per progrediti: il contrario di intronarsi è estraniarsi; il contrario di molteplicità è pochezza.

Radicato nell’utopia. Finalmente a casa.

I più vivono nel multilinguismo anche quando agiscono da monolingue. Gli universali sognati in passato appartengono al vocabolario globale. Promessa per l’uno, minaccia per l’altro.

Come potete dedurre dai tre passaggi qui sopra riportati, ho avuto le mie difficoltà a cogliere il succo della raccolta di pensieri e aforismi di Trojanow.

Nonostante l’attualità del tema (la fuga dal proprio paese di origine) e le notevoli capacità letterarie dell’autore, non sono riuscita ad entrare in sintonia col testo, sebbene molti stralci fossero poetici e densi di significato. Come questi, ad esempio:

Il ritorno in patria costituisce il più forte shock culturale possibile.

Quando il matrimonio fra persone del posto e stranieri fallisce, se ne dà la colpa alla differenza: differenza fra due culture, due tradizioni, due essenze che non sarebbero fra loro conciliabili. Se invece naufraga il matrimonio fra due del posto, allora dipende dalla differenza fra due individui.

Prima della fuga sapeva perché era infelice.

In un sistema di disumanità, la violazione delle leggi è un principio umano.

Durante la fuga un collettivo, dopo la fuga un individuo.

Forse non è il mio periodo di lettura di testi impegnati poetici/filosofici, ma se cercate un volumetto breve e denso per riflettere sulla situazione del profugo al di là delle banalità televisive e da bar, questo è il libro giusto.

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Evviva i bersaglieri! (e i carabinieri, e i poliziotti e i finanzieri e tutti gli altri, ma…)

Ci sono bersaglieri un po’ dappertutto, in questi giorni: son simpatici, mettono allegria, è bello vederli in giro (ebbene sì, adoro le divise!).

Ma poco fa mi è caduto sotto l’occhio un estratto di “Prima dell’alba” di Paolo Malaguti:

In memoria dei 345 bersaglieri del XVIII Battaglione III Reggimento, cinque dei quali condannati alla fucilazione, uno condannato ai lavori forzati a vita, il caporale a 15 anni di reclusione militare, gli altri 338 a 3 anni di reclusione militare per abbandono degli alloggiamenti a Salesei.

Letta così, sembra la giusta punizione per dei soldati che sono scappati davanti al nemico, che hanno tradito la patria. E invece le cose non sono così semplici.

I libro di Malaguti parla dell’altra faccia della guerra: parla sì dei morti e dei mutilati a causa del nemico, ma si concentra sui morti e sui mutilati a causa dell’amico, del governo italiano.

Il romanzo è incentrato sulla fine, vera, del generale Graziani, che un giorno del 1931 è stato trovato morto sulla massicciata della ferrovia, apparentemente caduto da un treno in corsa.

Graziani: chi era? Un eroe di guerra, un organizzatore di aiuti e grandi opere, uno per il cui funerale si sono mosse le alte cariche dello stato. È anche però lo stesso che ha fatto fucilare seduta stante, senza processo, un soldato, perché, nel mettersi sull’attenti al suo passaggio, non si è tolto il sigaro di bocca.

Questo soldato è stato solo uno delle decine e centinaia di caduti a causa del governo italiano. Caduti che nessuno ricorda mai. Si fanno le piazze a Diaz, a Cadorna e compagnia bella, ma delle vittime del governo non si ricorda mai nessuno.

Certo, era una situazione di emergenza: c’erano i crucchi in territorio italiano, era appena successo il disastro di Caporetto. Graziani ha applicato – come d’altri, dopotutto – gli ordini dei suoi superiori. Dunque, scrivo “Graziani”, ma in realtà dovrei dire “governo”, così, con la “g” maiuscola.

Qualcuno si lamenta, a volte, che ho un problema con l’autorità: non è vero. Ho un problema con l’autoritarismo. A me piacciono le regole, quando favoriscono il vivere civile e, tramite di esso, l’essere umano. Non mi piace invece chi manda le persone a morire e a uccidere contro la propria volontà.

Non mi sento né anarchica né antipatriota, ma “per non saper né leggere né scrivere” (come dicono i personaggi di Malaguti) sono contraria alla guerra e a chi ti ordina di farla.

Dunque faccio mia la proposta dell’autore: piazze e strade intitolate a Diaz, Cadorna & C.? Sì, perché la censura storica fa più male che bene. Ma ristabiliamo la par condicio, e ricordiamo anche le loro vittime.

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Ma come ci giudicano gli stranieri?

Cicerone voce di Roma - Taylor Caldwel

Cicerone voce di Roma – Taylor Caldwel

Sì, lo so che ho già scritto di questo romanzo storico, ma non pensavo che mi piacesse così tanto, nonostante sia degli anni Sessanta e lo stile sia un po’ datato.

Non so voi, ma io non ho più ripreso in mano la storia italiana antecedente al Novecento dopo esser uscita da scuola. Insomma, sono ignorante come una capra. Ecco perché ho letto questo libro, che è sì molto romanzato (Cicerone ne viene fuori come una specie di seguace di Gesù sessant’anni prima dell’anno Zero), ma che ha il pregio di farti apparire interessante anche una sequela di triumviri, ammazzamenti di stato e guerre.

Cicerone viene identificato come saggista e scrittore ma non viene mai esposto il contenuto dei suoi testi (che, ho scoperto da altre fonti, sebbene non siano giudicati molto originali, ripropongono in modo sintetico il pensiero di molti filosofi greci). Ne viene invece sottolineata l’alta ispirazione morale, la razionalità (che a volte lo fa tentennare prima di prendere posizione perché deve valutare tutti i fatti in causa) e l’amore per la sua patria.

Mi rimane controverso l’aspetto dell’ambizione: da questo libro lui ne viene fuori come uno che non è per niente interessato alla fama e al potere, perché tutto dovrebbe essere subordinato al servizio del suo Paese. Anzi: quando lui se la prende con Crasso, Ottavio, Cesare, uno dei peggiori insulti che usa è proprio la parola ambizioso. Ma da altri testi ho scoperto che anche lui era ambizioso, non era proprio questo ingenuotto che l’autrice ci vuol presentare.

L’autrice è americana. E qui si apre un mondo. Perché? Man mano che leggevo mi son spesso chiesta: ma come ci vedono gli stranieri? Come un popolo che si infiamma per nulla; un popolo opportunista che oggi segue uno e domani l’altro in base a quanto pane e circo promettono; una massa di sempliciotti pronta a farsi corrompere; che non si solleva davanti alla tirannide ma che si incazza come una bestia se gli togli certi canali TV (no, questo l’ho aggiunto io). E il dubbio che questa visione coincida con la verità, è forte.

Eppure… eppure di questo popolaccio con la bocca aperta e il cervello spento, i governanti del romanzo dimostrano di avere sempre paura, come se si trovassero di fronte a un mostro mitologico che bisogna distrarre, perché altrimenti ti divorerebbe in un batter di ciglia. Un popolo a cui si può togliere la libertà e puoi fargli tutto quello che vuoi, basta che non se ne accorga…

Vabbè, tutta questa pericolosità io non ce la vedo, oggi. Quella volta, forse.

Lasciatemi però riportare una frase che appena l’ho letta mi è sorta un’immagine davanti agli occhi:

A loro piaceva perfino la calvizie di Cesare; quando una volta comparve a Roma con una corona di lauro per nasconderla, riservo battendosi i fianchi (…)

L’immagine che ho in testa io mi mostra una bandana al posto dell’alloro, e un personaggio di calibro alquanto inferiore a Cesare, ma altrettanto bugiardo e avido di potere.

Povera Italia.

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